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venerdì 13 giugno 2025

Anna Bolena: Rave, resistenza, libertà (LEFT maggio 2025)






Anna Bolena: Rave, resistenza, libertà 


 Dalla Roma antagonista alla Berlino underground, la dj e producer sarda racconta trent’anni di musica antagonista e spazi autogestiti. «Negli anni 90 c’era più libertà, oggi in Italia c’è il decreto sicurezza e in Germania ci sono i neonazisti di Afd» 



 di Giacomo Pellini



La nostra storia comincia nell’Inghilterra di fine anni 80, all’ombra delle grandi aree industriali dismesse e del rigido Regno Unito dell’era Thatcher, laboratorio del laissez-faire e del capitalismo estremo. Dall’America arriva un nuovo suono: l’acid house, con le sue sonorità distorte e oniriche. Insieme alla diffusione della Mdma, crea il terreno per una piccola rivoluzione culturale che culmina nella Seconda estate dell’amore. Dopo la rigidità del decennio precedente, la parola d’ordine è una sola: ballare. Nascono così i primi free party: feste libere, spesso illegali, in spazi occupati. Il movimento cresce, i rave si moltiplicano e diventano enormi raduni. Ma la politica rea gisce: il governo conservatore di John Major dichiara guerra a questi eventi, inasprendo le leggi e la repressione. Il movimento allora attraversa la Manica e arriva nell’Europa continentale. Anche l’Italia, da metà anni 90, diventa un terreno fertile: nascono collet tivi, si muovono sound system, i centri sociali scoprono la techno. A Roma si fa notare Anna Bolena, tra le poche donne dj e organizzatrici di rave. Sarda di origine, trasferitasi nella Capitale a fine anni 80, ha fondato l’etichetta Idroscalo dischi per promuovere l’elettronica industriale. Oggi vive a Berlino, dove alterna musica e insegnamento. «Il primo party illegale che ho fatto è stato a Tor Cervara: ci siamo arrivati con il pas saparola, eravamo una cinquantina. Abbiamo ballato fino all’alba», racconta Anna Bo lena. «È stato il contesto politicizzato a spingermi verso questa musica. Poi ho iniziato anche a organizzare eventi, e piano piano siamo passati da poche decine a centinaia di persone». All’inizio degli anni 90, Roma viveva un forte fermento politico, con giovani attivi nei movimenti antagonisti e una rete vivace di spazi autogestiti. Il movimento della Pantera, esploso nelle università nel dicembre del 1990, ne fu uno dei momenti simbolici. Inizialmente, la techno veniva guardata con sospetto da alcuni ambienti dei centri sociali, che la associavano erroneamente a contesti neofascisti. Ma grazie all’im pegno di diversi attivisti, quel muro cadde, e la musica elettronica trovò spazio anche lì. Anna e il suo collettivo portarono la cultura dei rave in questi ambienti, creando un ponte tra due mondi. «La techno per me è una musica d’emergenza, nata da un’urgenza espressiva», spiega Anna. «Non è solo intrattenimento, è il mio modo per rivendicare uno spazio libero, fuori dai circuiti legali o criminali». Ballare diventava così un atto politico. Col tempo, però, il movimento ha dovuto affrontare diverse criticità: la per dita del significato politico delle occupazioni, l’abuso inconsapevole di sostanze, l’ego di alcuni dj. Questi elementi hanno intaccato lo spirito originario. Eppure, lo zoccolo duro della scena romana è sopravvissuto per tutti gli anni Novanta e Duemila. E, an che se ridimensionato, resiste ancora oggi. «Ci sono ancora compagni e compagne che organizzano rave occupando spazi abbandonati, anche solo per una notte. Ma oggi rischiano molto più di noi all’epoca», racconta Anna Bolena. Il riferimento è al decreto sicurezza, evoluzione del decreto anti-rave del 2022, che in troduce pene severe per i rave non autorizzati e inasprisce le sanzioni contro varie forme di protesta, come i blocchi stradali. «Negli anni 90 non c’erano leggi specifiche contro i rave. Finiva spesso in una trattativa: si parlava con la polizia, magari si lasciava finire la festa e poi si sgomberava. Ora non è più così, si sentono legittimati a caricare», spiega Anna. Nella notte tra il 13 e il 14 aprile 2025, circa 500 persone si sono radunate nell’ex sta bilimento Chemia Tau a La Cassa, nel Torinese. Lo sgombero è degenerato in scontri violenti: 14 agenti e diversi partecipanti sono rimasti feriti, 350 persone identificate, 145 veicoli e l’attrezzatura musicale sequestrati. Per Anna Bolena, il decreto sicurezza non è solo una legge contro i rave. «È un decreto strumentale: usano l’idea del ‘rave ille gale’ come scusa per reprimere tutto ciò che è dissenso. Serve per sgomberare picchetti, sit-in, proteste ambientaliste o contro i femminicidi. È un attacco all’autogestione e alla libertà». Il discorso si sposta poi sulla Germania, dove vive da vent’anni. Alle ultime ele zioni federali, il partito neonazista AfD ha ottenuto circa il 20% dei consensi, segno di un clima sempre più teso e polarizzato. «Berlino, per fortuna, resta un’isola felice. Qui la AfD ha preso meno voti e parte di quelli persi dalla sinistra nel resto del Paese sono stati recuperati». Anche se la capitale tedesca mantiene una scena giovanile vivace, Anna riconosce che è cambiata molto. «Il costo della vita è salito alle stelle. Ma era inevitabile: è una metropoli internazionale. Non si poteva pensare che Kreuzberg restasse piena di palazzi decadenti o che continuasse a scaldarsi con stufe a carbone nel 2025». Tutto questo ha avuto un impatto pesante sulla scena underground. «Hanno quasi spazzato via tutto ciò che era davvero autogestito, radicale, politicizzato. È rimasto pochissimo. Gli ultimi spazi occupati sono stati sgomberati durante la pandemia, con una violenza assurda», racconta Anna Bolena. Intanto, cresce anche l’attività di gruppi fascisti e ne onazisti, che scendono in piazza accusando l’estrema sinistra di violenza. Una tensione che riflette la polarizzazione alimentata dall’ascesa dell’AfD, il partito guidato da Alice Weidel. «Berlino, per ora, resta più tranquilla. Ma basta guardare alla Turingia o alla Sassonia, dove l’AfD supera il 30%. La situazione è seria». Oltre alla divisione politica, c’è anche una frattura sociale e territoriale: nei Länder dell’ex Germania Est, l’AfD ottiene percentuali molto più alte rispetto all’Ovest. Una spaccatura che affonda le radici nella storia del Paese, ma che secondo Anna viene spesso usata per giustificare un razzismo classista. «La verità è che l’estremismo di destra c’è anche a Ovest. Ma chi viene dall’Est è ancora visto come cittadino di serie B. L’Ovest è stato costretto a arricchire l’Est per raggiungere una certa parità economica, e questo ha comportato astio tra le due Germanie, che ancora completamente unite non lo sono ancora». Viviamo in un mondo sempre più ostile ai principi di uguaglianza e libertà, segnato da protezionismo, nazionalismo e leadership autoritarie, mentre le democrazie si indeboliscono. Eppure, basti pensare che alla base culturale dei rave ci sono le Taz - le Zone temporaneamente autonome teorizzate da Hakim Bey trent’anni fa - vere e pro prie utopie temporanee dove le persone sfuggono a regole e gerarchie per vivere forme di libertà radicale. Un’epoca che oggi sembra lontanissima. «I movimenti devono continuare a esistere, resistere, usare ogni mezzo e piattaforma per opporsi. Non è solo questione di rave o festa, ma di una visione che sfida potere, confini e identità imposti. Il free party è ribellione, rifiuto di un sistema che non funziona». dice Anna. Che poi conclude: «Se i movimenti non si rafforzano, non si organizzano e non si uniscono ad altri settori della società, sarà difficile invertire la rotta. La lotta deve essere collettiva, solidale, concreta. Serve costruire nuove forme di resistenza, capaci di evolversi e affrontare i tempi che viviamo».



 «Non è solo questione di fare festa, ma di una visione che sfida potere, confini e identità imposti. Oggi la lotta deve essere collettiva, solidale, concreta»

lunedì 25 novembre 2024

La questione palestinese in Germania (13)

 Domenica 24 novembre

Nella puntata di oggi ospite speciale: Anna Bolena.

Artista multimediale a 360*, DJane, Producer e attivista politica.

Di origini sarde, negli anni 90 si avvicina alla scena rave romana per poi trasferirsi a Berlino, continuando ad organizzare eventi nell'ambito del clubbing. Ci racconta delle sue esperienze nella capitale tedesca e anche i motivi che l'hanno spinta a prendersi una pausa dalla scena underground, in relazione anche per le sue posizioni politiche, rispetto alla situazione in Medio Oriente.

Soundtrack: Arturo, Arsenico, D.O.A, Patty Smith, Einstuerzende Neubauten e altri...

Per ascoltare il programma cliccate il link sotto!!

https://www.radiobandito.it/podcast/25229/


photo @DISCORDANT


martedì 28 novembre 2023

Ambush Records London_I franchi tiratori @ PETI NUDI (1998)

 



AMBUSH RECORDS, I FRANCHI TIRATORI

“Ambush è un’etichetta che nasce dalla variegata realtà urbana della periferia sud di Londra, da coloro che dentro una riserva protetta trascurano l’ordine costituito, dove incroci fertili di sperimentazione e numerose ispirazioni underground resistono contro la defunta cultura ufficiale. Intenzionalmente clandestina, Ambush crea costantemente nuovi risvolti  ognivolta che propone con la propria musica ( che va dalla “ mutant machine music” alla “drum & noise”, dalla “harsh-step” alla “jungle-core”) materiale rivolto contro persone prive di interessi e progettualità ,  persone psichicamente sterili  e prese dal business.

Ambush è seguita da Jason Skeet ( Aphasic ) e Toby Reynolds ( DJ Scud/Fallout ). Come Jackal & Hide hanno realizzato insieme il primo disco dell’etichetta, il famoso “ Escape from South London” EP. DJ Scud ha inoltre prodotto alcune tracce su DHR, in collaborazione con il fondatore berlinese della Digital Hardcore, Shizuo. Aphasic inoltre fa parte del duo “Society of Unknows” che ha realizzato il numero 24 della Praxis Rec. con Christoph Fringeli.

Ambush si percepisce come parte di una  emergente sotto-rete trasversale di etichette, ravers, Djs, ed altro. Una rete di attività che stimoli ognuno alla crescita continua, dove nessun livello del processo evolutivo resti più importante del livello successivo. Di conseguenza deve esserci una costante e dinamica rete di sviluppo e di collaborazione, che  innalzi a un livello superiore fitte relazioni incrociate capaci di produrre nuovi elementi di forma ibrida, mutevoli come i virus.

In questo contesto, bisogna riconoscere che i fattori politici della lotta vanno spiegati a livello culturale. Quello che è successo nell’ultimo decennio è che accanto alla fine delle  discussioni politiche nei dibattiti pubblici e alla scomparsa continuata degli spazi sociali, si è verificata una insurrezione musicale che ha dato inizio a una sorta di colonna sonora della resistenza, non solo nei vecchi comportamenti della gente che combatte gli sbirri sulle strade, ma anche all’interno di micro realtà, dove la capacità  intensificata di  trasmettere il rifiuto dei modelli culturali esistenti ha resistito al consenso di massa, agli stili solidificati e alla troppa dance music che è diventata un’altro prodotto pre-confezionato, Ambush cerca spazi psichici.”



“ Ambush the money-mind-fucks. Ambush the process of subjection”.  (Flint Michigan)


 Contact: 

Fax/Tel       +44  171 737 1890

Email           Via stevvi @c8 com

http://c8.com/ambush/ambush.htlm






Discografia:

(a cura di Anna Bolena)


JACKAL & HIDE   “ Escape from South London” EP; prima splendida uscita dell’etichetta, dove  apprezziamo l’evoluzione di uno stile siglato jungle dalle modalità ardite e dirompenti. La rivoluzione del suono ha  un folgorante inizio con la traccia The Jackal  ironica ballata fischiata senza sosta. Coldharbour Lane classic jungle ma con una venatura innovativa dark. Il secondo lato è senz’altro più bello con l’esplicita Post-industrial funk che recita “ the Pain, the Power, the Future, the Hope”, e per concludere il capolavoro della jungle core più scura, In bed with Hanin, da ascoltare con la pioggia sotto stati d’ansia depressiva. Rabbia assicurata.


APHASIC & SCUD “Welcome to the Warren”; Justify my hate apre il disco, con una ritmica piuttosto dubbeggiante contaminata da screcciate in free style. Non la amo particolarmente. Lente distorsioni moderatamente modulate per Comparative vandalism. Proseguiamo con la meravigliosa ed energica What is it you really want? ; stridori metallici against MTV e la sua società dello spettacolo. L’ultima track si intitola I hear a new world, noise in sintonia.


GIVE UP produced by David Hammer; Moshi Moshi divertente incastro assolutamente difficile da orecchiare per le molteplici variazioni estemporanee ed imprevedibili. Brain dead remix, giri convulsi dissacranti di ogni genere in circolazione. Trouble riesce invece con un jingle incastonato su una ritmica aperta a farsi ricordare. To Shizuo omaggio alla DHR. Give up drum & noise crossata rock devastante.


APHASIC & SCUD “ Snipers at work”: orsù l’incantesimo si è rivelato e i nostri cecchini hanno colpito ripetutamente il bersaglio. Comincia Aphasic con due tracce ben confezionate dove l’arrangiamento dei suoni è accurato e ponderato:   You only happen once e Despair in the community.  Jackal & Hide firmano invece  Belief in the enemy,  dallo stile ormai inconfondibile, spezzato e guerreggiato. Ma è il lato inciso da Scud che ha il sopravvento con “Mash the place up” culto infinito negli anni a venire e riconoscenza estrema per l’efficacia estrema dei loop . Bellezza sconvolgente ed insolita. A seguire l’industriale nibelungico di  Scud missile e il lacerato grind  di  Skate bored ( just hardcore) . In assoluto Ambush 04 resta per ora il più completo.



MWARF “Sex with a machine”: dietro la sigla Mwarf si celano Dan Hekate & Christoph Fringeli, che ci regalano come sempre forti emozioni con Pillar, distorsioni schizzate dal cervello ,  Brockbeat consuetudini giornaliere,  Isil safe  stati chetaminosi d’alterazione distruttiva e per concludere Fat boy tristissima concezione dell’esistenza; decisamente la traccia più nuova. Ci aspettiamo grandi eventi. Alla prossima!


E’ in preparazione Ambush 6, Bodysnatcher di Scud e Christoph Fringeli.

  


  Traduzione e recensioni di Anna Bolena


mercoledì 15 novembre 2023

RAVE @APPIA ANTICA Roma 3 giugno 1995 (1997)

 



TREGIUGNOMILLENOVECENTONOVANTACINQUE

APPIA ANTICA

Su una delle vie consolari della città, quasi a ridosso delle Mura Aureliane, abbiamo scoperto un grosso edificio a due piani, assai polveroso e dismesso; utile per passare qualche notte particolarmente fredda a chi come barboni o immigrati non ha fissa dimora. Infatti al piano superiore ci stavano una serie di piccole stanze con materassi puzzolenti, dove era visibile il passaggio di esseri umani: cartacce, cicche rozze coperte, scarpe usate....Utilissime le finestre sulla strada per cioccare l’arrivo degli sbirri, che puntuali si presentarono, intorno alle 3: 00 della mattina del quattro; con abile diplomazia riuscimmo a non farli entrare sino alla fine della festa.

Ma torniamo un po' indietro di circa un mese, quando dopo qualche riunione organizzativa, decidemmo che posto troppo diroccato e sozzo andava pulito. Ci premunimmo di scope, palette, buste....In genere cominciavamo di pomeriggio a spalare un po' di merda, quanto meno per evitare che la gente sollevasse più polvere del previsto.

La stanza più grande doveva servire per acchitare la dance-hall; i piatti con il monitor dovevano essere installati il più in alto possibile lontani da polvere ed eventuali avventori. La consolle è sacra. Così venne sistemata su un trespolo industriale raggiungibile da scomode scalette. Tutta la strumentazione venne collocata in modo tale da non venire danneggiata evitando così guai onerosi con il service.

Nella stanza affianco srotolammo del nastro rosso e bianco (il work-in-progress dei cantieri edili e della segnaletica stradale) nei punti più rischiosi per l’incolumità delle persone. Il pericolo era rappresentato dai vecchi ingranaggi e dai macchinari dell’ex cartiera, probabilmente ancora funzionanti; archeologia da fabbrica stupenda, che a suo tempo serviva per la produzione della carta per i giornali locali. Il fascino del sudore operaio a qualcuno di noi illuminava la fantasia. Il detournement del luogo è stato spesso  stimolo indispensabile nell’allestimento dei raves. Non soltanto per il semplice piacere estetico architettura post-industriale, ma anche per stuzzicare il nostro gioioso cinismo volto a trasformare un antico simulacro, simbolo del lavoro salariato, in un luogo dove esprimere il nostro divertimento collettivo e personalizzato senza bavagli o limiti di sorta. Fino alle prime luci dell’alba o oltre.

Dopo aver fatto una sosta infinita in sottoscrizione e aver mediato con gli sbirri affinché non scassassero le palle per almeno altre 2 o 3 ore, mi avvicinai al bar intorno alle 5: 00 e piano piano a spintoni raggiunsi gli altri sotto la consolle.   

Un attimo di distrazione e i fottuti tutori dell’ordine ,sino ad allora rimasti chiusi fuori, penetrarono furtivi attraverso il l’enorme cancello scorrevole. Dopo l’ennesima discussione presero gli estremi di un paio di documenti e finalmente i zelanti dipendenti comunali si allontanarono. In seguito non mi risulta che qualcuno di noi abbia subito conseguenze giudiziarie. Qualcuno comunque approfittò dell’uscita secondaria per allontanarsi indisturbato senza incappare in perquisizioni inutili. Bravo! Noi invece che dovevamo smontare tutto;  amplificazione e relativi cavi, pannelli fluorescenti issati sui muri, piatti e mixer ed altri attrezzi, facemmo entrare il furgone dall’Appia, unico accesso ampio disponibile, praticamente davanti agli sbirri. Sti cazzi ...è andata.

Per finire ancora due parole sulla nottata : per me fu l’iniziativa più coinvolgente che fino ad allora avessi organizzato, da quando l’ ambiente dei raves era un po' cambiato, non saprei dire se in positivo o in negativo fatto sta' che la contaminazione sociale e in parte culturale già da tempo si respirava nelle storie. Quella sera arrivarono più di duemila persone; credo sia stato il massimo storico per una festa fatta al centro e  per giunta non autorizzata. Prima di allora si svolgeva tutto in periferia. Ricordo che una certa presenza coatta e discotecara mi infastidì non poco ,in realtà stranamente già da tempo i DJ’s più seguiti della capitale avevano cominciato a prestare parecchia attenzione per il fenomeno e quindi un certo seguito bisognava tollerarlo. D’altra parte una certa stima e rispetto c’è sempre stata con  chi anni prima provò a creare un contesto techno di un certo spessore. Ritengo che dal punto di vista squisitamente musicale il livello che le labels indipendenti romane raggiunsero nel periodo più creativo(dal novanta sino al novantaquattro) ha già fatto scuola, se non storia. Ma altre testimonianze raccontano di episodi poco edificanti, quali risse o accoltellamenti fra piccole bande fasciste e borgatare che costrinsero i gestori organizzatori a rinunciare ai loro lauti guadagni. Lo sfruttamento non ha limiti di sorta e certe contraddizioni iniziarono a creare problemi in chi professionista musicista era animato dalle migliori intenzioni. Certo per molti di noi che proveniva da un ambiente dichiaratamente contestatario antiautoritario questi contesti o situazioni erano parecchio distanti per intenzioni ed obiettivi ; ciò fece scaturire numerose discussioni sul significato di festa, spettacolo , rave.... e l’immancabile voglia di autogestione; condizione questa assai problematica da sempre e non ancora chiarita. AUTOGESTIONE parola magica di uso comune che vuole significare tutto ,troppo e niente. Sicuramente una parola diffusa ed abusata. Mah!................................................................

Pare che all’interno della cartiera un paio di settimane prima , durante un sopraluogo, venne trovato un pacco contenente un etto di eroina purissima. Forse leggende metropolitane. Prurito garantito di prima qualità.

                                                                                                                             duesettembremillenovecentonovantasette


 Contributo individuale di  Meridiana 0.7

mercoledì 1 novembre 2023

La questione palestinese in Germania (6)



Qui di seguito qualche considerazione sul tema Palestina in Germania

divieto di manifestare

club & rave culture

antisemitismo

Medio Oriente

@ Radio Onda Rossa Roma 1 novembre 2023

https://www.ondarossa.info/redazionali/2023/11/germania-e-palestina

giovedì 24 agosto 2023

Flyer AUTOGESTIONE E SITUAZIONISMO (1997)

 Flyer 

AUTOGESTIONE E  SITUAZIONISMO (1997)


contributo individuale di Meridiana 0.7


pics & words © ANTONELLA PINTUS 

mercoledì 23 agosto 2023

VIVERE L’ESTREMO E RITORNO @PetiNudi666 (1995-1998)

 VIVERE L’ESTREMO E RITORNO

Lo spettacolo della vita quotidiana




“O ci si organizza a lavorare un giorno la settimana e vivere e giocare e creare durante gli altri sei giorno oppure l’umanità è destinata ad estinguersi.”

(Silvano Agosti - L’uomo proiettile - 1995)


Oltre gli orari, gli spostamenti, i pensieri che ogni individuo gestisce lungo la giornata, non si può negare l’esistenza di un assetto organizzativo imprescindibile della realtà quotidiana; della forma precostituita e prestabilita delle ore, dei minuti, dei secondi che separano il giorno dalla notte: divisione volutamente precisa e costruita della vita, che da sempre caratterizza i nostri movimenti spazio-temporali; dell’impossibilità, spesso, di riuscire ad impedire che il trascorrere del tempo condizioni l’occupazione stessa di un preciso spazio ormai abituale e rassicurante; della difficoltà, talvolta, di compiere operazioni mentali ed esercizi corporei lontani dalla consuetudine, dalla noia, dalla ripetizione di gesti ormai rodati ed approfonditi.i Inevitabile è sottolineare l’importanza della divisione del lavoro nella società attuale, quanto poi la sua organizzazione, funzionale al profitto e all’accumulo di ricchezze concentrate, impedisca ai più di potersi sottrarre a tali imposizioni e di progettare la propria esistenza in forme e modi più congeniali e rispettosi delle esigenze e dei bisogni individuali. Il lavoro salariato espropria continuamente la persona dalla possibilità ed opportunità di ricercare dimensioni e condizioni libere, creative, giocose, gestite secondo modalità squisitamente soggettive e diversificate.

Il contesto culturale e sociale dell’uomo telematico odierno impedisce, sia ai ricchi, sia ai meno abbienti, sia ai diseredati, di concepire la cultura del non-lavoro.

La riflessione e l’intenzione è quella di suggerire altre soluzioni alle lotte sociali per le 35 ore settimanali (in genere rivendicazioni di piccoli partiti e sindacati autonomi, ed ora anche di CGIL, CISL e UIL) o al moto trentennale del “lavorare tutti, lavorare meno”. 

Il non-lavoro è una filosofia e pratica di vita ( crf. “L’abolizione del lavoro”di BOB BLACK ) e non appartiene sicuramente all’universo dei politicanti istituzionali o antagonisti, coloro i quali spingono in forza di grandi masse e di popoli oppressi dal capitale pseudo-cambiamenti all’interno del mondo del lavoro, supportati da ideologie paleo-ortodosse.

Nel prossimo futuro il sistema del capitale, del libero scambio, della proprietà pubblica e privata, del lavoro precariato e flessibile, sarà sempre più distante dal riuscire ad offrire impieghi duraturi, a versare contributi fiscali ad uno Stato che già ora garantisce misere pensioni, a rispondere alla domanda di milioni di immigrati che premono alle frontiere del nostro dorato occidente: flussi migratori che si pretende di controllare e prevedere con leggi “adeguate e avanzate”, espressione del consueto autoritarismo istituzionale. Tali complessi fenomeni, di natura politica, sociale ed economica, non possono trovare semplice spiegazione nella questione delle differenze di classe, di ceto e di religione, come vecchie teorie marxiste-leniniste e sovrastrutturali ancora cercano di avallare.

Il significato di questi  macro problemi  potrebbe collocarsi all’interno di una visione della vita come meccanismo di un processo esistenziale volto all’adeguamento e spostamento del sentimento di rischio e di imprevedibilità, fonte d’ansia, d’angoscia e timori profondi. E’ il presentimento di affondare nel caos, nell’incertezza che determina l’organizzazione limitata e razionale della vita quotidiana.

L’alienazione grigia, sbiadita, la ripetitività ricercata nella strutturazione estremamente rigida dell’esistere, o meglio del sopravvivere, trova apparentemente una possibilità di riscatto e di cambiamento nel gusto compiaciuto del divertimento fittizio, comprato a caro prezzo, allestito secondo i dettami delle mode e delle nuove tendenze.

Il culto materiale dell’immagine giusta al posto giusto, del look arricchito ed ingigantito dall’ultimo oggetto optional che va tanto in voga, ben si concilia all’interno dell’organizzazione quotidiana dell’uomo-donna che lavora, produce e consuma.

Il sistema con i suoi potenti mezzi, con le sue ramificazioni, è capace di recuperare ed alterare, secondo gli obiettivi e le esigenze del mercato, ogni elemento o particolare che abbia caratteristiche potenzialmente alternative, innovative e moderne.

I rapporti economici, ancora una volta, riescono con efficacia ad imbrigliare ed imbavagliare anche le menti e gli spiriti non asserviti, non sottomessi. Creativi, pubblicitari, esperti di marketing, artisti ed altri si trovano spesso costretti ad immolare le loro idee geniali, le loro trasgressioni libertarie, le loro proposte innovative ai soldi facili, annichilendo quindi ogni possibile contenuto di liberazione e trasformazione della realtà.

La pubblicità, la tv, l’iformazione manipolata contribuiscono a propagandare l’importanza e la necessità delle merci feticci da idolatrare. L’accumulo di oggetti “usa e getta” crea nel mercato un over-produzione di beni inutili, fittizie entità rese appetibili da una curiosa miscellanea di immagini sempre più sofisticate, colonne sonore indimenticabili, slogan appiccicosi e ruffiani.

Le leggi dello spettacolo hanno permesso un allargamento a fasce di popolazione meno abbienti l’entrata libera ad un mondo che fino a poco tempo fa gli era precluso; dove falsi riti, miti del protagonismo patinato, culto esagerato del finto non possono migliorare una vita vuota ed insignificante.


Oltre lo spazio e il tempo


“Non c’è che il presente che possa essere totale, un punto di  incredibile densità. 

Bisogna imparare a rallentare il tempo, a vivere la passione permanente dell’esperienza immediata.”

(Raoul Vaneigem - Trattato di saper vivere ad uso delle giovani generazioni-1969)


1. LA PRATICA DELLA TRASGRESSIONE

Il quotidiano, inteso sterilmente come un recipiente da riempire per far trascorrere il tempo, offre la possibilità esclusiva di vivere uno pseudo divertimeno, uno svago fine a se stesso, slegato da una visione ampia ed articolata della propria esistenza.

Il divertimento, collocato all’interno di una logica mercantile di business, viene caratterizzato da elementi e aspetti insulsi apparentemente soddisfacenti; la realtà dentro i locali trend, le discoteche alla moda, i templi più gettonati non è liberata, personalizzata o creativa: i gestori con il loro staff pensano per te, risolvendo ogni tuo desiderio od esigenza impellente, cioè si delega ad altri ciò di cui si ha bisogno.

L’autogestione diretta di spazio e tempi è una pratica certamente contraria al lucro personale o di pochi, per questo viene bandita ed allontanata come azione inadeguata ed impossibile da attuarsi. D’altra parte la gestione orizzontale e non autoritaria dello spazio ludico è da sempre uno degli obiettivi di tattiche e strategie volte all’occupazione diretta di tutto ciò che il sistema sociale vieta ai gruppi giovanili: spazi fisici ed utopie mentali.

La voglia di abbattere le imposizioni culturali del mondo degli adulti spinge spesso i giovani a trasgredire le leggi, a ribaltare i significati e le modalità d’uso dello spazio e del tempo. Mantenendo la distanza da possibili mistificazioni e ritualità fini a se stesse, è ormai la pratica dell’illegalità, dell’azione diretta e della conseguente autogestione del proprio divertimento che caratterizza e accompagna la nostra sopravvivenza, le nostre frustrazioni irrisolte, la continua ricerca individuale dell’equilibrio spezzato, le diverse motivazioni di distruggere con modelli alternativi le consuete abitudini.

Tutto ciò, e non solo, dentro il rave, il party non autorizzato, espressioni complesse, contenitori multipli per inviare e suggerire esistenze e mondi diversificati.


2. LA RICERCA DELLA COMPLESSITA’

Il rave, evento multimediale sempre diverso, assume un profondo significato nella continua ricerca di valori e contenuti realmente dirompenti e destabilizzanti della cultura circondante. E’ espressione spontanea e fervida di probabili utopie, di viaggi fantasiosi non necessariamente veicolati o vincolanti, ma più propriamente imprevedibili ed inaspettati.

L’articolazione del proprio corpo arricchito e movimentato da spostamenti ed occupazioni fisiche sconosciute, si congiunge a fertili e vivide immagini mentali mai provate; la costruzione di sensazioni ed emozioni forti è chiaramente amplificata dai decibel della strumentazione allestita, ampliata da scenografie che mutano e si trasformano segnatamente alle diverse e suggestive architetture di volta in volta scovate all’interno della metropoli.

E’ una continua crescita di menti in esercizio che cambiano con l’occupazione tempestiva della città;  tappe diversificate di un tracciato non ancora chiuso, scavato in profondità: stazioni metro abbandonate, capannoni di lamiera in disuso, aree industriali periferiche, piccole e grosse fabbriche dismesse rappresentano lo scenario possibile dove allestire e dare vita al mostro. Clandestino, dove non soltanto le mura, il luogo, la struttura edificata assumono importanza, indispensabili restano anche gli scambi interpersonali, i legami tra gli individui.

L’intento è quello di permettere la nascita di atmosfere, climi impalpabili, altro dai modelli tipici commerciali.

Il rave è e deve essere illegale non come dogma, ma perchè la storia e la controcultura così lo ha costruito, ricercato ma non definito; riempire un vuoto virtuale e renderlo realtà soggettivamente interpretabile ed entità continuamente sperimentabile un possibile obiettivo.

L’approcio diversificato e l’impatto sovversivo nei confronti della metropoli, offre una sorta di passagio veloce ed inafferrabile, dove trascorrere una microscopica particella di vita. Atomi sparsi e distanti raccolti in un ampio spazio fisico e mentale, inesauribile, non cadenzato dal tempo se non quello della musica e del ritmo elettronico quasi perfetto ricostruito dai suoni domestici, più familiari.

La musica elemento pregnante e determinante, è strumento, veicolo capace di improvvisazioni imprevedibili, di performance fuori dagli schemi e dalle etichette riconosciute. Techno significa riciclare suoni, rumori, percezioni ambientali, creando e assemblando sensazioni innovative e ricercate mai udite. La techno è linfa vitale, fluido denso e lubrificante per i nostri neurotrasmettitori, i nostri bisogni concreti, le nostre motivazioni forti.

Il techno rave può semplicemente delinearsi come diretto strumento di cambiamenti esistenziali, senza ansie di certezze o verità assolute, mezzo trasgressivo di recupero di linguaggi e gesti primordiali, di codici complessi da scoprire.

Rave come situazione elastica, di raccordo tra visioni soggettive ed espressioni tribali da piccolo gruppo, come cellule irrazionali e nuclei sperimentali; come esperienza materiale e concreta di vita collettiva, come continuo distacco psichico dal corpo; come essenza estrema per provare dimensioni piacevoli, dolorose, in perfetta sintonia ed armonia di un modus vivendi fatto di ritmi e rumori costruiti secondo esigenze mutevoli, energie mobili ed influssi benefici, contrari alle depressioni metropolitane e allo stress quotidiano; come terapia verso un’esistenza diversamente articolata, irrazionale, incerta, sicura, contradditoria, relativa e scettica.

Dall’ironia sarcastica, dalla profondità di pensiero, dal nomadismo spazio-temporale, dalla costruzione di geografie mentali, la possibilità di provocare viaggi in luoghi che non esistono, l’opportunitàdi abbattere muri e limiti invalicabili.


3.CONTRADDIZIONI E PARADOSSI

Recuperando il discorso precedente sulla cultura del non-lavoro e sul rave come possibile orizzonte di mutamento reale, contro la spettacolarizzazione mass-medianiaca, la conclusione ovvia è che tali dimensioni vadano incastrate secondo vie parallele, che prima o poi si incontrano.

E’ come affermare che il rave può, secondo i sui presuposti, trovare massima espressione in un mondo senza doveri e senza diritti, in un mondo anarchicamente allestito.

Invece paradosso è che il non-lavoro è impraticabile, o meglio, ha bisogno per essere attuato di tutta una serie di trasformazioni concrete all’interno dell’assetto sociale, mentre il rave come supporto o continuum all’utopia del non-lavoro è una realtà ormai diffusa e praticata, espressione diretta ed esplicita del disagio giovanile.

Il rischio principale è che tale evento-situazione, ormai consueto e diffuso, avendo raggiunto un traguardo conosciuto e prevedibile, perda definitavamente l’immediatismo spazio-temporale, l’elemento della velocità, l’occupazione di luoghi sempre diversi, la scarsa visibilità o semi-clandestinità, la gestione orizzontale del posto conquistato.

Il limite del rave, così come viene concepito e immaginato, è quello appunto di essere diventato scontato, superficiale, vuoto, inutile. Non più strumento, mezzo virtualmente costruito e articolato, non fine ultimo di una pratica sociale che etichette e difinizioni non ha mai ricercato.

Il rave, come obiettivo, offre una monosoluzione semplice ad esigenze e desideri che cambiano, si trasformano e si arricchiscono.

L’evento multimediale è quindi ormai sterile e prevedibile, ha perso tutto il suo potenziale di trasgressività e di alternatività.

Episodio sradicato dalla vita quotidiana dove emozioni fittizie non sono riuscite a contagiare l’intera esistenza; è l’unica risposta a mille bisogni e sogni, mentre inizialmente ha concesso la possibilità apparente di risolvere, e in parte soddisfare in maniera creativa e dirompente le esigenze personali e collettive.

La formula magica del rave come pratica ha quindi esaurito il suo mandato.

Con disincanto ci accorgiamo della necessità di inventare qualcos’altro che abbia la stessa efficacia ed incisività.

Di rimando scaturisce che, senza leggi e abitudini consuete, è possibile risolvere l’annoso problema rappresentato dai tutori riconosciuti dell’ordine pubblico, i paladini instancabili della giustizia sempre presenti e all’erta in ogni momento.

Organizzazioni legalizzate, poliziesche, gerarchiche, armate non sono alla nostra portata, inutile ricordare che le azioni, i movimenti, gli spostamenti andrebbere responsabilmente garantiti e considerati adeguati, senza pericoli ingestibili.

Il controllo sociale penetra quando si presentano delle falle, dei buchi, quando la determinazione non è convincente, quando lo spontaneismo diventa banale e vuoto di contenuti concrti e tangibili. In poche parole, quando a monte non esiste una visione complessa, ampia ed esperta, dell’universo umano.


Il superamento dell’occupazione totale


“L’avvenir noi siamo, pensiero e dinamite.”

(L’insurrezione - Londra - 1905)


1.DALL’ISTITUZIONE AL GIOCO

La formula organizzativa del rave-evento può ormai trovarsi di fronte ad un empasse, ad una condizione statica e stabile, troppo sicura, tale da poter essere definita come una sorta di istituzione, con le sue leggi e le sue scontate abitudini.

Tutto questo è chiaramente paradossale, viste le sue enormi potenzialità e capacità di trasformazione sociale ed individuale.

Trasgredire le regole imposte non può essere svuotato del suo contenuto dirompente e destabilizzante, non può essere ridotto ad una semplice “parola d’ordine”, tipica di organizzazionio gruppi politici che adottano strategie sempre uguali e compiono azioni con pretasa di armare caos e disturbo nelle metropoli, ma che, in fondo, sono semplici la loro prevedibilità poco originale aumenta la repressione immediata.

Superare l’occupazione di luoghi fisici dove svolgere molteplici attività, a mio avviso, può in certi momenti, anche di breve durata, essere pratica politica efficace e produttiva; fermare l’azione per crearne di nuove, più incisive e rumorose, è necessario in alcuni frangenti; le opportunità e le possibilità devono crescere, svilupparsi e diventare necessarie se si vuole conquistare obittivi difficili e inconsueti.

Senza dogmi, senza velate certezze, ritengo che abbattere i muri, quando questi tendono a diventere ghetti dorati o situazioni estremamente sicure e pacifiche, può essere indispensabile per non fermarsi mai.

Adagiarsi all’interno di condizioni ovattate e protette blocca drasticamente le energie, la volontà, le aspirazioni creative di cervelli sempre in movimento; almeno si cerca di attivare le menti, il pensiero per muoversi concretamente e per non ripetere all’infinito le stesse ambientazioni, gli stessi giochi.


2.SENZA VERITA’

Ripartire da zero, talvolta, può essere utile ripercorrendo a ritroso percorsi già seguiti è indispensabile per agire meglio e per rioccupare lo spazio e il tempo.

La difficoltà è riuscire a cogliere l’attimo, il breve momento per la stasi, per l’analisi delle esperienze passete e trarre così benefici per l’azione futura. Spontaneamente.

La conoscenza profonda dei fenomeni sociali e psichici è sicuramente proficua; invece spesso ci si trova impreparati ad affrontarte e a comprendere l’ambiente che ci circonda; non faccio riferimento a statistiche psicometriche o ad ipotesi da dimostrare, gli approcci scientificamente esatti e il sapere accademico non possono fornire parametri di riferimento per le azioni che provano a rivoluzionare la vita. E’ proprio contro tutto ciò che tende a una definizione precisa e misurabile delle situazioni che bisognerebbe opporre il libero pensiero e la pratica del gioco spontaneo e creativo.

Alimentare e fornire imputs alla fantasia non è sinonimo di regressione infantile, ma è l’obiettivo di inventare un mondo adulto diverso, fondato su leggi e norme non ancora scritte e per questo sconosciute e nascoste.

La ricerca dell’equilibrio spesso non è consapevole, talvolta lo si ragguinge e non si riesce scorgerlo; importante e romperlo per poi riscrearne un altro. E’ un continuo passaggio anche doloroso tra pensiero-stasi e movimento-azione, dove il dinamismo è immobile e l’arrovellamento cerebrale provoca spostamenti.

Sperimentare la complessità, costruire la propria realtà, inventare cellule o piccoli gruppi creativi di non-lavoro, per poi confondersi di nuovo nella massa, approfondire le comunicazioni interpersonali è la vera dinamite che scoppia dove necessario.

Vivere l’estremo per ritornare a viverlo meglio, questa la scommessa!


N.B. Questo contributo scritto nel dicembre 1995 e aggiornato nell’aprile del 1998, va letto, riciclato o bruciato!

Fatene l’uso che preferite.


MERIDIANA 0.7


pics & words © ANTONELLA PINTUS 

martedì 22 agosto 2023

ROMA @ RAVE IN ITALY (2018)

contributo @ RAVE IN ITALY 

gli anni novanta raccontati dai protagonisti 

curato da Pablito el Drito 

pubblicato da Agenzia X 2018

pubblicato su Not Nero Edizioni 2018





ROMA

di Anna Bolena


Sono sempre stata appassionata di musica. Mia madre suonava il pianoforte e insegnava musica nelle scuole primarie, sono cresciuta in una casa in cui c’erano dischi sia di cassica che di altri generi. Alla fine degli anni ottanta, venendo dalla scena post punk, avevo una idiosincrasia nei confronti della musica elettronica da ballo, che consideravo di cattivo gusto e superficiale. Era un mio pregiudizio, una chiusura mentale che negli anni ho poi superato. Anche perché poi un genere musicale va studiato, approfondito, vissuto e compreso. Quando mi sono ritrovata a Roma nella scena di movimento, la musica principale che girava era il punk e il rap. Era musica di protesta, la colonna sonora di parole d’ordine e contenuti politici che caratterizzavano quel periodo storico. Io ho militato nel movimento studentesco de LA PANTERA all’Università della Sapienza, poi sono entrata in contatto sia coi centri sociali, con le radio di movimento, l` Autonomia Operaia, i comitati di quartiere, le sedi politiche, per poi militare nel circuito anarchico e entrare a far parte del collettivo CONTROCULTURA al Pigneto.  In quel periodo i fascisti avevano iniziato a riaprire luoghi di aggregazione in diversi quartieri, non solo quelli storici di appartenenza. Era una situazione anche pericolosa, ci sono stati scontri anche fisici durante gli attacchinaggi notturni.

La musica elettronica era considerata dai compagni musica commerciale, anche perché era ballata principalmente nel circuito delle discoteche.

Quando noi abbiamo cominciato a suonare e organizzare rave, la musica che mettevamo era quella che compravamo da Remix, un negozio romano che è stato fondamentale per diffondere techno/electro e musica sperimentale come l` IDM.

Il movimento dei rave illegali e` iniziato nel 1993/1994 grazie a un gruppo di musicisti e compagni stanchi della solita musica dentro i consueti luoghi di aggregazione sociale della sinistra extraparlamentare. Alcuni di noi componevano gia` musica da ballo e non solo con apparecchiature elettroniche. Musica acida più in sintonia con il mood di queste prime feste, che si svolgevano in periferia. 

La musica, al tempo, rappresentava solo uno degli aspetti del movimento anche se per me è diventata sempre più preponderante. Al’inizio l’occupazione deglli spazi periferici aveva un aspetto prettamente politico. Si andavano a prendere gli spazi delle città lontani dalle solite organizzazioni, sia da quelle commerciali, sia dagli spazi sociali. Anche perché nei centri sociali c’erano delle restrizioni di tipo estetico, culturale, musicale. E anche dei pregiudizi. 

Io sono sempre stata una persona molto curiosa e aperta, che ama trasgredire. Mi ero resa conto che la musica elettronica aveva una valenza culturale. Basta pensare alla tradizione inglese o a quella americana. Poi, ascoltando la scuola romana, mi sono definitivamente innamorata di quel suono. Continuo a ritenere che la scuola romana sia quella che mi ha formata, tanto che il suono di Roma sia quello che si continua a sentire anche nelle mie produzioni attuali. L’utilizzo della musica techno aveva una sua funzione: riportare un po’ di novita` e creativita` (come momento di rottura dal consueto suono "sociale") dentro il discorso dell` autogestione e del controllo del territorio all’interno delle situazioni politiche. La nostra aspirazione era quella di strappare al “muretto fascista” il ragazzo di periferia, indottrinato alla cultura dell`intolleranza e della violenza, che era attratto da questo  tipo di musica. Mi ricordo che all’inizio del movimento dei rave illegali arrivava gente coi bomber e scudetti, che apparteneva a questo tipo di comunità di periferia, cresciuti a techno e saluti romani. La nostra sfida è stata quela di presentare a questi ragazzi un’alternativa alla discoteca commerciale mostrando direttamente su campo come si organizza dal basso un party di musica elettronica da ballo.

Io ero in contatto con alcuni musicisti / dj che stavano dentro il Forte Prenestino e al centro sociale Pirateria. Mi sono ritrovata a fare con loro un paio di feste nei centri sociali e qualcuna in periferia. 

Nella periferia est di Roma ho cominciato a ballare la techno. Lì ho cominciato a studiare generi e sottogeneri: electro, trance, hardcore, e ovviamente techno. La scena romana produceva techno sperimentale. Penso a Lory D, Leo Anibaldi. Poi c’era la scena “detroitiana”, legata al nome di Andrea Benedetti e Marco Passarani. Leo Anibaldi, giovanissimo,  già lavorava a livello internazionale e produceva dischi. C’erano anche i gemelli d’Arcangelo, che hanno influenzato il mio suono industriale. Tuttavia io amavo anche molto la scuola inglese IDM: Aphex Twin, Squarepusher, etc… La trance, nonostante il grosso della produzione fosse stata nel 1992-93, andava ancora forte in città. Alcuni suonavano goa, di cui non sono mai stata una grande appassionata. La presenza variegata e variopinta della musica è un aspetto molto bello degli anni novanta, un aspetto che secondo me negli anni si è andato perdendo. Si è sempre più asciugato in categorie tipo techno e house. Addirittura c’è gente che ancora pensa che l‘electro non faccia parte dela techno! Negli anni novanta ci interessava poco definire il genere, ci intrigava di più la dimensione alternativa della riappropriazione degi spazi e della produzione musicale. Che poi è un movimento  parallelo di integrazione a quello che era l’eredità culturale e politica dei centri sociali. Era un’esigenza di portare freschezza, quindi anche il fatto di usare la techno come veicolo per aggregare persone è stato un aspetto fondamentale. Questo avviene dopo quella fase di rave commerciali fatti in discoteca nei primi anni novanta. Io in discoteca ci sono andata a sentire la musica dark, a Roma frequentavo il Uonna. 

Quando ho incominciato a comprare dischi di elettronica mi sono appassionata a due generi: industrial e idm. Ho comprato anche robe più dancefloor, trance a 150-160 bpm e anche acid techno. L’acid techno è una cosa che ogni tanto ritorna di moda: il bassline usato in maniera esagerata esiste da sempre e non morirà mai. La musica acid dal mio punto di vista è musica più facile. L’acid di Leo Anibaldi rimane anche un prototipo del genere. Che però, a differenza di altri prototipi di quel genere, mantiene sempre quell’eleganza e ricercatezza che solo Leo ha saputo esprimere. 

Un cosa positiva della scena romana è stata che dopo i primi due anni di rave illegali, che possiamo collocare nel biennio 1995-1996, è nata l’esperienza della Fintek. Questa ha coinvolto tante persone. La Fintek è stato un rave illegale continuato, che durava 3-4 giorni a settimana. L‘occupazione è durata un paio d’anni. Alla Fintek per la prima volta si sono riusciti a portare artisti importanti come Panacea, che noi adoravamo all’epoca. La drum’n bass che faceva, che poi è stata definita darkstep, è una cosa di cui ci siamo appassionati subito. Quando è venuto a suonare in una delle salette per la prima volta eravamo solo una ventina di persone. Anzi, forse diciannove! Quando tornò al Forte Prenestino in compenso lo attesero le folle. Vero è che lì era già diventato famoso. Position Chrome è una delle etichette fondamentali del genere. Altre persone che hanno cambiato la mia conoscenza della musica sono stati Christoph Fringeli della Praxis,  Rachael Kozak della Zhark e Dan Hekate. Hanno portato una grande freschezza nella scena. La Praxis la conoscevo già, o meglio, conoscevo già le produzioni. Avere incontrato Christoph e soci della Praxis è stata una cosa fondamentale, perché poi abbiamo fatto anche cose insieme. 

Per me Praxis è tuttora una delle etichette più importanti. Il suono è molto radicale, va dalla breakcore passando per il noise fino all’hardcore, però con venature molto sperimentali, molto ricercate. Sono dischi che vanno calibrati. All’epoca li suonavamo parecchio perché eravamo rimasti in fissa! Li prediligevamo perché avendo come base la cassa spezzata lo usavamo per contrastare la noia del 4/4 alla Spiral Tribe. Lo dico con tutto rispetto per loro, abbiamo pure organizzato cose insieme, ma il loro suono mi ha sempre appassionato poco. 

Mi attraeva tutto ciò che si contrapponeva alla ripetizione noiosa e lo suonavo.

Si creò una contrapposizione tra chi suonava la cassa dritta e chi quella spezzata. Cosa che a me irritava pure, perché a me piaceva suonare sia una cosa che l’altra. Certo, tra un suono che abbraccia un consenso maggioritario e uno che abbraccia un consenso minoritario, io mi schiero con quest’ultimo. 

Il periodo della Fintek è stato molto interessante e vivace. Anche molto sociale. Il fatto di avere un posto fisso dove poter fare party è stato estremamente importante. Un po’ ha dettato delle regole e poi ha rappresentato quello che poi succede in tutti i movimenti. Non dico che si sia trattato di “imborghesimento”, ma sicuramente un rendere la cosa forse un po’ più noisa e meno ricca di sorprese. Le persone che arrivavano alla Fintek erano le stesse persone che venivano nei rave “mordi e fuggi” dei due anni precedenti, cui si sono poi aggiunte altre persone. Noi siamo arrivati ad organizzare rave fino a seimila persone, e la Fintek aveva più o meno gli stessi numeri. Però mentre negli illegali classici si organizzava il sabato e poi la domenica si andava via, con la Fintek si iniziava il venerdì, a volte anche il giovedì. E c’è stato un afflusso di gente da tutto il mondo. La gente che veniva era di tutti i tipi, non era gente necessariamente politicizzata. Dentro la fabbrica ci vivevano, con grosse difficoltà molte perone. Il posto fu preso in origine da un gruppo di amici di Sasha, un dj inglese, che era morto in India. Per ricordare Sasha gli amici fecero una prima festa nella fabbrica dismessa della Fintek. Doveva essere un evento singolo, divenne poi un’occupazione stabile. Quest’occupazione ha portato al mescolamento di persone di vario genere, tra cui alcuni traveller legati alla scena degli Spiral Tribe, dei Kamikaze e degli OQP, insieme ad una seri di musicisti sia della scuola romana, che dela scuola internazionale. 

Io frequantavo la Fintek ogni fine settimana, avevo lì una sorta di residenza. Ci suonavo spesso. 

Appartenevo a un gruppo, quello della rivista “Peti nudi”. Stiamo parlando del 1997-1998. La rivista è nata quando ci fu questo grosso evento per Sasha, e di conseguenza uscì il primo foglio, che mi comparve come un’apparizione notturna. In questo foglio c’erano dei riferimenti sia a Sasha che alla scena romana. Erano interventi provocatori, incorniciati in maniera irrivente dal grafico Matteo Swaitz. Noi di “Peti nudi” abbiamo portato il dark nella scena. Per noi nelle feste c’era un approccio troppo colorato e fricchettone, che a noi non piaceva. Quindi abbiamo tematizzato i contenuti musicali e estetici, in modalita` esoterica, in chiave loggia massonica. Ma era un modo per divertirci, per prendersi in giro. Da lì “Peti nudi” è uscito in varie edizioni, non tantissime. Non era facile farlo, perché la maggior parte della fanzine la scrivevo io. C’era qualche altro sparuto intervento, ma principalmente i testi erano farina del mio sacco, combinati con le foto di Stefania e la grafica di Matteo. La nostra presenza alla Fintek ha portato ricchezza culturale. All’interno della Fintek si era creata una socialità anche drammatica a volte. Alcuni sviluppavano atteggiamenti psicotici, perché si faceva una vita durissima. Qualcuno ha iniziato ad avere dei problemi sociali e comunitari, che sono sfociati in litigi anche molto pesanti. Qualcuno è anche morto là dentro. Però penso che con la partecipazione di 5-6000 persone, anche le morti siano cose normali. In tutti i fenomeni giovanili qualche morto c’è sempre scappato…  Non è facile mettere tutto in sicurezza. Ci siamo improvvisati su molte cose, non solo in consolle.

Discorso stati alterati di coscenza e incoscenza: le droghe giravano. C’era di tutto e di più, con il tabù della cocaina e dell’eroina, che comunque c’erano. Il tabù era un detto, ma non un fatto. Non stupisce che molta gente sia finita nell’abuso, ma questo sarebbe superfluo raccontarlo. La Fintek ad un certo punto è diventata un grosso luogo di spaccio, creando grossi problemi. Sia a livello di salute di chi ci abitava, sia a livello di controllo sociale. Le droghe arrivavano principalmente da fuori, anche se qualche laboratorio nella zona tra Roma e Napoli avrà dato certamente il suo contributo. Però le droghe di fattura superiore venivano dall’ Olanda, dall’India via Londra, qualcosa arrivava pure dalla Francia. In questo eravamo molto internazionali non c’è che dire. 

Se un posto è fermo gli apparati della sicurezza e del controllo sociale sanno che sei lì e quindi forse non ti rompono le scatole. Però per chi sta lì fermo tutto questo comporta un adagiamento. Qualcuno un po’ meno sveglio, che stava in un periodo di fragiità ha subito questa cosa… Le polemiche e le critiche sula Fintek sono state tante, ma prima di arrivare alla scritta “Fintek rave di stato” nei pressi dell’entrata, io avevo scritto un pamphlet sul fatto che il rave illegale era morto. Per me era finito nel 1996. Quando abbiamo iniziato ad avere un pubblico di seimila persone non c’era più niente dell’illegale originario. Si raccoglievano tante persone che facevano già un utilizzo smodatissimo di sostanze, dove anche l’elemento musicale iniziava a perdere d’efficacia. C’è stata come una liberalizzazione di tante cose, ma che poi liberate non erano!

Ad esempio una cosa che non si è mai discussa è la questione del gender, l’aspetto della relazione tra uomini e donne. Io per molto tempo sono stata l’unica dj donna all’interno del nostro gruppo. Adesso le cose stanno cambiando e sono cambiate. Alla Fintek la “manovalanza” organizzativa e di consolle era quasi tutta maschile. Le donne, quando c’erano, davano una mano al bar o in altre funzioni. Io però ero quella che organizzava le consolle. Ho sempre avuto molto rispetto forse anche perché ero l’organizzatrice. Poi alcune altre ragazze hanno iniziato a suonare, ma dopo di me. Però c’è stato un lungo periodo in cui ero l’unica donna a maneggiare dischi.  

Il rave ad una certo punto l’abbiamo pure portato al centro sociale. E quindi siamo ritornati da dove eravamo partiti! All’inizio l‘”intellighentia” del centro sociale era contraria, i compagni più grandi erano molto scettici. Soprattutto quelli che venivano dagli anni settanta/ottanta. Non capivano questa cultura, oppure intravedevano una china pericolosa. Secondo me erano dei conservatori che non avevano voglia di affrontare una generazione meno politicizzata della loro. Cosa che avrebbe richiesto comunque un grosso sforzo. Questa cosa è stata portata avanti dalla mia generazione, quella di mezzo. Noi avevamo voglia di confrontarci col nuovo.  

C’è anche un’altra questione che lega centri sociali e rave: le stesse droghe che giravano ai rave giravano nei centri sociali. È normale che ci fosse un collegamento tra le due scene. Perchè se all’inizio c’erano tensioni con la vecchia generazione, la nuova generazione invece voleva fare parte del movimento rave. Alcuni dei dj venivano dai centri sociali. Anche se io non ho mai fatto parte di nessun collettivo dei centri sociali, c’è stato un tentativo di portare dentro gente come me. Perchè noi eravamo il nuovo che avanzava. Loro avevano bisogno di gente come noi da strumentalizzare. Ma per me il centro sociale era un ghetto. 

Anche a Radio Onda Rossa, la radio del movimento romano, c’era chi era contro la cultura rave.Però c’è da dire che il primissimo movimento rave romano è stato caratterizzato dalla presenza anche radiofonica di “Hard raptus”, che era una trasmissione techno. Altre radio erano pronte a seguire. Ma Radio Onda Rossa era la radio che stava nel territorio sociale e politico, con un collettivo che controllava la tematiche. All’inizio degi anni novanta su una radio commerciale c’era pure il Virus di Freddy K, che è stato fondamentale per sdoganare la techno. Però stiamo parlando di un circuito che era quelo bottegaio delle discoteche. 

Nel 1999, quasi al volgere del nuovo millennio, ho fondato Idroscalo Dischi.  È stata la mia risposta alla fine del rave. Ho voluto spingere le mie energie organizzative verso la produzione musicale. Ho pensato che la musica dovesse essere la risposta a questo riflusso, al controllo sociale, alla caduta nell’abuso di sostanze. Una controffensiva all’approccio consumistico in chiave antiborghese. La musica è quella che mi ha salvato da sempre: sono nata con la musica e continuo a farla.

Anna Bolena è nata in Sardegna, trapiantata a Roma, vive per intero la scena rave della capitale, di cui è una delle organizzatrici e una delle poche dj donne. Nel 1999 fonda Idroscalo Dischi, etichetta indipendente dedicata al suono elettronico di matrice industriale. Vive a Berlino dove prosegue la sua carriera di dj e produttrice.


words © ANTONELLA PINTUS pic Paola Verde

lunedì 21 agosto 2023

IL NOSTRO PASSATO E' IL NOSTRO PRESENTE _IL FUTURO NON ESISTE contributo @ Detonazione! (2019)


contributo x il libro  DETONAZIONE! 

Percorsi, connessioni e spazi altri nella controcultura romana degli anni novanta

Stati di alterazione

Gender no gender

Autoproduzioni

Art & anti art

Movimenti

Profezie 

Riviste

Visioni

Ritmi



IL NOSTRO PASSATO E' IL NOSTRO PRESENTE

IL FUTURO NON ESISTE


di Anna Bolena 


PETI NUDI//QUARTINI AVARIATI DI MAL®UMORI VISCERALI (1997­-1999) 

"6angue 6udore 6perma 

fischi contraddizioni dubbi insulti perplessità verità intolleranza peti nudi, peli nudi, peri rudi, peni nudi, feti nudi, feti ruvidi, peni ruvidi, rutti nudi, rutti puri, reni puri, reni fuori, rane rade, rovi rudi, rovi fieri, rave neri, rave nani, rave puri, piedi nudi, piedi rari, peri lieti, fori lieti, fori rotti, bava rara, bove rado, rutti fuori, riti neri, culi rotti: La vicina di casa alla domanda: "Cosa ha pensato la prima volta che ha visto Peti Nudi?" Editoriale PN 999 

"Siamo qui per confrontarci con tutti, e se è il caso anche ignorarsi perché incompatibili. Nessuna pietà' per i servi e le donnette!!!! Stima e rispetto per pochi! Amore e passione per qualcuno. Stronzi ma buoni." LA LOGGIA Editoriale PN 666 


Gli anni novanta del Novecento non sono stati affatto confortevoli, a tratti forse piacevoli, mai risolti; sono stati e resteranno l'ultimo decennio contraddittorio di un secolo violento e complesso, uno spaccato ricco di spunti ancora da approfondire e di avvenimenti che hanno mutato inesorabilmente la geografia psicofisica di chi li ha vissuti. All'interno di queste trasformazioni non sempre richieste abbiamo solleticato i batteri a  intraprendere nuovi viaggi narrativi, a battere strade innovative verso mete ignote, a sperimentare progettualità' spontanee, nella vita di tutti i giorni compreso il dopolavoro. [È il presentimento di affondare nel caos, nell'incertezza che determina l'organizzazione limitata e razionale della vita quotidiana. L'alienazione grigia, sbiadita, la ripetitività ricercata nella strutturazione estremamente rigida dell'esistere, o meglio del sopravvivere, trova apparentemente una possibilità di riscatto e di cambiamento nel gusto compiaciuto del divertimento fittizio, comprato a caro prezzo, allestito secondo i dettami delle mode e delle nuove tendenze. Il culto materiale dell'immagine giusta al posto giusto, del look arricchito e ingigantito dall'ultimo oggetto optional che va tanto in voga, ben si concilia all'interno dell'organizzazione quotidiana dell'uomo-donna che lavora, produce e consuma... da VIVERE L'ESTREMO E RITORNO di Meridiana 0.7 ­ PN 666] Prima della inesorabile fine della ideologia degli ultimi perdenti, della storia dei presunti vincitori, della filosofia del narcisismo compulsivo e dell'onanismo logorante davanti a Pornhub, delle differenze di gender e anche no, della politica degli sfigati al potere, ci stavano spazi creativi dove comunicare le proprie opinioni e scambiare i propri bisogni e desideri, dove amare e odiare erano vissute in modalità analogica, a volte dolorosa, ma affrontabile, a stretto contatto fisico e mentale, con esiti inaspettati ma comunque stimolanti. [Sabato 20 settembre gioiosa inaugurazione del Tempio della Pezza, alias Spazio Kamino, rioccupato con una grande festa d'inizio stagione. Numerosi i DJs che si sono alternati alla consolle, alcuni (nuove leve della techno cittadina) hanno ripercorso tutta la vecchia tradizione romana e non solo, con simpatico carisma; altri, invece, hanno provato con convinzione ad accontentare il pischellame tipico del quartiere (semplice e sincero), con dell'ottima hard techno industriale. Il tutto condito da un'atmosfera calorosa e afosa, sicuramente un po’ fastidiosa; ma comunque ne è valsa la pena. Forse per qualcuno l'iniziativa ha rappresentato poco più che niente di nuovo sotto il sole. C'è invece da constatare che rispetto al grigiore triste di questi ultimi mesi nella periferia marina della città si respira un dolce venticello fresco e invitante. D'altronde i progetti dei giovani occupanti sono interessanti e indispensabili per non fermarsi: ristrutturare il posto per renderlo più vivibile, organizzare una saletta prove, promuovere e finanziare un vinile autoprodotto su etichetta indipendente, allestire altri parties in futuro, etc. Quanto basta per incoraggiare e sostenere il loro entusiasmo. In culo alla balena! Dalla rubrica Consenso Popolare SPORCHIAMOCI LE MANI Riapertura e ristrutturazione dello Spazio Kamino a Ostia di Meridiana.07 ­ PN 1]




Non abbiamo vinto alla lotteria, ma neanche perso il treno della storia. Abbiamo tentato a volte con difficoltà, molto spesso con ardore e passione di gettare le fondamenta durature del passaggio dalla nostra giovinezza alla dimensione dell' essere responsabilmente adulti, che poi altro non è stato se non appropinquarsi alla fine dell' impaziente secondo millennio fingendo di essere pronti al salto verso l' ignoto, e prima di venire divorati e consumati dal turbocapitalismo, segmentati dal social network, psichiatrizzati dal lavoro precario, disintegrati nel s.uperamento delle in/differenze di genere e dopo il "produci consuma crepa" degli anni ottanta, comprendere in ritardo che Nostradamus col cazzo ci aveva azzeccato.

Immagine di copertina dell'ultimo PN nr. 888 tradotto anche in inglese, che raffigura due giovani sulla spiaggia di Ostia: uno rasato in tuta mimetica militare con un boa di piume sintetiche di struzzo e ai fianchi un kit di sopravvivenza (pentolino in acciaio, piatto in plastica e bottiglietta di ketamina); l'altro con dreadlocks, occhiali e turbante arabo indossa una tunica, entrambi a braccia conserte a chiosare la scritta pleonastica: READY 4 THE NEW MILLENIUM/fatti non parole 


Passaggio involontario dall' aspirato vacuo nulla "copy and paste" dal "no future" degli anni settanta, fino all'incubo della quotidianità forzata da nuove esigenze societarie che non servono a farti stare bene ma neanche a farti stare male, certo è che non ti servono. Dopo una brillante stagione ricordata come la fase degli illegali romani (quando i rave parties si organizzavano un po' dappertutto sia in periferia che in centro a Roma), iniziò un leggero decadimento spirituale e fisico, percepito per lo più come già definitivamente decaduto, non senza un pizzico di drammaticità' che non guastava almeno l' estetica del periodo. [Ultimamente all'interno dei rave parties si sta diffondendo uno strano morbo, una pericolosa epidemia che sta progressivamente distruggendo quanto di concreto e creativo è stato costruito nel corso del tempo. Purtroppo tale malessere ha già inevitabilmente contagiato una serie di persone.....Accecati dal protagonismo sterile e dal desiderio di apparire come leader, questi soggetti non fanno altro che occupare per ore la consolle proponendo musica insulsa e appiattendo totalmente anche quanto di più sperimentale e innovativo esiste nel panorama musicale underground, producendo in questo modo un tipo di atteggiamento che inibisce l'espressività' di coloro che nella ricerca e nella comunicazione investono gran parte del loro tempo....Nuovi suoni e altre energie si scaglieranno contro questo stato di cose. La prossima realtà' musicale coprirà sotto un cumulo di polvere la banalità e le sue stupide marcettine. Da MINIMAL SHIT di BIG HEAD ­ PN 999]



Proiettati verso la fine del secondo millennio o l'inizio del terzo dipende dalla prospettiva, un gruppo consistente pianificò e occupò nel settembre del 1997 lo spazio in disuso dentro e attorno la fabbrica della Fintek a Castel Romano, periferia sud della capitale. L'occasione per altro funesta fu la morte prematura per overdose in India di un nostro caro amico inglese, il dj eclettico e musicista bizzarro, Sasha Sansbury. In principio avrebbe dovuto essere un rave volante di un paio di giorni, prima che la Fintek divenne un punto di riferimento nazionale e internazionale della scena elettronica romana. [Una delle ultime volte che ho visto suonare Sacha, indossava una parrucca coi ricci neri lunghi, calzoncini bianchi da gelataio e camicia a quadri tipo yankee; inutile dire che ho riso tutta la sera. Quello che ricordo con piacere è che improvvisò in circa un'ora di consolle una selezione di techno ­ jungle – drum n bass, miscelata con enorme abilità a una serie di pezzi storici di dance funky anni ‘70. Notevole, convincente, dissacrante come sempre, con in più un pizzico di eleganza. Sacha è con noi in tutti quei momenti di vita vera, di gioia estrema, d'irresistibile sarcasmo. È stato con tutti noi che non lo dimentichiamo anche il 27 settembre (giorno del suo compleanno) per una due giorni nei pressi di Pratica di mare, vicino a Roma. L'ex industria di prefabbricati, fallita ormai da dieci anni, è stata occupata da circa 1500 persone, che da anni si ritrovano per creare situazioni ed emozioni diverse e diversificate sempre più rassomiglianti ai nostri sogni e bisogni. Stravolgere l'uso consueto e routinario del tempo e dello spazio è l'obiettivo prospettabile, senza tralasciare i molteplici modi d'attuazione delle nostre esigenze e i numerosi altri metodi e strumenti che ancora dobbiamo scoprire e sperimentare. Affinità e non gerarchie, chiarezza d'intenti e non percorsi forzati....Da questa due giorni è scattata la presa e l'occupazione del posto, non solo per uso abitativo ma anche per provare ad attuare forme di convivenza stimolanti e lungimiranti. È cominciata la lenta creazione di uno spazio più vivibile e confortevole; lo sforzo di ripristinare una struttura abbandonata e in parte disintegrata dagli anni. Lo spirito del gruppo di persone che si sta sbattendo in questi giorni è espresso in queste righe stralciate da un volantino comunicato alla radio: Esausti dall'incastro di una metropoli a scomparti come Roma, dove sembra impossibile creare una realtà diversa perché comunque soggetti al tempo­denaro. È l'energia dell'unione che muove le nostre azioni e senza di essa per noi sarebbe pressoché impossibile realizzare i nostri sogni. Quest'area ci da ossigeno e a nostro avviso merita la vita. Da Fintek: il Clan. We will survive dalla rubrica Consenso Popolare NON SOLO UNA CELEBRAZIONE di Meridiana.07 ­ PN 999]


Peti Nudi, technozine in semplice formato A4 ripiegato, nacque esattamente in quel fine settimana di settembre, è stata occasione per me e per gli altri che mi accompagnarono in questa discontinua esperienza editoriale di sapore D.I.Y., di raccontare in maniera sostanzialmente provocatoria e scanzonata la scena non commerciale della musica elettronica che ci piaceva allora; [...il promettente DAN, che come sempre con la sua grinta cerebrale, ha solcato le nostre budella attraverso incastrose distorsioni grattugiando gli ultimi lembi della mono­cellula gigante del nostro abusato cervello.... Dalla rubrica Consenso Popolare IL TUMULTO VIENE DA LONTANO... E DA VICINO recensione di Anna Bolena su Hekate Crew presso Fintek Agosto 1998 da PN­888], o ancora [Il nostro amico crucco non ci ha deluso! Bombe bordeaux con scritta Planet Core Production in gotico sulla schiena e cassoni inauditi che sprizzano da tutti i pori. L'incontro con lui è stato sacro. Heil The Mover.... Da Consenso Popolare TAPPETTINI ROSSI E NERI. Recensione di DJ Swaitz sul set di Marc Arcadipane presso Fintek Novembre 1997 PN 333], oppure [Seriosa attitudine di un professionista professore evidenziata da un gusto musicale elegante e dirompente....Come un duca al comando... Da Consenso Popolare ONLY JUNGLE CORE considerazioni sul set di Fabrizio D'Arcangelo presso Brancaleone Roma Febbraio 1998 PN 666] Partorii l' idea di una rivista cotta e mangiata in una notte agitata e insonne, con l'intenzione di pungolare e far riflettere l'entourage che mi circondava, divenuto un tantino noioso e conformista. Ormai poco stimolata e ancora desiderosa di dare un contributo, processai a grandi linee il progetto che condivisi il giorno dopo con gli altri e che realizzammo immediatamente in formato volantino da distribuire alla festa d'occupazione della Fintek. Le reazioni furono controverse, qualcuno non apprezzò l'impaginazione satanista e massone della copertina, altri trovarono di funesto gusto la foto di Sasha con in mano una boccetta di ketamina, altri contrariamente trovarono il tutto molto divertente ed edificante.


Immagine dall'editoriale del primo numero di Peti Nudi raffigura Sacha con una t­shirt S.P.Q.R. in mano una boccetta di Ketalar utile CONTRO IL RODIMENTO DI CULO, L'APATIA ROSICONA, L'INVIDIA INTESTINALE

L'ardita operazione stucco e ristucco dei bassifondi musicali metropolitani ormai moribondi era iniziata. Impresa titanica con destinazione ignota. Grandi aspirazioni, stimoli positivi, nessuna certezza. Peti nudi, come l'aria fritta che non racconta niente d'interessante ma che dice la verità, quella scomoda che nessuno vuole sentire, che come un farmaco scaduto squassa le budella con dolorosi trip lisergici, che come la passione bassa evacua le tossine ammalate da stupide menzogne. Antidemocratici di professione, provocatori per sfizio, edonisti prima dello sdoganamento del vanity fair su instagram, anticipammo confusamente il pornoterrorismo antisessista e la politica del fancazzismo, attraverso l'uso fastidioso di parole d'ordine fasciste e comuniste mescolate dentro un calderone di tradizione individualista e anticonformista di rimembranza nietzschiana. [Alla fine del secondo millennio, quando gruppi ecologisti fanno campagne di salvaguardia delle ormai numerose specie animali in via d' estinzione, o qualche regista hollywoodiano allestisce set miliardari sulla vita passata di quelli estinti definitivamente, talvolta abbiamo la nostalgia di quelle assemblee comizio dove i prossimi leader e aspiranti capi della futura classe politica si esercitavano in logorroiche dissertazioni da manuale; davvero commoventi e indimenticabili. Invece gli odierni dirimpettai e strillatori da palco non sono degni di reggergli nemmeno il tempera lapis....avendo scarse possibilità … di comandare secondo modelli gerarchici i propri posti tanto faticosamente sottratti alle infami leggi del mercato capitalista, strumentalizzano qualsiasi situazione ambigua...per richiamare all' ordine e alla disciplina marxista leninista, con convocazioni urgenti simil Comintern, la manovalanza che non vuol più' sottostare nei ranghi assegnati. Da A VOLTE RITORNANO Vetero politicanti o nuovi bielorussi di LA Loggia ­ PN 333]



Immagine da PN 888 (in chiusura dell' editoriale sul proibizionismo delle sostanze psicotrope: Democratici. Mai. Storie di repressioni e depressioni) che raffigura lo striscione ERBA ROBBA DA CONIGLI con l' A cerchiata, da noi appeso sulle grate del Forte Prenestino Roma durante la Festa della Semina primavera 1997


Vision: rompere i coglioni a tutti i costi, sfracellare le ovaie sempre e comunque. 

Mission: distruggere lo status quo di una scena sotterranea che già faticava a combattere improbabili starsystemati e beceri protagonisti da consolle senza arte ne parte. 

Strumenti: estetiche prese in prestito dal punk, dalla techno europea, dalla tradizione e iconografia cattolica, dalla massoneria e dal satanismo, dalla bibbia, dalla cultura pop, dalle riviste porno e dai fumetti erotici, dall'immaginario dark degli anni ottanta, il tutto condito e rivisitato con sarcasmo e irriverenza. Volontariamente maleducati, consapevolmente cafoni, tendenzialmente stilosi, entertainers nati. Divertimento assicurato.



Immagine di copertina del numero 333 di PN che raffigura ANNA BOLENA smorfia di disgusto con scritto sulle tette OUI JE SUIS a fianco l' ANATEMA I che recita: "Paladini dell'immondizia fatta spettacolo, lontananze estreme di pressapochismo e indifferenza ci separano. Testimoni apocrifi dell'inconsistenza sguazzeremo nell'unica sostanza autentica che ci circonda, la merda che espelliamo ogni giorno. Chi consuma, crepa."


La fanzine realizzata in sole sei edizioni e in pochi esemplari rigorosamente fotocopiati in bianco e nero nero, con numerazione casuale tipo 333 o 666 si articolava, a eccezione di alcuni interventi esterni di amici ed esperti, su uno schema a metà strada tra il quotidiano locale e la rivista patinata di gossip. Copertina Editoriale Consenso Popolare (impressioni su eventi e feste, concerti e dj set) L'angolo della scienza (considerazioni sulle droghe) Ricette (recensioni musicali), charts e inserzioni di etichette discografiche o artisti Flyers e statements Poesie licenziose e racconti pornografici Articolo principale su musica e cultura rave Interviste e inchieste Poster da appendere Retrocopertina




pics & words © ANTONELLA PINTUS 

Anna Bolena: Rave, resistenza, libertà (LEFT maggio 2025)

Anna Bolena: Rave, resistenza, libertà   Dalla Roma antagonista alla Berlino underground, la dj e producer sarda racconta trent’anni di mu...