martedì 26 settembre 2023

WARNUNG VOR EINER HEILIGEN NUTTE [Rubrica di cinema] ANTONIO CAPUANO (2001)

WARNUNG VOR EINER HEILIGEN NUTTE

ATTENZIONE ALLA PUTTANA SANTA

Rubrica di cinema [da un film del 1970 sulla visione del cinema di Rainer Werner Fassbinder, 1945-1982] con qualche precisazione:

Nessuna narrazione della trama dei film consigliati, salvo qualche dettaglio utile per le considerazioni in merito.

Nessun film che non ci sia piaciuto, lasciamo le critiche ai critici di professione.

Niente spazio alla macchina hollywoodiana anche se di manifattura europea o africana o quant'altro.

Nessuna censura di natura moralistica.    





Luna rossa di Antonio Capuano

La Famiglia


“Ebbene, sappiatelo, perché io non so dove finirà, come con i cavalli volgo le redini fuori strada, pensieri indomabili, vinto, mi fanno sbandare; nel mio cuore il terrore è pronto a cantare, ed esso a danzare in preda alla furia. Ma finché sono in me, lo annuncio agli amici: io affermo di aver ucciso non senza giustizia mia madre, essere impuro che uccise mio padre, odio degli dèi, e assicuro che l’istigatore a questa audacia fu il profeta di Pito, l’Ambiguo, che mi vaticinò, perché, dopo aver compiuto l’azione, io fossi libero da orribile colpa; ma se lo avessi trascurato, non dirò la punizione nessuno raggiungerà con l’arco tali dolori”. 

Eumenidi/Eschilo/V sec. A.C.


“Io sono empio, perché ho ucciso mia madre, ma l’altro mio nome è pio, perché ho vendicato mio padre.”

Oreste/Euripide/V SEC. A.C. 


Imperscrutabile e complessa anamnesi di una famiglia camorrista nella Napoli dei nostri giorni, dove la violenza e la mattanza quotidiana si risolve in una carneficina psicologica e "animale", nel senso di anima malvagia.

La storia potrebbe essere ambientata in un altro secolo, se non fossero i monitor dei computer e della tele a rappresentare dentro una tragedia contemporanea i personaggi "greci", ispirati più ai drammi “umani” di Euripide che di Eschilo.

Questa è una favola post-punk del terrore e del potere, o meglio del potere di esercitare terrore; potrebbe essere la trama di una telenovelas “diversa” dal titolo emblematico “Un posto all’inferno”.

Certo forse troppo poco "corale" rispetto ai plot dell'antichità, ma si presenta di dirompente impatto e si apprezza per la maestria registica e la superba recitazione degli attori già visti in altri film di Capuano [Vito e gli altri/Pianese Nunzio 14 anni a maggio].

Il profondo "pentitismo" del protagonista si risolve all'interno dell'ineluttabile ed indispensabile necessità umana di "svuotare il sacco", dopo la malattia convulsa causata dal seme marcio e incestuoso del sangue. Il sangue ancestrale ed esoterico della famiglia, anzi La Famiglia dove tutto deve stare dentro e niente fuori.

Una lenta ma ben ritmata [dal promiscuo mescolamento della canzone tradizionale napoletana con la musica elettronica contemporanea] carrellata dei luoghi comuni e delle incomprensioni familiari dentro ambientazioni funebri che si somigliano a quelle rappresentate da Abel Ferrara in Fratelli. Ma mentre in Ferrara non c’è via di scampo, qui il protagonista “Oreste”, giovane masochista, incestuoso, marcio, fin dentro il midollo, [i tagli auto provocati sulla sua carne aggiungono ferocia al sangue di tutti i giorni], trova l’uscita dal muro di cemento armato in cui vive relegata la sua famiglia troppo impegnata a continuare la tradizione sui viali strazianti delle lotte intestine di mafia. Dapprima si allontana, scompare apparentemente, per poi “risolversi” con l’eliminazione finale dei pochi rimasti nella famiglia, tra cui sua madre [Clitemnestra imparruccata, interpretata da Licia Maglietta, credo una delle migliori attrici in Italia in questo momento], che un po’ dark lady, un po’ Giocasta offre la sua carne alla sua “carne” con amorevole premura.

Il Giudice invisibile, come gli Dei dell’Antichità, sono l’unico referente capace di ascoltare quello che comunemente viene chiamato “tradimento” ma che nel film di Capuano sembra più una trasgressione alle regole imposte, alla dottrina dell’omertà, al silenzio mortale della coscienza. Dal muro insormontabile della Famiglia, al muro del tribunale borghese, sempre meglio che fare pietà con un suicidio, questo il messaggio conclusivo. Contrariamente alla tragedia e alla sua tradizione; non più eroi, non più martiri su cui propagare la stirpe fradicia della menzogna, piuttosto uomini e donne [Elettra, la sorella diletta è qui fragile e influenzabile] intrappolati dai loro stessi pensieri, dalle loro stesse perversioni, dalle loro debolezze, e nessun dio, nessun Apollo dal cielo verrà a salvarli.

“Il ribelle senza altro orizzonte che il muro delle costrizioni rischia di rompercisi la testa o di difenderlo un giorno con imbecille ostinazione. Perché apprendersi nella prospettiva delle costrizioni è ancora guardare nel senso voluto dal potere, che lo si respinga o lo si accetti.”

Trattato del saper vivere ad uso delle giovani generazioni/Raoul Vaneigem/1967

27ottobre2001

Anna Bolena 2001

 words © ANTONELLA PINTUS 

Rubrica di Cinema per la newsletter di SpazioKamino Ostia 2000-2002     


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