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martedì 28 novembre 2023

Ambush Records London_I franchi tiratori @ PETI NUDI (1998)

 



AMBUSH RECORDS, I FRANCHI TIRATORI

“Ambush è un’etichetta che nasce dalla variegata realtà urbana della periferia sud di Londra, da coloro che dentro una riserva protetta trascurano l’ordine costituito, dove incroci fertili di sperimentazione e numerose ispirazioni underground resistono contro la defunta cultura ufficiale. Intenzionalmente clandestina, Ambush crea costantemente nuovi risvolti  ognivolta che propone con la propria musica ( che va dalla “ mutant machine music” alla “drum & noise”, dalla “harsh-step” alla “jungle-core”) materiale rivolto contro persone prive di interessi e progettualità ,  persone psichicamente sterili  e prese dal business.

Ambush è seguita da Jason Skeet ( Aphasic ) e Toby Reynolds ( DJ Scud/Fallout ). Come Jackal & Hide hanno realizzato insieme il primo disco dell’etichetta, il famoso “ Escape from South London” EP. DJ Scud ha inoltre prodotto alcune tracce su DHR, in collaborazione con il fondatore berlinese della Digital Hardcore, Shizuo. Aphasic inoltre fa parte del duo “Society of Unknows” che ha realizzato il numero 24 della Praxis Rec. con Christoph Fringeli.

Ambush si percepisce come parte di una  emergente sotto-rete trasversale di etichette, ravers, Djs, ed altro. Una rete di attività che stimoli ognuno alla crescita continua, dove nessun livello del processo evolutivo resti più importante del livello successivo. Di conseguenza deve esserci una costante e dinamica rete di sviluppo e di collaborazione, che  innalzi a un livello superiore fitte relazioni incrociate capaci di produrre nuovi elementi di forma ibrida, mutevoli come i virus.

In questo contesto, bisogna riconoscere che i fattori politici della lotta vanno spiegati a livello culturale. Quello che è successo nell’ultimo decennio è che accanto alla fine delle  discussioni politiche nei dibattiti pubblici e alla scomparsa continuata degli spazi sociali, si è verificata una insurrezione musicale che ha dato inizio a una sorta di colonna sonora della resistenza, non solo nei vecchi comportamenti della gente che combatte gli sbirri sulle strade, ma anche all’interno di micro realtà, dove la capacità  intensificata di  trasmettere il rifiuto dei modelli culturali esistenti ha resistito al consenso di massa, agli stili solidificati e alla troppa dance music che è diventata un’altro prodotto pre-confezionato, Ambush cerca spazi psichici.”



“ Ambush the money-mind-fucks. Ambush the process of subjection”.  (Flint Michigan)


 Contact: 

Fax/Tel       +44  171 737 1890

Email           Via stevvi @c8 com

http://c8.com/ambush/ambush.htlm






Discografia:

(a cura di Anna Bolena)


JACKAL & HIDE   “ Escape from South London” EP; prima splendida uscita dell’etichetta, dove  apprezziamo l’evoluzione di uno stile siglato jungle dalle modalità ardite e dirompenti. La rivoluzione del suono ha  un folgorante inizio con la traccia The Jackal  ironica ballata fischiata senza sosta. Coldharbour Lane classic jungle ma con una venatura innovativa dark. Il secondo lato è senz’altro più bello con l’esplicita Post-industrial funk che recita “ the Pain, the Power, the Future, the Hope”, e per concludere il capolavoro della jungle core più scura, In bed with Hanin, da ascoltare con la pioggia sotto stati d’ansia depressiva. Rabbia assicurata.


APHASIC & SCUD “Welcome to the Warren”; Justify my hate apre il disco, con una ritmica piuttosto dubbeggiante contaminata da screcciate in free style. Non la amo particolarmente. Lente distorsioni moderatamente modulate per Comparative vandalism. Proseguiamo con la meravigliosa ed energica What is it you really want? ; stridori metallici against MTV e la sua società dello spettacolo. L’ultima track si intitola I hear a new world, noise in sintonia.


GIVE UP produced by David Hammer; Moshi Moshi divertente incastro assolutamente difficile da orecchiare per le molteplici variazioni estemporanee ed imprevedibili. Brain dead remix, giri convulsi dissacranti di ogni genere in circolazione. Trouble riesce invece con un jingle incastonato su una ritmica aperta a farsi ricordare. To Shizuo omaggio alla DHR. Give up drum & noise crossata rock devastante.


APHASIC & SCUD “ Snipers at work”: orsù l’incantesimo si è rivelato e i nostri cecchini hanno colpito ripetutamente il bersaglio. Comincia Aphasic con due tracce ben confezionate dove l’arrangiamento dei suoni è accurato e ponderato:   You only happen once e Despair in the community.  Jackal & Hide firmano invece  Belief in the enemy,  dallo stile ormai inconfondibile, spezzato e guerreggiato. Ma è il lato inciso da Scud che ha il sopravvento con “Mash the place up” culto infinito negli anni a venire e riconoscenza estrema per l’efficacia estrema dei loop . Bellezza sconvolgente ed insolita. A seguire l’industriale nibelungico di  Scud missile e il lacerato grind  di  Skate bored ( just hardcore) . In assoluto Ambush 04 resta per ora il più completo.



MWARF “Sex with a machine”: dietro la sigla Mwarf si celano Dan Hekate & Christoph Fringeli, che ci regalano come sempre forti emozioni con Pillar, distorsioni schizzate dal cervello ,  Brockbeat consuetudini giornaliere,  Isil safe  stati chetaminosi d’alterazione distruttiva e per concludere Fat boy tristissima concezione dell’esistenza; decisamente la traccia più nuova. Ci aspettiamo grandi eventi. Alla prossima!


E’ in preparazione Ambush 6, Bodysnatcher di Scud e Christoph Fringeli.

  


  Traduzione e recensioni di Anna Bolena


mercoledì 15 novembre 2023

RAVE @APPIA ANTICA Roma 3 giugno 1995 (1997)

 



TREGIUGNOMILLENOVECENTONOVANTACINQUE

APPIA ANTICA

Su una delle vie consolari della città, quasi a ridosso delle Mura Aureliane, abbiamo scoperto un grosso edificio a due piani, assai polveroso e dismesso; utile per passare qualche notte particolarmente fredda a chi come barboni o immigrati non ha fissa dimora. Infatti al piano superiore ci stavano una serie di piccole stanze con materassi puzzolenti, dove era visibile il passaggio di esseri umani: cartacce, cicche rozze coperte, scarpe usate....Utilissime le finestre sulla strada per cioccare l’arrivo degli sbirri, che puntuali si presentarono, intorno alle 3: 00 della mattina del quattro; con abile diplomazia riuscimmo a non farli entrare sino alla fine della festa.

Ma torniamo un po' indietro di circa un mese, quando dopo qualche riunione organizzativa, decidemmo che posto troppo diroccato e sozzo andava pulito. Ci premunimmo di scope, palette, buste....In genere cominciavamo di pomeriggio a spalare un po' di merda, quanto meno per evitare che la gente sollevasse più polvere del previsto.

La stanza più grande doveva servire per acchitare la dance-hall; i piatti con il monitor dovevano essere installati il più in alto possibile lontani da polvere ed eventuali avventori. La consolle è sacra. Così venne sistemata su un trespolo industriale raggiungibile da scomode scalette. Tutta la strumentazione venne collocata in modo tale da non venire danneggiata evitando così guai onerosi con il service.

Nella stanza affianco srotolammo del nastro rosso e bianco (il work-in-progress dei cantieri edili e della segnaletica stradale) nei punti più rischiosi per l’incolumità delle persone. Il pericolo era rappresentato dai vecchi ingranaggi e dai macchinari dell’ex cartiera, probabilmente ancora funzionanti; archeologia da fabbrica stupenda, che a suo tempo serviva per la produzione della carta per i giornali locali. Il fascino del sudore operaio a qualcuno di noi illuminava la fantasia. Il detournement del luogo è stato spesso  stimolo indispensabile nell’allestimento dei raves. Non soltanto per il semplice piacere estetico architettura post-industriale, ma anche per stuzzicare il nostro gioioso cinismo volto a trasformare un antico simulacro, simbolo del lavoro salariato, in un luogo dove esprimere il nostro divertimento collettivo e personalizzato senza bavagli o limiti di sorta. Fino alle prime luci dell’alba o oltre.

Dopo aver fatto una sosta infinita in sottoscrizione e aver mediato con gli sbirri affinché non scassassero le palle per almeno altre 2 o 3 ore, mi avvicinai al bar intorno alle 5: 00 e piano piano a spintoni raggiunsi gli altri sotto la consolle.   

Un attimo di distrazione e i fottuti tutori dell’ordine ,sino ad allora rimasti chiusi fuori, penetrarono furtivi attraverso il l’enorme cancello scorrevole. Dopo l’ennesima discussione presero gli estremi di un paio di documenti e finalmente i zelanti dipendenti comunali si allontanarono. In seguito non mi risulta che qualcuno di noi abbia subito conseguenze giudiziarie. Qualcuno comunque approfittò dell’uscita secondaria per allontanarsi indisturbato senza incappare in perquisizioni inutili. Bravo! Noi invece che dovevamo smontare tutto;  amplificazione e relativi cavi, pannelli fluorescenti issati sui muri, piatti e mixer ed altri attrezzi, facemmo entrare il furgone dall’Appia, unico accesso ampio disponibile, praticamente davanti agli sbirri. Sti cazzi ...è andata.

Per finire ancora due parole sulla nottata : per me fu l’iniziativa più coinvolgente che fino ad allora avessi organizzato, da quando l’ ambiente dei raves era un po' cambiato, non saprei dire se in positivo o in negativo fatto sta' che la contaminazione sociale e in parte culturale già da tempo si respirava nelle storie. Quella sera arrivarono più di duemila persone; credo sia stato il massimo storico per una festa fatta al centro e  per giunta non autorizzata. Prima di allora si svolgeva tutto in periferia. Ricordo che una certa presenza coatta e discotecara mi infastidì non poco ,in realtà stranamente già da tempo i DJ’s più seguiti della capitale avevano cominciato a prestare parecchia attenzione per il fenomeno e quindi un certo seguito bisognava tollerarlo. D’altra parte una certa stima e rispetto c’è sempre stata con  chi anni prima provò a creare un contesto techno di un certo spessore. Ritengo che dal punto di vista squisitamente musicale il livello che le labels indipendenti romane raggiunsero nel periodo più creativo(dal novanta sino al novantaquattro) ha già fatto scuola, se non storia. Ma altre testimonianze raccontano di episodi poco edificanti, quali risse o accoltellamenti fra piccole bande fasciste e borgatare che costrinsero i gestori organizzatori a rinunciare ai loro lauti guadagni. Lo sfruttamento non ha limiti di sorta e certe contraddizioni iniziarono a creare problemi in chi professionista musicista era animato dalle migliori intenzioni. Certo per molti di noi che proveniva da un ambiente dichiaratamente contestatario antiautoritario questi contesti o situazioni erano parecchio distanti per intenzioni ed obiettivi ; ciò fece scaturire numerose discussioni sul significato di festa, spettacolo , rave.... e l’immancabile voglia di autogestione; condizione questa assai problematica da sempre e non ancora chiarita. AUTOGESTIONE parola magica di uso comune che vuole significare tutto ,troppo e niente. Sicuramente una parola diffusa ed abusata. Mah!................................................................

Pare che all’interno della cartiera un paio di settimane prima , durante un sopraluogo, venne trovato un pacco contenente un etto di eroina purissima. Forse leggende metropolitane. Prurito garantito di prima qualità.

                                                                                                                             duesettembremillenovecentonovantasette


 Contributo individuale di  Meridiana 0.7

mercoledì 1 novembre 2023

La questione palestinese in Germania (6)



Qui di seguito qualche considerazione sul tema Palestina in Germania

divieto di manifestare

club & rave culture

antisemitismo

Medio Oriente

@ Radio Onda Rossa Roma 1 novembre 2023

https://www.ondarossa.info/redazionali/2023/11/germania-e-palestina

giovedì 24 agosto 2023

mercoledì 23 agosto 2023

VIVERE L’ESTREMO E RITORNO @PetiNudi666 (1995-1998)

 VIVERE L’ESTREMO E RITORNO

Lo spettacolo della vita quotidiana




“O ci si organizza a lavorare un giorno la settimana e vivere e giocare e creare durante gli altri sei giorno oppure l’umanità è destinata ad estinguersi.”

(Silvano Agosti - L’uomo proiettile - 1995)


Oltre gli orari, gli spostamenti, i pensieri che ogni individuo gestisce lungo la giornata, non si può negare l’esistenza di un assetto organizzativo imprescindibile della realtà quotidiana; della forma precostituita e prestabilita delle ore, dei minuti, dei secondi che separano il giorno dalla notte: divisione volutamente precisa e costruita della vita, che da sempre caratterizza i nostri movimenti spazio-temporali; dell’impossibilità, spesso, di riuscire ad impedire che il trascorrere del tempo condizioni l’occupazione stessa di un preciso spazio ormai abituale e rassicurante; della difficoltà, talvolta, di compiere operazioni mentali ed esercizi corporei lontani dalla consuetudine, dalla noia, dalla ripetizione di gesti ormai rodati ed approfonditi.i Inevitabile è sottolineare l’importanza della divisione del lavoro nella società attuale, quanto poi la sua organizzazione, funzionale al profitto e all’accumulo di ricchezze concentrate, impedisca ai più di potersi sottrarre a tali imposizioni e di progettare la propria esistenza in forme e modi più congeniali e rispettosi delle esigenze e dei bisogni individuali. Il lavoro salariato espropria continuamente la persona dalla possibilità ed opportunità di ricercare dimensioni e condizioni libere, creative, giocose, gestite secondo modalità squisitamente soggettive e diversificate.

Il contesto culturale e sociale dell’uomo telematico odierno impedisce, sia ai ricchi, sia ai meno abbienti, sia ai diseredati, di concepire la cultura del non-lavoro.

La riflessione e l’intenzione è quella di suggerire altre soluzioni alle lotte sociali per le 35 ore settimanali (in genere rivendicazioni di piccoli partiti e sindacati autonomi, ed ora anche di CGIL, CISL e UIL) o al moto trentennale del “lavorare tutti, lavorare meno”. 

Il non-lavoro è una filosofia e pratica di vita ( crf. “L’abolizione del lavoro”di BOB BLACK ) e non appartiene sicuramente all’universo dei politicanti istituzionali o antagonisti, coloro i quali spingono in forza di grandi masse e di popoli oppressi dal capitale pseudo-cambiamenti all’interno del mondo del lavoro, supportati da ideologie paleo-ortodosse.

Nel prossimo futuro il sistema del capitale, del libero scambio, della proprietà pubblica e privata, del lavoro precariato e flessibile, sarà sempre più distante dal riuscire ad offrire impieghi duraturi, a versare contributi fiscali ad uno Stato che già ora garantisce misere pensioni, a rispondere alla domanda di milioni di immigrati che premono alle frontiere del nostro dorato occidente: flussi migratori che si pretende di controllare e prevedere con leggi “adeguate e avanzate”, espressione del consueto autoritarismo istituzionale. Tali complessi fenomeni, di natura politica, sociale ed economica, non possono trovare semplice spiegazione nella questione delle differenze di classe, di ceto e di religione, come vecchie teorie marxiste-leniniste e sovrastrutturali ancora cercano di avallare.

Il significato di questi  macro problemi  potrebbe collocarsi all’interno di una visione della vita come meccanismo di un processo esistenziale volto all’adeguamento e spostamento del sentimento di rischio e di imprevedibilità, fonte d’ansia, d’angoscia e timori profondi. E’ il presentimento di affondare nel caos, nell’incertezza che determina l’organizzazione limitata e razionale della vita quotidiana.

L’alienazione grigia, sbiadita, la ripetitività ricercata nella strutturazione estremamente rigida dell’esistere, o meglio del sopravvivere, trova apparentemente una possibilità di riscatto e di cambiamento nel gusto compiaciuto del divertimento fittizio, comprato a caro prezzo, allestito secondo i dettami delle mode e delle nuove tendenze.

Il culto materiale dell’immagine giusta al posto giusto, del look arricchito ed ingigantito dall’ultimo oggetto optional che va tanto in voga, ben si concilia all’interno dell’organizzazione quotidiana dell’uomo-donna che lavora, produce e consuma.

Il sistema con i suoi potenti mezzi, con le sue ramificazioni, è capace di recuperare ed alterare, secondo gli obiettivi e le esigenze del mercato, ogni elemento o particolare che abbia caratteristiche potenzialmente alternative, innovative e moderne.

I rapporti economici, ancora una volta, riescono con efficacia ad imbrigliare ed imbavagliare anche le menti e gli spiriti non asserviti, non sottomessi. Creativi, pubblicitari, esperti di marketing, artisti ed altri si trovano spesso costretti ad immolare le loro idee geniali, le loro trasgressioni libertarie, le loro proposte innovative ai soldi facili, annichilendo quindi ogni possibile contenuto di liberazione e trasformazione della realtà.

La pubblicità, la tv, l’iformazione manipolata contribuiscono a propagandare l’importanza e la necessità delle merci feticci da idolatrare. L’accumulo di oggetti “usa e getta” crea nel mercato un over-produzione di beni inutili, fittizie entità rese appetibili da una curiosa miscellanea di immagini sempre più sofisticate, colonne sonore indimenticabili, slogan appiccicosi e ruffiani.

Le leggi dello spettacolo hanno permesso un allargamento a fasce di popolazione meno abbienti l’entrata libera ad un mondo che fino a poco tempo fa gli era precluso; dove falsi riti, miti del protagonismo patinato, culto esagerato del finto non possono migliorare una vita vuota ed insignificante.


Oltre lo spazio e il tempo


“Non c’è che il presente che possa essere totale, un punto di  incredibile densità. 

Bisogna imparare a rallentare il tempo, a vivere la passione permanente dell’esperienza immediata.”

(Raoul Vaneigem - Trattato di saper vivere ad uso delle giovani generazioni-1969)


1. LA PRATICA DELLA TRASGRESSIONE

Il quotidiano, inteso sterilmente come un recipiente da riempire per far trascorrere il tempo, offre la possibilità esclusiva di vivere uno pseudo divertimeno, uno svago fine a se stesso, slegato da una visione ampia ed articolata della propria esistenza.

Il divertimento, collocato all’interno di una logica mercantile di business, viene caratterizzato da elementi e aspetti insulsi apparentemente soddisfacenti; la realtà dentro i locali trend, le discoteche alla moda, i templi più gettonati non è liberata, personalizzata o creativa: i gestori con il loro staff pensano per te, risolvendo ogni tuo desiderio od esigenza impellente, cioè si delega ad altri ciò di cui si ha bisogno.

L’autogestione diretta di spazio e tempi è una pratica certamente contraria al lucro personale o di pochi, per questo viene bandita ed allontanata come azione inadeguata ed impossibile da attuarsi. D’altra parte la gestione orizzontale e non autoritaria dello spazio ludico è da sempre uno degli obiettivi di tattiche e strategie volte all’occupazione diretta di tutto ciò che il sistema sociale vieta ai gruppi giovanili: spazi fisici ed utopie mentali.

La voglia di abbattere le imposizioni culturali del mondo degli adulti spinge spesso i giovani a trasgredire le leggi, a ribaltare i significati e le modalità d’uso dello spazio e del tempo. Mantenendo la distanza da possibili mistificazioni e ritualità fini a se stesse, è ormai la pratica dell’illegalità, dell’azione diretta e della conseguente autogestione del proprio divertimento che caratterizza e accompagna la nostra sopravvivenza, le nostre frustrazioni irrisolte, la continua ricerca individuale dell’equilibrio spezzato, le diverse motivazioni di distruggere con modelli alternativi le consuete abitudini.

Tutto ciò, e non solo, dentro il rave, il party non autorizzato, espressioni complesse, contenitori multipli per inviare e suggerire esistenze e mondi diversificati.


2. LA RICERCA DELLA COMPLESSITA’

Il rave, evento multimediale sempre diverso, assume un profondo significato nella continua ricerca di valori e contenuti realmente dirompenti e destabilizzanti della cultura circondante. E’ espressione spontanea e fervida di probabili utopie, di viaggi fantasiosi non necessariamente veicolati o vincolanti, ma più propriamente imprevedibili ed inaspettati.

L’articolazione del proprio corpo arricchito e movimentato da spostamenti ed occupazioni fisiche sconosciute, si congiunge a fertili e vivide immagini mentali mai provate; la costruzione di sensazioni ed emozioni forti è chiaramente amplificata dai decibel della strumentazione allestita, ampliata da scenografie che mutano e si trasformano segnatamente alle diverse e suggestive architetture di volta in volta scovate all’interno della metropoli.

E’ una continua crescita di menti in esercizio che cambiano con l’occupazione tempestiva della città;  tappe diversificate di un tracciato non ancora chiuso, scavato in profondità: stazioni metro abbandonate, capannoni di lamiera in disuso, aree industriali periferiche, piccole e grosse fabbriche dismesse rappresentano lo scenario possibile dove allestire e dare vita al mostro. Clandestino, dove non soltanto le mura, il luogo, la struttura edificata assumono importanza, indispensabili restano anche gli scambi interpersonali, i legami tra gli individui.

L’intento è quello di permettere la nascita di atmosfere, climi impalpabili, altro dai modelli tipici commerciali.

Il rave è e deve essere illegale non come dogma, ma perchè la storia e la controcultura così lo ha costruito, ricercato ma non definito; riempire un vuoto virtuale e renderlo realtà soggettivamente interpretabile ed entità continuamente sperimentabile un possibile obiettivo.

L’approcio diversificato e l’impatto sovversivo nei confronti della metropoli, offre una sorta di passagio veloce ed inafferrabile, dove trascorrere una microscopica particella di vita. Atomi sparsi e distanti raccolti in un ampio spazio fisico e mentale, inesauribile, non cadenzato dal tempo se non quello della musica e del ritmo elettronico quasi perfetto ricostruito dai suoni domestici, più familiari.

La musica elemento pregnante e determinante, è strumento, veicolo capace di improvvisazioni imprevedibili, di performance fuori dagli schemi e dalle etichette riconosciute. Techno significa riciclare suoni, rumori, percezioni ambientali, creando e assemblando sensazioni innovative e ricercate mai udite. La techno è linfa vitale, fluido denso e lubrificante per i nostri neurotrasmettitori, i nostri bisogni concreti, le nostre motivazioni forti.

Il techno rave può semplicemente delinearsi come diretto strumento di cambiamenti esistenziali, senza ansie di certezze o verità assolute, mezzo trasgressivo di recupero di linguaggi e gesti primordiali, di codici complessi da scoprire.

Rave come situazione elastica, di raccordo tra visioni soggettive ed espressioni tribali da piccolo gruppo, come cellule irrazionali e nuclei sperimentali; come esperienza materiale e concreta di vita collettiva, come continuo distacco psichico dal corpo; come essenza estrema per provare dimensioni piacevoli, dolorose, in perfetta sintonia ed armonia di un modus vivendi fatto di ritmi e rumori costruiti secondo esigenze mutevoli, energie mobili ed influssi benefici, contrari alle depressioni metropolitane e allo stress quotidiano; come terapia verso un’esistenza diversamente articolata, irrazionale, incerta, sicura, contradditoria, relativa e scettica.

Dall’ironia sarcastica, dalla profondità di pensiero, dal nomadismo spazio-temporale, dalla costruzione di geografie mentali, la possibilità di provocare viaggi in luoghi che non esistono, l’opportunitàdi abbattere muri e limiti invalicabili.


3.CONTRADDIZIONI E PARADOSSI

Recuperando il discorso precedente sulla cultura del non-lavoro e sul rave come possibile orizzonte di mutamento reale, contro la spettacolarizzazione mass-medianiaca, la conclusione ovvia è che tali dimensioni vadano incastrate secondo vie parallele, che prima o poi si incontrano.

E’ come affermare che il rave può, secondo i sui presuposti, trovare massima espressione in un mondo senza doveri e senza diritti, in un mondo anarchicamente allestito.

Invece paradosso è che il non-lavoro è impraticabile, o meglio, ha bisogno per essere attuato di tutta una serie di trasformazioni concrete all’interno dell’assetto sociale, mentre il rave come supporto o continuum all’utopia del non-lavoro è una realtà ormai diffusa e praticata, espressione diretta ed esplicita del disagio giovanile.

Il rischio principale è che tale evento-situazione, ormai consueto e diffuso, avendo raggiunto un traguardo conosciuto e prevedibile, perda definitavamente l’immediatismo spazio-temporale, l’elemento della velocità, l’occupazione di luoghi sempre diversi, la scarsa visibilità o semi-clandestinità, la gestione orizzontale del posto conquistato.

Il limite del rave, così come viene concepito e immaginato, è quello appunto di essere diventato scontato, superficiale, vuoto, inutile. Non più strumento, mezzo virtualmente costruito e articolato, non fine ultimo di una pratica sociale che etichette e difinizioni non ha mai ricercato.

Il rave, come obiettivo, offre una monosoluzione semplice ad esigenze e desideri che cambiano, si trasformano e si arricchiscono.

L’evento multimediale è quindi ormai sterile e prevedibile, ha perso tutto il suo potenziale di trasgressività e di alternatività.

Episodio sradicato dalla vita quotidiana dove emozioni fittizie non sono riuscite a contagiare l’intera esistenza; è l’unica risposta a mille bisogni e sogni, mentre inizialmente ha concesso la possibilità apparente di risolvere, e in parte soddisfare in maniera creativa e dirompente le esigenze personali e collettive.

La formula magica del rave come pratica ha quindi esaurito il suo mandato.

Con disincanto ci accorgiamo della necessità di inventare qualcos’altro che abbia la stessa efficacia ed incisività.

Di rimando scaturisce che, senza leggi e abitudini consuete, è possibile risolvere l’annoso problema rappresentato dai tutori riconosciuti dell’ordine pubblico, i paladini instancabili della giustizia sempre presenti e all’erta in ogni momento.

Organizzazioni legalizzate, poliziesche, gerarchiche, armate non sono alla nostra portata, inutile ricordare che le azioni, i movimenti, gli spostamenti andrebbere responsabilmente garantiti e considerati adeguati, senza pericoli ingestibili.

Il controllo sociale penetra quando si presentano delle falle, dei buchi, quando la determinazione non è convincente, quando lo spontaneismo diventa banale e vuoto di contenuti concrti e tangibili. In poche parole, quando a monte non esiste una visione complessa, ampia ed esperta, dell’universo umano.


Il superamento dell’occupazione totale


“L’avvenir noi siamo, pensiero e dinamite.”

(L’insurrezione - Londra - 1905)


1.DALL’ISTITUZIONE AL GIOCO

La formula organizzativa del rave-evento può ormai trovarsi di fronte ad un empasse, ad una condizione statica e stabile, troppo sicura, tale da poter essere definita come una sorta di istituzione, con le sue leggi e le sue scontate abitudini.

Tutto questo è chiaramente paradossale, viste le sue enormi potenzialità e capacità di trasformazione sociale ed individuale.

Trasgredire le regole imposte non può essere svuotato del suo contenuto dirompente e destabilizzante, non può essere ridotto ad una semplice “parola d’ordine”, tipica di organizzazionio gruppi politici che adottano strategie sempre uguali e compiono azioni con pretasa di armare caos e disturbo nelle metropoli, ma che, in fondo, sono semplici la loro prevedibilità poco originale aumenta la repressione immediata.

Superare l’occupazione di luoghi fisici dove svolgere molteplici attività, a mio avviso, può in certi momenti, anche di breve durata, essere pratica politica efficace e produttiva; fermare l’azione per crearne di nuove, più incisive e rumorose, è necessario in alcuni frangenti; le opportunità e le possibilità devono crescere, svilupparsi e diventare necessarie se si vuole conquistare obittivi difficili e inconsueti.

Senza dogmi, senza velate certezze, ritengo che abbattere i muri, quando questi tendono a diventere ghetti dorati o situazioni estremamente sicure e pacifiche, può essere indispensabile per non fermarsi mai.

Adagiarsi all’interno di condizioni ovattate e protette blocca drasticamente le energie, la volontà, le aspirazioni creative di cervelli sempre in movimento; almeno si cerca di attivare le menti, il pensiero per muoversi concretamente e per non ripetere all’infinito le stesse ambientazioni, gli stessi giochi.


2.SENZA VERITA’

Ripartire da zero, talvolta, può essere utile ripercorrendo a ritroso percorsi già seguiti è indispensabile per agire meglio e per rioccupare lo spazio e il tempo.

La difficoltà è riuscire a cogliere l’attimo, il breve momento per la stasi, per l’analisi delle esperienze passete e trarre così benefici per l’azione futura. Spontaneamente.

La conoscenza profonda dei fenomeni sociali e psichici è sicuramente proficua; invece spesso ci si trova impreparati ad affrontarte e a comprendere l’ambiente che ci circonda; non faccio riferimento a statistiche psicometriche o ad ipotesi da dimostrare, gli approcci scientificamente esatti e il sapere accademico non possono fornire parametri di riferimento per le azioni che provano a rivoluzionare la vita. E’ proprio contro tutto ciò che tende a una definizione precisa e misurabile delle situazioni che bisognerebbe opporre il libero pensiero e la pratica del gioco spontaneo e creativo.

Alimentare e fornire imputs alla fantasia non è sinonimo di regressione infantile, ma è l’obiettivo di inventare un mondo adulto diverso, fondato su leggi e norme non ancora scritte e per questo sconosciute e nascoste.

La ricerca dell’equilibrio spesso non è consapevole, talvolta lo si ragguinge e non si riesce scorgerlo; importante e romperlo per poi riscrearne un altro. E’ un continuo passaggio anche doloroso tra pensiero-stasi e movimento-azione, dove il dinamismo è immobile e l’arrovellamento cerebrale provoca spostamenti.

Sperimentare la complessità, costruire la propria realtà, inventare cellule o piccoli gruppi creativi di non-lavoro, per poi confondersi di nuovo nella massa, approfondire le comunicazioni interpersonali è la vera dinamite che scoppia dove necessario.

Vivere l’estremo per ritornare a viverlo meglio, questa la scommessa!


N.B. Questo contributo scritto nel dicembre 1995 e aggiornato nell’aprile del 1998, va letto, riciclato o bruciato!

Fatene l’uso che preferite.


MERIDIANA 0.7


pics & words © ANTONELLA PINTUS 

martedì 22 agosto 2023

ROMA @ RAVE IN ITALY (2018)

contributo @ RAVE IN ITALY 

gli anni novanta raccontati dai protagonisti 

curato da Pablito el Drito 

pubblicato da Agenzia X 2018

pubblicato su Not Nero Edizioni 2018





ROMA

di Anna Bolena


Sono sempre stata appassionata di musica. Mia madre suonava il pianoforte e insegnava musica nelle scuole primarie, sono cresciuta in una casa in cui c’erano dischi sia di cassica che di altri generi. Alla fine degli anni ottanta, venendo dalla scena post punk, avevo una idiosincrasia nei confronti della musica elettronica da ballo, che consideravo di cattivo gusto e superficiale. Era un mio pregiudizio, una chiusura mentale che negli anni ho poi superato. Anche perché poi un genere musicale va studiato, approfondito, vissuto e compreso. Quando mi sono ritrovata a Roma nella scena di movimento, la musica principale che girava era il punk e il rap. Era musica di protesta, la colonna sonora di parole d’ordine e contenuti politici che caratterizzavano quel periodo storico. Io ho militato nel movimento studentesco de LA PANTERA all’Università della Sapienza, poi sono entrata in contatto sia coi centri sociali, con le radio di movimento, l` Autonomia Operaia, i comitati di quartiere, le sedi politiche, per poi militare nel circuito anarchico e entrare a far parte del collettivo CONTROCULTURA al Pigneto.  In quel periodo i fascisti avevano iniziato a riaprire luoghi di aggregazione in diversi quartieri, non solo quelli storici di appartenenza. Era una situazione anche pericolosa, ci sono stati scontri anche fisici durante gli attacchinaggi notturni.

La musica elettronica era considerata dai compagni musica commerciale, anche perché era ballata principalmente nel circuito delle discoteche.

Quando noi abbiamo cominciato a suonare e organizzare rave, la musica che mettevamo era quella che compravamo da Remix, un negozio romano che è stato fondamentale per diffondere techno/electro e musica sperimentale come l` IDM.

Il movimento dei rave illegali e` iniziato nel 1993/1994 grazie a un gruppo di musicisti e compagni stanchi della solita musica dentro i consueti luoghi di aggregazione sociale della sinistra extraparlamentare. Alcuni di noi componevano gia` musica da ballo e non solo con apparecchiature elettroniche. Musica acida più in sintonia con il mood di queste prime feste, che si svolgevano in periferia. 

La musica, al tempo, rappresentava solo uno degli aspetti del movimento anche se per me è diventata sempre più preponderante. Al’inizio l’occupazione deglli spazi periferici aveva un aspetto prettamente politico. Si andavano a prendere gli spazi delle città lontani dalle solite organizzazioni, sia da quelle commerciali, sia dagli spazi sociali. Anche perché nei centri sociali c’erano delle restrizioni di tipo estetico, culturale, musicale. E anche dei pregiudizi. 

Io sono sempre stata una persona molto curiosa e aperta, che ama trasgredire. Mi ero resa conto che la musica elettronica aveva una valenza culturale. Basta pensare alla tradizione inglese o a quella americana. Poi, ascoltando la scuola romana, mi sono definitivamente innamorata di quel suono. Continuo a ritenere che la scuola romana sia quella che mi ha formata, tanto che il suono di Roma sia quello che si continua a sentire anche nelle mie produzioni attuali. L’utilizzo della musica techno aveva una sua funzione: riportare un po’ di novita` e creativita` (come momento di rottura dal consueto suono "sociale") dentro il discorso dell` autogestione e del controllo del territorio all’interno delle situazioni politiche. La nostra aspirazione era quella di strappare al “muretto fascista” il ragazzo di periferia, indottrinato alla cultura dell`intolleranza e della violenza, che era attratto da questo  tipo di musica. Mi ricordo che all’inizio del movimento dei rave illegali arrivava gente coi bomber e scudetti, che apparteneva a questo tipo di comunità di periferia, cresciuti a techno e saluti romani. La nostra sfida è stata quela di presentare a questi ragazzi un’alternativa alla discoteca commerciale mostrando direttamente su campo come si organizza dal basso un party di musica elettronica da ballo.

Io ero in contatto con alcuni musicisti / dj che stavano dentro il Forte Prenestino e al centro sociale Pirateria. Mi sono ritrovata a fare con loro un paio di feste nei centri sociali e qualcuna in periferia. 

Nella periferia est di Roma ho cominciato a ballare la techno. Lì ho cominciato a studiare generi e sottogeneri: electro, trance, hardcore, e ovviamente techno. La scena romana produceva techno sperimentale. Penso a Lory D, Leo Anibaldi. Poi c’era la scena “detroitiana”, legata al nome di Andrea Benedetti e Marco Passarani. Leo Anibaldi, giovanissimo,  già lavorava a livello internazionale e produceva dischi. C’erano anche i gemelli d’Arcangelo, che hanno influenzato il mio suono industriale. Tuttavia io amavo anche molto la scuola inglese IDM: Aphex Twin, Squarepusher, etc… La trance, nonostante il grosso della produzione fosse stata nel 1992-93, andava ancora forte in città. Alcuni suonavano goa, di cui non sono mai stata una grande appassionata. La presenza variegata e variopinta della musica è un aspetto molto bello degli anni novanta, un aspetto che secondo me negli anni si è andato perdendo. Si è sempre più asciugato in categorie tipo techno e house. Addirittura c’è gente che ancora pensa che l‘electro non faccia parte dela techno! Negli anni novanta ci interessava poco definire il genere, ci intrigava di più la dimensione alternativa della riappropriazione degi spazi e della produzione musicale. Che poi è un movimento  parallelo di integrazione a quello che era l’eredità culturale e politica dei centri sociali. Era un’esigenza di portare freschezza, quindi anche il fatto di usare la techno come veicolo per aggregare persone è stato un aspetto fondamentale. Questo avviene dopo quella fase di rave commerciali fatti in discoteca nei primi anni novanta. Io in discoteca ci sono andata a sentire la musica dark, a Roma frequentavo il Uonna. 

Quando ho incominciato a comprare dischi di elettronica mi sono appassionata a due generi: industrial e idm. Ho comprato anche robe più dancefloor, trance a 150-160 bpm e anche acid techno. L’acid techno è una cosa che ogni tanto ritorna di moda: il bassline usato in maniera esagerata esiste da sempre e non morirà mai. La musica acid dal mio punto di vista è musica più facile. L’acid di Leo Anibaldi rimane anche un prototipo del genere. Che però, a differenza di altri prototipi di quel genere, mantiene sempre quell’eleganza e ricercatezza che solo Leo ha saputo esprimere. 

Un cosa positiva della scena romana è stata che dopo i primi due anni di rave illegali, che possiamo collocare nel biennio 1995-1996, è nata l’esperienza della Fintek. Questa ha coinvolto tante persone. La Fintek è stato un rave illegale continuato, che durava 3-4 giorni a settimana. L‘occupazione è durata un paio d’anni. Alla Fintek per la prima volta si sono riusciti a portare artisti importanti come Panacea, che noi adoravamo all’epoca. La drum’n bass che faceva, che poi è stata definita darkstep, è una cosa di cui ci siamo appassionati subito. Quando è venuto a suonare in una delle salette per la prima volta eravamo solo una ventina di persone. Anzi, forse diciannove! Quando tornò al Forte Prenestino in compenso lo attesero le folle. Vero è che lì era già diventato famoso. Position Chrome è una delle etichette fondamentali del genere. Altre persone che hanno cambiato la mia conoscenza della musica sono stati Christoph Fringeli della Praxis,  Rachael Kozak della Zhark e Dan Hekate. Hanno portato una grande freschezza nella scena. La Praxis la conoscevo già, o meglio, conoscevo già le produzioni. Avere incontrato Christoph e soci della Praxis è stata una cosa fondamentale, perché poi abbiamo fatto anche cose insieme. 

Per me Praxis è tuttora una delle etichette più importanti. Il suono è molto radicale, va dalla breakcore passando per il noise fino all’hardcore, però con venature molto sperimentali, molto ricercate. Sono dischi che vanno calibrati. All’epoca li suonavamo parecchio perché eravamo rimasti in fissa! Li prediligevamo perché avendo come base la cassa spezzata lo usavamo per contrastare la noia del 4/4 alla Spiral Tribe. Lo dico con tutto rispetto per loro, abbiamo pure organizzato cose insieme, ma il loro suono mi ha sempre appassionato poco. 

Mi attraeva tutto ciò che si contrapponeva alla ripetizione noiosa e lo suonavo.

Si creò una contrapposizione tra chi suonava la cassa dritta e chi quella spezzata. Cosa che a me irritava pure, perché a me piaceva suonare sia una cosa che l’altra. Certo, tra un suono che abbraccia un consenso maggioritario e uno che abbraccia un consenso minoritario, io mi schiero con quest’ultimo. 

Il periodo della Fintek è stato molto interessante e vivace. Anche molto sociale. Il fatto di avere un posto fisso dove poter fare party è stato estremamente importante. Un po’ ha dettato delle regole e poi ha rappresentato quello che poi succede in tutti i movimenti. Non dico che si sia trattato di “imborghesimento”, ma sicuramente un rendere la cosa forse un po’ più noisa e meno ricca di sorprese. Le persone che arrivavano alla Fintek erano le stesse persone che venivano nei rave “mordi e fuggi” dei due anni precedenti, cui si sono poi aggiunte altre persone. Noi siamo arrivati ad organizzare rave fino a seimila persone, e la Fintek aveva più o meno gli stessi numeri. Però mentre negli illegali classici si organizzava il sabato e poi la domenica si andava via, con la Fintek si iniziava il venerdì, a volte anche il giovedì. E c’è stato un afflusso di gente da tutto il mondo. La gente che veniva era di tutti i tipi, non era gente necessariamente politicizzata. Dentro la fabbrica ci vivevano, con grosse difficoltà molte perone. Il posto fu preso in origine da un gruppo di amici di Sasha, un dj inglese, che era morto in India. Per ricordare Sasha gli amici fecero una prima festa nella fabbrica dismessa della Fintek. Doveva essere un evento singolo, divenne poi un’occupazione stabile. Quest’occupazione ha portato al mescolamento di persone di vario genere, tra cui alcuni traveller legati alla scena degli Spiral Tribe, dei Kamikaze e degli OQP, insieme ad una seri di musicisti sia della scuola romana, che dela scuola internazionale. 

Io frequantavo la Fintek ogni fine settimana, avevo lì una sorta di residenza. Ci suonavo spesso. 

Appartenevo a un gruppo, quello della rivista “Peti nudi”. Stiamo parlando del 1997-1998. La rivista è nata quando ci fu questo grosso evento per Sasha, e di conseguenza uscì il primo foglio, che mi comparve come un’apparizione notturna. In questo foglio c’erano dei riferimenti sia a Sasha che alla scena romana. Erano interventi provocatori, incorniciati in maniera irrivente dal grafico Matteo Swaitz. Noi di “Peti nudi” abbiamo portato il dark nella scena. Per noi nelle feste c’era un approccio troppo colorato e fricchettone, che a noi non piaceva. Quindi abbiamo tematizzato i contenuti musicali e estetici, in modalita` esoterica, in chiave loggia massonica. Ma era un modo per divertirci, per prendersi in giro. Da lì “Peti nudi” è uscito in varie edizioni, non tantissime. Non era facile farlo, perché la maggior parte della fanzine la scrivevo io. C’era qualche altro sparuto intervento, ma principalmente i testi erano farina del mio sacco, combinati con le foto di Stefania e la grafica di Matteo. La nostra presenza alla Fintek ha portato ricchezza culturale. All’interno della Fintek si era creata una socialità anche drammatica a volte. Alcuni sviluppavano atteggiamenti psicotici, perché si faceva una vita durissima. Qualcuno ha iniziato ad avere dei problemi sociali e comunitari, che sono sfociati in litigi anche molto pesanti. Qualcuno è anche morto là dentro. Però penso che con la partecipazione di 5-6000 persone, anche le morti siano cose normali. In tutti i fenomeni giovanili qualche morto c’è sempre scappato…  Non è facile mettere tutto in sicurezza. Ci siamo improvvisati su molte cose, non solo in consolle.

Discorso stati alterati di coscenza e incoscenza: le droghe giravano. C’era di tutto e di più, con il tabù della cocaina e dell’eroina, che comunque c’erano. Il tabù era un detto, ma non un fatto. Non stupisce che molta gente sia finita nell’abuso, ma questo sarebbe superfluo raccontarlo. La Fintek ad un certo punto è diventata un grosso luogo di spaccio, creando grossi problemi. Sia a livello di salute di chi ci abitava, sia a livello di controllo sociale. Le droghe arrivavano principalmente da fuori, anche se qualche laboratorio nella zona tra Roma e Napoli avrà dato certamente il suo contributo. Però le droghe di fattura superiore venivano dall’ Olanda, dall’India via Londra, qualcosa arrivava pure dalla Francia. In questo eravamo molto internazionali non c’è che dire. 

Se un posto è fermo gli apparati della sicurezza e del controllo sociale sanno che sei lì e quindi forse non ti rompono le scatole. Però per chi sta lì fermo tutto questo comporta un adagiamento. Qualcuno un po’ meno sveglio, che stava in un periodo di fragiità ha subito questa cosa… Le polemiche e le critiche sula Fintek sono state tante, ma prima di arrivare alla scritta “Fintek rave di stato” nei pressi dell’entrata, io avevo scritto un pamphlet sul fatto che il rave illegale era morto. Per me era finito nel 1996. Quando abbiamo iniziato ad avere un pubblico di seimila persone non c’era più niente dell’illegale originario. Si raccoglievano tante persone che facevano già un utilizzo smodatissimo di sostanze, dove anche l’elemento musicale iniziava a perdere d’efficacia. C’è stata come una liberalizzazione di tante cose, ma che poi liberate non erano!

Ad esempio una cosa che non si è mai discussa è la questione del gender, l’aspetto della relazione tra uomini e donne. Io per molto tempo sono stata l’unica dj donna all’interno del nostro gruppo. Adesso le cose stanno cambiando e sono cambiate. Alla Fintek la “manovalanza” organizzativa e di consolle era quasi tutta maschile. Le donne, quando c’erano, davano una mano al bar o in altre funzioni. Io però ero quella che organizzava le consolle. Ho sempre avuto molto rispetto forse anche perché ero l’organizzatrice. Poi alcune altre ragazze hanno iniziato a suonare, ma dopo di me. Però c’è stato un lungo periodo in cui ero l’unica donna a maneggiare dischi.  

Il rave ad una certo punto l’abbiamo pure portato al centro sociale. E quindi siamo ritornati da dove eravamo partiti! All’inizio l‘”intellighentia” del centro sociale era contraria, i compagni più grandi erano molto scettici. Soprattutto quelli che venivano dagli anni settanta/ottanta. Non capivano questa cultura, oppure intravedevano una china pericolosa. Secondo me erano dei conservatori che non avevano voglia di affrontare una generazione meno politicizzata della loro. Cosa che avrebbe richiesto comunque un grosso sforzo. Questa cosa è stata portata avanti dalla mia generazione, quella di mezzo. Noi avevamo voglia di confrontarci col nuovo.  

C’è anche un’altra questione che lega centri sociali e rave: le stesse droghe che giravano ai rave giravano nei centri sociali. È normale che ci fosse un collegamento tra le due scene. Perchè se all’inizio c’erano tensioni con la vecchia generazione, la nuova generazione invece voleva fare parte del movimento rave. Alcuni dei dj venivano dai centri sociali. Anche se io non ho mai fatto parte di nessun collettivo dei centri sociali, c’è stato un tentativo di portare dentro gente come me. Perchè noi eravamo il nuovo che avanzava. Loro avevano bisogno di gente come noi da strumentalizzare. Ma per me il centro sociale era un ghetto. 

Anche a Radio Onda Rossa, la radio del movimento romano, c’era chi era contro la cultura rave.Però c’è da dire che il primissimo movimento rave romano è stato caratterizzato dalla presenza anche radiofonica di “Hard raptus”, che era una trasmissione techno. Altre radio erano pronte a seguire. Ma Radio Onda Rossa era la radio che stava nel territorio sociale e politico, con un collettivo che controllava la tematiche. All’inizio degi anni novanta su una radio commerciale c’era pure il Virus di Freddy K, che è stato fondamentale per sdoganare la techno. Però stiamo parlando di un circuito che era quelo bottegaio delle discoteche. 

Nel 1999, quasi al volgere del nuovo millennio, ho fondato Idroscalo Dischi.  È stata la mia risposta alla fine del rave. Ho voluto spingere le mie energie organizzative verso la produzione musicale. Ho pensato che la musica dovesse essere la risposta a questo riflusso, al controllo sociale, alla caduta nell’abuso di sostanze. Una controffensiva all’approccio consumistico in chiave antiborghese. La musica è quella che mi ha salvato da sempre: sono nata con la musica e continuo a farla.

Anna Bolena è nata in Sardegna, trapiantata a Roma, vive per intero la scena rave della capitale, di cui è una delle organizzatrici e una delle poche dj donne. Nel 1999 fonda Idroscalo Dischi, etichetta indipendente dedicata al suono elettronico di matrice industriale. Vive a Berlino dove prosegue la sua carriera di dj e produttrice.


words © ANTONELLA PINTUS pic Paola Verde

lunedì 21 agosto 2023

IL NOSTRO PASSATO E' IL NOSTRO PRESENTE _IL FUTURO NON ESISTE contributo @ Detonazione! (2019)


contributo x il libro  DETONAZIONE! 

Percorsi, connessioni e spazi altri nella controcultura romana degli anni novanta

Stati di alterazione

Gender no gender

Autoproduzioni

Art & anti art

Movimenti

Profezie 

Riviste

Visioni

Ritmi



IL NOSTRO PASSATO E' IL NOSTRO PRESENTE

IL FUTURO NON ESISTE


di Anna Bolena 


PETI NUDI//QUARTINI AVARIATI DI MAL®UMORI VISCERALI (1997­-1999) 

"6angue 6udore 6perma 

fischi contraddizioni dubbi insulti perplessità verità intolleranza peti nudi, peli nudi, peri rudi, peni nudi, feti nudi, feti ruvidi, peni ruvidi, rutti nudi, rutti puri, reni puri, reni fuori, rane rade, rovi rudi, rovi fieri, rave neri, rave nani, rave puri, piedi nudi, piedi rari, peri lieti, fori lieti, fori rotti, bava rara, bove rado, rutti fuori, riti neri, culi rotti: La vicina di casa alla domanda: "Cosa ha pensato la prima volta che ha visto Peti Nudi?" Editoriale PN 999 

"Siamo qui per confrontarci con tutti, e se è il caso anche ignorarsi perché incompatibili. Nessuna pietà' per i servi e le donnette!!!! Stima e rispetto per pochi! Amore e passione per qualcuno. Stronzi ma buoni." LA LOGGIA Editoriale PN 666 


Gli anni novanta del Novecento non sono stati affatto confortevoli, a tratti forse piacevoli, mai risolti; sono stati e resteranno l'ultimo decennio contraddittorio di un secolo violento e complesso, uno spaccato ricco di spunti ancora da approfondire e di avvenimenti che hanno mutato inesorabilmente la geografia psicofisica di chi li ha vissuti. All'interno di queste trasformazioni non sempre richieste abbiamo solleticato i batteri a  intraprendere nuovi viaggi narrativi, a battere strade innovative verso mete ignote, a sperimentare progettualità' spontanee, nella vita di tutti i giorni compreso il dopolavoro. [È il presentimento di affondare nel caos, nell'incertezza che determina l'organizzazione limitata e razionale della vita quotidiana. L'alienazione grigia, sbiadita, la ripetitività ricercata nella strutturazione estremamente rigida dell'esistere, o meglio del sopravvivere, trova apparentemente una possibilità di riscatto e di cambiamento nel gusto compiaciuto del divertimento fittizio, comprato a caro prezzo, allestito secondo i dettami delle mode e delle nuove tendenze. Il culto materiale dell'immagine giusta al posto giusto, del look arricchito e ingigantito dall'ultimo oggetto optional che va tanto in voga, ben si concilia all'interno dell'organizzazione quotidiana dell'uomo-donna che lavora, produce e consuma... da VIVERE L'ESTREMO E RITORNO di Meridiana 0.7 ­ PN 666] Prima della inesorabile fine della ideologia degli ultimi perdenti, della storia dei presunti vincitori, della filosofia del narcisismo compulsivo e dell'onanismo logorante davanti a Pornhub, delle differenze di gender e anche no, della politica degli sfigati al potere, ci stavano spazi creativi dove comunicare le proprie opinioni e scambiare i propri bisogni e desideri, dove amare e odiare erano vissute in modalità analogica, a volte dolorosa, ma affrontabile, a stretto contatto fisico e mentale, con esiti inaspettati ma comunque stimolanti. [Sabato 20 settembre gioiosa inaugurazione del Tempio della Pezza, alias Spazio Kamino, rioccupato con una grande festa d'inizio stagione. Numerosi i DJs che si sono alternati alla consolle, alcuni (nuove leve della techno cittadina) hanno ripercorso tutta la vecchia tradizione romana e non solo, con simpatico carisma; altri, invece, hanno provato con convinzione ad accontentare il pischellame tipico del quartiere (semplice e sincero), con dell'ottima hard techno industriale. Il tutto condito da un'atmosfera calorosa e afosa, sicuramente un po’ fastidiosa; ma comunque ne è valsa la pena. Forse per qualcuno l'iniziativa ha rappresentato poco più che niente di nuovo sotto il sole. C'è invece da constatare che rispetto al grigiore triste di questi ultimi mesi nella periferia marina della città si respira un dolce venticello fresco e invitante. D'altronde i progetti dei giovani occupanti sono interessanti e indispensabili per non fermarsi: ristrutturare il posto per renderlo più vivibile, organizzare una saletta prove, promuovere e finanziare un vinile autoprodotto su etichetta indipendente, allestire altri parties in futuro, etc. Quanto basta per incoraggiare e sostenere il loro entusiasmo. In culo alla balena! Dalla rubrica Consenso Popolare SPORCHIAMOCI LE MANI Riapertura e ristrutturazione dello Spazio Kamino a Ostia di Meridiana.07 ­ PN 1]




Non abbiamo vinto alla lotteria, ma neanche perso il treno della storia. Abbiamo tentato a volte con difficoltà, molto spesso con ardore e passione di gettare le fondamenta durature del passaggio dalla nostra giovinezza alla dimensione dell' essere responsabilmente adulti, che poi altro non è stato se non appropinquarsi alla fine dell' impaziente secondo millennio fingendo di essere pronti al salto verso l' ignoto, e prima di venire divorati e consumati dal turbocapitalismo, segmentati dal social network, psichiatrizzati dal lavoro precario, disintegrati nel s.uperamento delle in/differenze di genere e dopo il "produci consuma crepa" degli anni ottanta, comprendere in ritardo che Nostradamus col cazzo ci aveva azzeccato.

Immagine di copertina dell'ultimo PN nr. 888 tradotto anche in inglese, che raffigura due giovani sulla spiaggia di Ostia: uno rasato in tuta mimetica militare con un boa di piume sintetiche di struzzo e ai fianchi un kit di sopravvivenza (pentolino in acciaio, piatto in plastica e bottiglietta di ketamina); l'altro con dreadlocks, occhiali e turbante arabo indossa una tunica, entrambi a braccia conserte a chiosare la scritta pleonastica: READY 4 THE NEW MILLENIUM/fatti non parole 


Passaggio involontario dall' aspirato vacuo nulla "copy and paste" dal "no future" degli anni settanta, fino all'incubo della quotidianità forzata da nuove esigenze societarie che non servono a farti stare bene ma neanche a farti stare male, certo è che non ti servono. Dopo una brillante stagione ricordata come la fase degli illegali romani (quando i rave parties si organizzavano un po' dappertutto sia in periferia che in centro a Roma), iniziò un leggero decadimento spirituale e fisico, percepito per lo più come già definitivamente decaduto, non senza un pizzico di drammaticità' che non guastava almeno l' estetica del periodo. [Ultimamente all'interno dei rave parties si sta diffondendo uno strano morbo, una pericolosa epidemia che sta progressivamente distruggendo quanto di concreto e creativo è stato costruito nel corso del tempo. Purtroppo tale malessere ha già inevitabilmente contagiato una serie di persone.....Accecati dal protagonismo sterile e dal desiderio di apparire come leader, questi soggetti non fanno altro che occupare per ore la consolle proponendo musica insulsa e appiattendo totalmente anche quanto di più sperimentale e innovativo esiste nel panorama musicale underground, producendo in questo modo un tipo di atteggiamento che inibisce l'espressività' di coloro che nella ricerca e nella comunicazione investono gran parte del loro tempo....Nuovi suoni e altre energie si scaglieranno contro questo stato di cose. La prossima realtà' musicale coprirà sotto un cumulo di polvere la banalità e le sue stupide marcettine. Da MINIMAL SHIT di BIG HEAD ­ PN 999]



Proiettati verso la fine del secondo millennio o l'inizio del terzo dipende dalla prospettiva, un gruppo consistente pianificò e occupò nel settembre del 1997 lo spazio in disuso dentro e attorno la fabbrica della Fintek a Castel Romano, periferia sud della capitale. L'occasione per altro funesta fu la morte prematura per overdose in India di un nostro caro amico inglese, il dj eclettico e musicista bizzarro, Sasha Sansbury. In principio avrebbe dovuto essere un rave volante di un paio di giorni, prima che la Fintek divenne un punto di riferimento nazionale e internazionale della scena elettronica romana. [Una delle ultime volte che ho visto suonare Sacha, indossava una parrucca coi ricci neri lunghi, calzoncini bianchi da gelataio e camicia a quadri tipo yankee; inutile dire che ho riso tutta la sera. Quello che ricordo con piacere è che improvvisò in circa un'ora di consolle una selezione di techno ­ jungle – drum n bass, miscelata con enorme abilità a una serie di pezzi storici di dance funky anni ‘70. Notevole, convincente, dissacrante come sempre, con in più un pizzico di eleganza. Sacha è con noi in tutti quei momenti di vita vera, di gioia estrema, d'irresistibile sarcasmo. È stato con tutti noi che non lo dimentichiamo anche il 27 settembre (giorno del suo compleanno) per una due giorni nei pressi di Pratica di mare, vicino a Roma. L'ex industria di prefabbricati, fallita ormai da dieci anni, è stata occupata da circa 1500 persone, che da anni si ritrovano per creare situazioni ed emozioni diverse e diversificate sempre più rassomiglianti ai nostri sogni e bisogni. Stravolgere l'uso consueto e routinario del tempo e dello spazio è l'obiettivo prospettabile, senza tralasciare i molteplici modi d'attuazione delle nostre esigenze e i numerosi altri metodi e strumenti che ancora dobbiamo scoprire e sperimentare. Affinità e non gerarchie, chiarezza d'intenti e non percorsi forzati....Da questa due giorni è scattata la presa e l'occupazione del posto, non solo per uso abitativo ma anche per provare ad attuare forme di convivenza stimolanti e lungimiranti. È cominciata la lenta creazione di uno spazio più vivibile e confortevole; lo sforzo di ripristinare una struttura abbandonata e in parte disintegrata dagli anni. Lo spirito del gruppo di persone che si sta sbattendo in questi giorni è espresso in queste righe stralciate da un volantino comunicato alla radio: Esausti dall'incastro di una metropoli a scomparti come Roma, dove sembra impossibile creare una realtà diversa perché comunque soggetti al tempo­denaro. È l'energia dell'unione che muove le nostre azioni e senza di essa per noi sarebbe pressoché impossibile realizzare i nostri sogni. Quest'area ci da ossigeno e a nostro avviso merita la vita. Da Fintek: il Clan. We will survive dalla rubrica Consenso Popolare NON SOLO UNA CELEBRAZIONE di Meridiana.07 ­ PN 999]


Peti Nudi, technozine in semplice formato A4 ripiegato, nacque esattamente in quel fine settimana di settembre, è stata occasione per me e per gli altri che mi accompagnarono in questa discontinua esperienza editoriale di sapore D.I.Y., di raccontare in maniera sostanzialmente provocatoria e scanzonata la scena non commerciale della musica elettronica che ci piaceva allora; [...il promettente DAN, che come sempre con la sua grinta cerebrale, ha solcato le nostre budella attraverso incastrose distorsioni grattugiando gli ultimi lembi della mono­cellula gigante del nostro abusato cervello.... Dalla rubrica Consenso Popolare IL TUMULTO VIENE DA LONTANO... E DA VICINO recensione di Anna Bolena su Hekate Crew presso Fintek Agosto 1998 da PN­888], o ancora [Il nostro amico crucco non ci ha deluso! Bombe bordeaux con scritta Planet Core Production in gotico sulla schiena e cassoni inauditi che sprizzano da tutti i pori. L'incontro con lui è stato sacro. Heil The Mover.... Da Consenso Popolare TAPPETTINI ROSSI E NERI. Recensione di DJ Swaitz sul set di Marc Arcadipane presso Fintek Novembre 1997 PN 333], oppure [Seriosa attitudine di un professionista professore evidenziata da un gusto musicale elegante e dirompente....Come un duca al comando... Da Consenso Popolare ONLY JUNGLE CORE considerazioni sul set di Fabrizio D'Arcangelo presso Brancaleone Roma Febbraio 1998 PN 666] Partorii l' idea di una rivista cotta e mangiata in una notte agitata e insonne, con l'intenzione di pungolare e far riflettere l'entourage che mi circondava, divenuto un tantino noioso e conformista. Ormai poco stimolata e ancora desiderosa di dare un contributo, processai a grandi linee il progetto che condivisi il giorno dopo con gli altri e che realizzammo immediatamente in formato volantino da distribuire alla festa d'occupazione della Fintek. Le reazioni furono controverse, qualcuno non apprezzò l'impaginazione satanista e massone della copertina, altri trovarono di funesto gusto la foto di Sasha con in mano una boccetta di ketamina, altri contrariamente trovarono il tutto molto divertente ed edificante.


Immagine dall'editoriale del primo numero di Peti Nudi raffigura Sacha con una t­shirt S.P.Q.R. in mano una boccetta di Ketalar utile CONTRO IL RODIMENTO DI CULO, L'APATIA ROSICONA, L'INVIDIA INTESTINALE

L'ardita operazione stucco e ristucco dei bassifondi musicali metropolitani ormai moribondi era iniziata. Impresa titanica con destinazione ignota. Grandi aspirazioni, stimoli positivi, nessuna certezza. Peti nudi, come l'aria fritta che non racconta niente d'interessante ma che dice la verità, quella scomoda che nessuno vuole sentire, che come un farmaco scaduto squassa le budella con dolorosi trip lisergici, che come la passione bassa evacua le tossine ammalate da stupide menzogne. Antidemocratici di professione, provocatori per sfizio, edonisti prima dello sdoganamento del vanity fair su instagram, anticipammo confusamente il pornoterrorismo antisessista e la politica del fancazzismo, attraverso l'uso fastidioso di parole d'ordine fasciste e comuniste mescolate dentro un calderone di tradizione individualista e anticonformista di rimembranza nietzschiana. [Alla fine del secondo millennio, quando gruppi ecologisti fanno campagne di salvaguardia delle ormai numerose specie animali in via d' estinzione, o qualche regista hollywoodiano allestisce set miliardari sulla vita passata di quelli estinti definitivamente, talvolta abbiamo la nostalgia di quelle assemblee comizio dove i prossimi leader e aspiranti capi della futura classe politica si esercitavano in logorroiche dissertazioni da manuale; davvero commoventi e indimenticabili. Invece gli odierni dirimpettai e strillatori da palco non sono degni di reggergli nemmeno il tempera lapis....avendo scarse possibilità … di comandare secondo modelli gerarchici i propri posti tanto faticosamente sottratti alle infami leggi del mercato capitalista, strumentalizzano qualsiasi situazione ambigua...per richiamare all' ordine e alla disciplina marxista leninista, con convocazioni urgenti simil Comintern, la manovalanza che non vuol più' sottostare nei ranghi assegnati. Da A VOLTE RITORNANO Vetero politicanti o nuovi bielorussi di LA Loggia ­ PN 333]



Immagine da PN 888 (in chiusura dell' editoriale sul proibizionismo delle sostanze psicotrope: Democratici. Mai. Storie di repressioni e depressioni) che raffigura lo striscione ERBA ROBBA DA CONIGLI con l' A cerchiata, da noi appeso sulle grate del Forte Prenestino Roma durante la Festa della Semina primavera 1997


Vision: rompere i coglioni a tutti i costi, sfracellare le ovaie sempre e comunque. 

Mission: distruggere lo status quo di una scena sotterranea che già faticava a combattere improbabili starsystemati e beceri protagonisti da consolle senza arte ne parte. 

Strumenti: estetiche prese in prestito dal punk, dalla techno europea, dalla tradizione e iconografia cattolica, dalla massoneria e dal satanismo, dalla bibbia, dalla cultura pop, dalle riviste porno e dai fumetti erotici, dall'immaginario dark degli anni ottanta, il tutto condito e rivisitato con sarcasmo e irriverenza. Volontariamente maleducati, consapevolmente cafoni, tendenzialmente stilosi, entertainers nati. Divertimento assicurato.



Immagine di copertina del numero 333 di PN che raffigura ANNA BOLENA smorfia di disgusto con scritto sulle tette OUI JE SUIS a fianco l' ANATEMA I che recita: "Paladini dell'immondizia fatta spettacolo, lontananze estreme di pressapochismo e indifferenza ci separano. Testimoni apocrifi dell'inconsistenza sguazzeremo nell'unica sostanza autentica che ci circonda, la merda che espelliamo ogni giorno. Chi consuma, crepa."


La fanzine realizzata in sole sei edizioni e in pochi esemplari rigorosamente fotocopiati in bianco e nero nero, con numerazione casuale tipo 333 o 666 si articolava, a eccezione di alcuni interventi esterni di amici ed esperti, su uno schema a metà strada tra il quotidiano locale e la rivista patinata di gossip. Copertina Editoriale Consenso Popolare (impressioni su eventi e feste, concerti e dj set) L'angolo della scienza (considerazioni sulle droghe) Ricette (recensioni musicali), charts e inserzioni di etichette discografiche o artisti Flyers e statements Poesie licenziose e racconti pornografici Articolo principale su musica e cultura rave Interviste e inchieste Poster da appendere Retrocopertina




pics & words © ANTONELLA PINTUS 

domenica 20 agosto 2023

DAL CRAVING AL COLD TURKEY [Assuefazione e disintossicazione e rave] (2000)

 DAL CRAVING AL COLD TURKEY

[ASSUEFAZIONE E DISINTOSSICAZIONE E RAVE]



                                                                            )))agli ultimi(((

PREMESSA


“Quello che abbiamo vissuto non può essere raccontato a parole.” Leo Anibaldi


Innanzitutto è mia intenzione spiegare il significato etimologico delle parole usate nel titolo di questo articolo; 

Craving: termine anglosassone che significa “desiderio ardente”, di solito viene usato per descrivere le voglie irresistibili delle donne in gravidanza verso particolari cibi o bevande. In seguito è stato introdotto nella descrizione della sintomatologia del tossicodipendente da eroina in special modo, quando si vuole indicare l’incontrollabile voglia di farsi.

Cold Turkey: anche questo è un modo di dire mutuato dagli americani, tradotto in italiano vuol dire “tacchino freddo”, espressione colorita e inquietante che viene utilizzata in ambito terapeutico di disintossicazione da eroina, quando il paziente, ormai pollo da spennare, viene costretto a smettere di bucarsi senza l’ausilio di succedanei, quali farmaci antidolorifici o analgesici, che quantomeno gli consentirebbero di non sentire i terribili dolori alle ossa e ai muscoli, conseguenza di un uso prolungato nel tempo dell’oppio di sintesi.

Assuefazione: abitudine all’assunzione di una qualsiasi sostanza, la quale per consentire di provare le medesime sensazioni, generalmente piacevoli, provate le prime ed entusiastiche volte, è necessario aumentare gradualmente o velocemente a seconda dei soggetti la dose minima che garantisca lo sballo. Inutile dire che ogni cosa può creare assuefazione, non solo le sostanze psicotrope.

Disintossicazione: processo di disassuefazione ad una sostanza, ad una situazione, a delle condizioni ambientali e mentali particolari, può chiaramente esprimersi ed attuarsi secondo modalità differenti e diverse, nel caso dell’eroina ad esempio, lo smaltimento fisico, l’eliminazione della sostanza intossicante dal corpo, può avverarsi anche in soli 4 o 5 giorni, quello psicologico ha bisogno di più tempo, talvolta possono passare molti anni prima che il soggetto si allontani definitivamente dalla sostanza, senza registrare possibili ricadute.

Raves: in inglese significa delirio, fermento, fomento, descrive tutte quelle situazioni di festa e di adunanza sociale dove gli individui condividono insieme, sensazioni, desideri e utopie, nel tentativo di trasmettere comunicazione trasversale e orizzontale, diversamente dalle istituzioni e dalle agenzie del sistema, quali famiglia, lavoro, chiesa, sport, e tempo libero, che da sempre si caratterizzano per i loro rapporti interpersonali di tipo gerarchico e autoritario.

Adesso dopo il micro - vocabolario, [le spiegazioni sono, chiaramente, indicazioni di massima, che potrebbero benissimo essere rivedute, corrette o aggiustate] vorrei introdurre il retro-significato del titolo.

Il riferimento si indirizza verso una pratica assai diffusa nell’ultimo periodo, l’utilizzo, qualche volta smodato, di sostanze empatogene e euforizzanti, che ha accompagnato spesso i nostri raduni finesettimanali, talvolta settimanali, nel senso che duravano una settimana intera.

Nessun moralismo strisciante, non mi appartiene, piuttosto una constatazione dovuta.

Sono dell’opinione che quello che abbiamo costruito, sudato, sentito, non ha parole, o comunque trova difficoltà ad esprimersi nelle dichiarazioni formali o gergali che una qualsiasi lingua possa tentare di spiegare, descrivere, o affermare. Come dire che solo nel nostro più intimo recesso dell’anima riusciamo a ricordare e riuscire a riprovare quelle vibrazioni.

Ma adesso, che quella splendida stagione si è esaurita, salvo qualche fuoco di paglia e qualche scaramuccia saltuaria, possiamo, sia rivisitare con adeguato distacco ed intelligente analisi gli eventi recenti, sia confermare e contare quanto delle nostre aspettative di cambiamento si sia effettivamente realizzato.

O perché non sono in vena di nostalgia, o perché non sono certa di conoscere a fondo i desideri dei compagni di strada di questi ultimi anni, a parte gli “scazzi”, le incomprensioni, e le differenze di opinione, che non interessano più a nessuno, preferisco, sia perché è sempre stato uno dei mie interessi principali, sia perché esplicito volere del curatore e ideatore di questo libro, testimoniare dell’iniziale entusiasmo all’uso cautelativo, sociale, ricreativo, espansivo e quant’altro delle droghe, per arrivare a testimoniare lo scivolamento incauto nell’uso meno controllato delle stesse, con il conseguente accertamento dell’impurità delle sostanze, e per finire provare, brevemente, a illustrare gli scenari della pratica di riduzione dei danni, prospettata e attuata dagli operatori “professionali” del presidio sanitario, altro tentacolo del controllo sociale. Infine tre appendici. Le prime due sono di Nicholas Saunders, una è costituita da un articolo sulla presunta e non dimostrata presenza di eroina nelle pasticche di MDMA, l’altra è una intervista a fabbricatori di Ecstasy. In conclusione l’intervista che un pusher mi ha rilasciato.


Volendo fare una parodia forse per qualcuno fastidiosa, quello che vorrei suggerire ma non trattare in questo scritto, è l’intossicazione da raves, che mi pare più preoccupante, vista l’apatia e la poca freschezza degli ultimi eventi, ma questo è un altro discorso, che forse ci porterebbe lontano.

Restiamo e continuiamo a parlare dei rischi non calcolati, se di rischi si tratta, che invece sono a mio avviso riscontrabili a conseguenza evidente dell’uso prolungato di COCAINA, MDMA, SPEED, CHETAMINA,…

E l’eroina che c'entra??

Ritengo non troppo forzato il paragone, visti gli studi assai diffusi sui comportamenti di abuso, sulle diagnosi, sulle cure, sui rimedi contro l’assuefazione e l’intossicazione da eroina, infatti si può imparare molto dai libelli, articoli, libri e pubblicazioni in materia, senza dimenticare che l’eroina è la vera droga 1, la panacea risolutiva, il paradiso artificiale che tutto tace e tutto acconsente nell’immobilità mentale e corporale, toglie e cancella da subito tutto il malessere del mondo. Le altre droghe vengono dopo e quindi, sono differenti, forse meno pericolose, forse meno dannose. Tutto da dimostrare. Forse le riflessioni sono altre, visto che per un po’ “il paradiso” lo abbiamo davvero toccato con mano. Ma tutte le sostanze, tutte le merci, perdono nel vortice consumistico il loro fascino incantatorio iniziale, per poi svelarci quello che non pensavamo ci fosse dietro l’angolo, noi stessi con i nostri fantasmi e le nostre ombre, intenti ancora una volta a riprovare da capo un’altra avventura, con qualche inculata in più da archiviare. 

E poi l’eroina qualcuno la usata, la usa, la userà.

Una citazione voluttuosa e devota a una sostanza che piace.



PARTE PRIMA

Usi e consumi

“Per quanto mi è dato sapere, fra le droghe ludiche solo l’eroina e l’LSD permettono di accedere al sublime. E, tuttavia secondo modalità del tutto dicotomiche. L’LSD rende brillanti, almeno temporaneamente, ma c’è la fregatura: vale a dire,rende anche stravaganti e incapaci di esprimersi, idiots savants imprigionati, senza capirne il perché, nei torti e nelle ragioni becere della maggioranza dei sani di mente. Gli oppiacei, d’altro canto, tendono a istigare il corteggiamento della morte, che ovviamente è uno stato del corpo su cui si può solo fantasticare; per cui il corteggiamento in sé, visto che profondo e non conoscibile sono sinonimi, giusto? Ma l’uso assiduo di oppiacei può condurre alla morte. E se da un lato la morte permette al tossicomane di trascendere i dogmi semplicistici della società, dall’altro lascia anche la sua vita passata e le sue convinzioni totalmente vulnerabili ai revisionismi da strapazzo di chi gode di lunga vita.” 

Dennis Cooper - IDOLI - 1997


Ci sono configurazioni chimiche e proprietà sintetiche insite in ogni sostanza esogena, che introdotta secondo modalità differenti [per via orale, per via intramuscolare, per via endovenosa, per via nasale, per via anale] va a toccare spazi e aree ben precise nel nostro cervello, il quale è sempre pronto a riconoscerle senza sbagliare, mai.

Questo vale per farmaci, psicofarmaci, piante curative, principi attivi di funghi, cactus ed altro, droghe di sintesi o designed drugs, processi di cristallizzazione o lavorazione di foglie, arbusti etc, che corrispondono e vanno a incrementare l’elenco lunghissimo delle sostanze più o meno tollerate, più o meno perseguite, che con solerzia quasi certosina ogni anno l’Organismo Mondiale della Sanità redige, affinché ognuno addetto o non addetto ai lavori deve considerare nel momento in cui le prescrive, consiglia, suggerisce, propone, affida, guida, aiuta, conforta, allevia, tiene, detiene, mantiene, assume, usa, abusa, consuma, elargisce, istiga, offre, dona, regala con l’obiettivo di fare e farsi del bene.

E fin qui tutto a posto, il problema, visto che di problema si tratta e che le sostanze appunto non sono tutte uguali, o meglio non sono considerate uguali secondo i loro benefici curativi, o secondo la loro capacità di alleviare il dolore e prevenire il malessere, oppure secondo criteri dettati dai principi della chimica,2 della medicina, della scienza, e della matematica, e neanche secondo modalità etiche, o principi morali, valori o codici umanistici, o secondo una qualche deontologia professionale votata alla coerenza, o ancora secondo dottrine religiose e trascendenti, poiché ci sarebbero troppe verità in contrasto fra loro: infatti se un musulmano non beve vino è un problema squisitamente personale o al limite del paese in cui certe tradizioni vengono rispettate, non può essere l’OMS a stabilire criteri legati alla vocazione o al grado di osservanza ai culti divinatori. Dunque il presupposto principale di divisione delle tabelle di quelle sostanze chiamate droghe, è la separazione in due grandi categorie,quella delle sostanze illegali e quella delle sostanze considerate legali; 

cioè è un principio legislativo, burocratico, statale a stabilire se una sostanza ti fa male oppure no, ed è questo stesso principio che stabilisce che se ingurgiti 8 litri di vino non vai in galera, se ti fai uno spinello con due grammi di THC puoi essere perseguito anche penalmente se il giudice lo riterrà opportuno, oppure avviato a tua discrezione verso qualche programma rieducativo e terapeutico di disintossicazione.

La Francia, contrariamente a questa tradizionale divisione ha elaborato un piano triennale di lotta alle droghe, che si basa sulla divisione delle sostanze secondo il grado di pericolosità, infatti nel primo gruppo troviamo l’eroina, gli oppiacei, l’alcool e la cocaina; nel secondo gli psicostimolanti, gli allucinogeni, il tabacco, e le benzodiazepine; nel terzo la cannabis e i suoi derivati. Secondo questa divisione, che rappresenta nei suoi limiti, comunque un passo avanti rispetto al passato, è chiara l’intenzione di volere in qualche modo tenere sotto controllo il consumatore, quanto meno collocandolo in un preciso contesto sociale, nell’analisi comparata delle differenze individuali, ma è qui sta il limite: descrivendo, catalogando, etichettando e prevenendo i suoi possibili comportamenti a rischio.

Inoltre, in questo piano di attacco alla diffusione degli stupefacenti, si parte dal presupposto che tutte le droghe sono tossiche,3 si stigmatizza un po’ troppo l’uso ricreativo o anche sperimentale delle sostanze; cioè, si considerano le sostanze per gli effetti che producono, ma ancora una volta, non si tiene conto delle diversità nell’approccio alle droghe, dipingendo il consumo con visioni allarmistiche e colpevolizzanti, sempre in un ottica di repressione sociale [se si tratta di schieramenti politici e istituzionali destroidi o bigotti] di calcolo dei danni sociali previsti [se invece si tratti di cattocomunismi progressisti con ampie vedute di fittizia liberazione]. Come se all’esistenza e alla diffusione delle droghe si potesse attribuire quasi una sorta di spiegazione di tutti i mali del mondo, come se le problematiche giovanili siano sempre legate all’uso improprio, ludico, superficiale delle droghe, le quali spiegano il fatto che ci sia la disoccupazione, l’insoddisfazione, l’incapacità alla realizzazione professionale, la tendenza all’indolenza, e all’ozio, la mancanza di concentrazione nello studio etc. 

E poi se è stato stimato che solo il 10% 4 dei consumatori potrebbe abbracciare comportamenti d’abuso verso una qualche sostanza, mi pare ovvio che per gli esperti e per gli specialisti a caccia di qualche Nobel per la pace,non ci sono ancora i numeri per definire il problema ad alto rischio. Certo i vari scienziati che contribuiscono con i loro rispettivi governi ad alimentare la caccia alle streghe, sotto la parvenza buonista e ipocrita di volere risolvere tale piaga sociale, si danno un bel da fare a tentare di prevedere, analizzare, valutare possibili interventi di recupero e reinserimento di quei soggetti che malati hanno bisogno di cure adeguate, specialistiche, miracolose.

Si dimentica troppo spesso che il comportamento d’acquisto di una sostanza non risponde agli stessi criteri di valutazione di un soggetto che andando al supermercato, se ha i soldi compra Mulino Bianco, e senno si orienta sui biscotti Montebovi, più economici e di massa. Trattandosi di sostanze illegali, mi pare ovvio che il prezzo deciso sul mercato risponde a esigenze legate ad altri fattori, non comunque relazionabili al soggetto che vuole provare, o perché è dipendente o perché ne ha voglia, ho perché gli serve per rilassarsi, o perché gli procura piacere, o perché vuole meditare e quant’altro.5

In un ottica di gestione autonoma delle nostre menti e delle nostre voglie, dei nostri desideri, delle nostre spontanee tensioni verso qualcosa di diverso, non veicolato dall’alto, ma influenzato solo dal nostro immaginario, abbiamo cominciato verso il 1995 contestualmente all’ingigantirsi del fenomeno rave in Italia e in Europa, a produrre controinformazione e informazione dettagliata sulle sostanze psicotrope che circolavano allora, principalmente MDMA e anfetamina in polvere. L’obiettivo principale era quello di far circolare le poche notizie, che si trovavano diffuse in rete,e tradotte dall’ inglese, sugli effetti e sintomi causati dall’assunzione di Ecstasy e Speed, le droghe che più circolavano in quel momento nei nostri contesti.

Con questo tipo di informazione in modo illusorio e anche ingenuo abbiamo creduto che distribuendo volantini con sopra scritto “Do it, not abuse”6, oppure “spegni la televisione pensa con il tuo cervello”, si potesse in qualche modo arginare il possibile rischio di una contaminazione contagiosa verso l'arioso adagio allo sballo. Infatti il problema è sempre stato lo sballo fine a se stesso, anche noi siamo incappati in un moralismo viscidamente insulso e incoerente, come se il piacere di provare uno stato alterato di coscienza fosse stabilito una volta per tutte e per tutti, come se le droghe fossero solo riscontrabili e descrivibili da quante vampate di calore hai ricevuto o da quante smascellate hai riscontrato, indi per cui la “chicca è bona”.7

Lo stato alterato di coscienza, quante volte pronunciato e biascicato, ma quando veramente sentito, provato, sperimentato, come se poi fosse tutto rose e fiori e non una condizione psicofisica completa, totalizzante, solitaria spesso di perdita dei sensi tra la vita e la morte, e qui mi dispiace per chi si è indottrinato sui manuali dove viene esaltato lo spirito collettivo della trance dello scambio sociale e della comunicazione trasversale. Dimentichiamo troppo spesso che se davvero i raves fossero rituali, avremo tutto sotto controllo, poiché ci sarebbe un trainer uno stregone un iniziato una condizione di trance indotta che coinvolgerebbe per forza gli astanti e i partecipanti che comunque sono preparati a quello che li aspetta, e dove spesso capita che non tutti sono ammessi a partecipare al rito magico dell’assunzione di un qualche miscuglio potente e concentrato, derivato di una pianta, o di un albero, o di un fungo: un qualche principio attivo super concentrato. 

Insomma i riti tribali e religiosi di popoli primitivi o ancora non occidentalizzati si esprimono, comunque, secondo una gerarchia e una ruolizzazione ben definita, dove il singolo ha poca libertà di poter trasformare radicalmente il susseguirsi degli avvenimenti, dalle nostre parti nonostante la divisione sempre più netta tra organizzatori e frequentatori, dovuta ad altri motivi che alla ricerca della rivelazione divina in qualche spirito reincarnatosi per l’occasione, di autentica trance collettiva così come la intendono taluni antropologi, non si è mai visto neppure l’ombra.

Piuttosto l’incarnazione della pezza, quella più volte si è incontrata nei volti dei numerosi ravers che hanno calcato le polverose strutture periferiche che circondano le nostre città.

Siamo stati abituati alle lezioni radicali di Hoffman, di Shulgin e di Leary, dai loro laboratori di ricerca si è cercato di contaminare la loro sperimentazione con elementi di trasgressione, di rottura con la cultura dominante, di contrapposizione concreta, di organizzazione dal basso del divertirsi e dello stare insieme, senza verità da confermare, senza ricerca dell’assoluto e del totalizzante.

Nel 1997 cominciammo, contrariamente a prima a diffondere sulla nostra rivista PETI NUDI, alcuni spot provocatori che istigavano all’uso delle sostanze con modalità impregnate di cinismo e sarcasmo, non sempre apprezzate, ma a mio avviso veritiere e anche sfacciatamente apologete.8 Alla droga ci credevamo, e per certi versi ci crediamo ancora, per la sua capacità di renderci quello che siamo, per la volontà di credere in quello che siamo, per l’opportunità di espandere le nostre menti e i nostri sentimenti.

Abbiamo rappresentato una micro collettività assolutamente non in sintonia con quello che stava fuori dal capannone o dalla fabbrica abbandonata, l’obiettivo è sempre stato quello di spegnere e allontanarsi il più possibile da una realtà metropolitana inadeguata alle nostre esigenze. Niente gesti naturali o liberazioni concrete del nostro malessere, tutto ciò che fuori non si poteva compiere o attuare dentro l’isola di metallo e cemento si è portato avanti con convinzione e fedeltà, sicuri che il sabato prossimo sarebbe stato lo stesso. Il rito del popolo della notte non era quello di perseguire una ricerca interiore illuminante sostanzialmente consona alle tradizioni, così come avviene tra gli aborigeni di un qualsiasi villaggio africano, piuttosto quello di rivivere o provare a fare tutto quello che la società ci impedisce di attuare, la libertà di espressione. Nella quasi certezza e convinzione della sperimentazione pragmatica, abbiamo consumato, ma con approcci tendenzialmente moralistici nel senso che inizialmente si cercava appunto di non strafare, accompagnando le nostre scoperte lisergiche a grandi entusiasmi, a fervide tensioni e coraggiose velleità di trasformazione del momento, dell’attimo vissuto, del qui ed ora. Principalmente ignari della reale consistenza delle numerose pasticche e sostanze che circolavano: i commenti e i preamboli all’acquisto mutavano rapidamente di fronte al colore, alla grandezza, al disegno in calce, al prezzo   tutto ciò produceva comportamenti d’acquisto curiosi e ingenui: bastava che l’incauto pusher pronunciasse dichiarazioni come: è morfinosa, è poco anfetaminica, oppure è un tantino mescalinica, che in noi scattava la consapevolezza presunta di essere capaci di prevedere quali effetti mirabolanti e fantastici avremo provato. Il beneficio del dubbio, quello per fortuna è arrivato, tardi ma è arrivato.

Ciò è passato attraverso l’uso il consumo l’abuso delle sostanze, inizialmente discrete di buona qualità, in seguito sempre più legate alle modalità e alle leggi del mercato, secondo logiche che appartengono al mondo, quello che sta fuori e che alla fine è entrato dentro.



PARTE SECONDA

Cavie topi e polveri

"Penetrazioni astratte: una scopata da cavalli.

Mentre accarezzavo il suo culo dalla carne soda e asciutta, sentivo il suo membro snello assottigliarsi velocemente dentro le mie pareti morbidamente lisce. Il contorno del corpo perdeva peso e spessore mentre gli angoli delle gambe, delle ginocchia e delle braccia assomigliavano a pezzi di immagini dipinte da Picasso, impossibile comprendere dove cominciava la mia figa rispetto al resto, dove arrivava a toccare il suo corpo allungato come robusti fili di ragnatele ai bordi nitidi dei quadrati rossi, blu e gialli di Mondrian. Il piacere ansimato ci immergeva dentro l’ambientazione naive di un disegno animato, con tanto di fumetti onomatopeici a suggellare un amplesso spigoloso e gonfio, confuso e coinvolgente, niente odori e sapori forti, poi improvvisi umori liquidi facevano scivolare le membra attraverso le altre. I bordi dell’immagine venivano rinchiusi dallo schermo gigante della TV, il film recitava le sue ultime battute in un lasso di tempo percepito lungo, in realtà di soli 10 minuti circa d’alterazione. E lui esclamò: “Non ci sto capendo niente!”."

Anna Bolena - Ketamina mon amour - 1999

Bisogna constatare che la qualità delle nostre sostanze, acquistate e ricercate sul mercato nero, vedi pasticche fumo e cocaina, oppure sul mercato parallelo sommerso grigio dei farmaci che nel mercato bianco vengono venduti sotto ricetta medica, vedi chetamina, anfetamine a psicofarmaci, sta rischiando di essere camuffato e tagliato da sostanze che con quella che si vuole acquistare non hanno niente in comune, anzi talvolta si può presentare il rischio che le sostanze aggiunte sia superiore in concentrazione al principio attivo delle stesse.

D’altronde se le droghe fossero caramelle, sulla loro carta colorata avrebbero in calce le precise indicazioni degli ingredienti naturali e chimici di composizione.

Ma le droghe appunto si muovono in ambienti totalmente illegali, super controllati dal sistema repressivo, volutamente nascosto per ovvi motivi, e quindi sottoposto a dure leggi di sopravvivenza che vanno inesorabilmente ad intaccare la bontà delle sostanze di cui si sta trattando.

Questo non vuole essere un suggerimento alla legalizzazione, ne tanto meno una condanna al traffico malavitoso di stupefacenti. Infatti nell’approfondimento degli aspetti legati alla qualità o alla purezza delle sostanze, prospettando possibili scenari risolutivi sulle problematiche inerenti al mercato delle droghe, e considerando se sia meglio auspicare il controllo totale da parte dello stato e dei suoi presidi sanitari della vendita e somministrazione dei farmaci e suoi simili, oppure la distruzione devastata e su larga scala delle piantagioni di cannabis papavero da oppio, piante di coca etc., è evidente che entrambi gli approcci siano inevitabilmente destinati a fallire.9

Anche perché le due posizioni, quella forcaiola di chi vuole cancellare dalla faccia della terra qualsiasi traccia di droga, o sostanza psicotropa e quella di chi concentrando in mano allo stato e alle sue istituzioni paternalistiche e tolleranti la risoluzione preventiva del fenomeno droga, non sono assolutamente convincenti, né tanto meno seducenti. 

E come dire scelgo di essere cavia in qualche laboratorio della A.S.L., oppure mi pento e inizio a pensare che senza droga si starebbe meglio e ci sarebbero meno problemi sociali, di disagio, di criminalità, di microcriminalità, mentre si allestiscono splendide campagne allarmistiche contro la droga, che ti spegne, ti consuma, ti fulmina, ti uccide, o magari addestro una ronda di quartiere che va a caccia di marocchini venditori di morte, così come avviene nelle opulenti città del Nord, vedi Milano e Torino. Nascono i cittadini celerini “fai da te”, sempre più razzisti benché di origine meridionale, che si esprimono a favore della pena di morte e di leggi più severe contro la delinquenza, lamentando una totale assenza dello stato e deplorando maggiori divise e tutori preposti all’ordine e alla repressione, come se non ce ne fossero a sufficienza.

Il problema è che il problema forse non è stato mai posto in modo corretto, infatti nei contesti abitualmente frequentati, nei nostri porti franchi dove nessuno ci è mai venuto a rompere le palle, [salvo qualche raro caso] comunque raramente si è voluto argomentare e discutere in maniera precisa e profonda delle contraddizioni inerenti il mercato degli stupefacenti, che è lo stesso mercato mafioso che in altri ambiti proviamo quantomeno a combattere. Nell’impossibilità di poter conoscere a fondo i componenti chimici delle pasticche calate e delle polverine inalate, bisogna sostenere un atteggiamento fiducioso, informandoci della provenienza, del colore, della dimensione, della purezza, dell’esperienza, del fiuto, dell’amico principalmente dell’opinione degli altri, di quelli che ti stanno vicino.

Siamo noi i principali topi auto sperimentali. Non dimentichiamo che ultimamente gira proprio della mondezza altamente intossicante, o probabile che siano altre sostanze a noi conosciute, che simili a quelle più note scavalcano la frontiera più facilmente. Non scordiamoci che poi il controllo sbirresco fa il resto, e considerando che la quantità di droga sequestrata e fatta analizzare presenta tracce di elementi ai più sconosciuti. Impossibile che vengano tagliate con sostanze che sul mercato costano di più, impossibile che venga mischiata eroina, la quale resta tra le droghe più costose, possibile invece la stricchinina e altri veleni, più economici e che in piccole quantità sballano. Impossibile che i produttori di pasticche mettano in commercio sostanze velenose, in genere chi fabbrica ecstasy, è anch’egli consumatore, ed improbabile che pusher incauti possano aggiungere a prodotto finito una qualche sostanza da taglio, cosa più probabile accada con le polveri come anfetamina e chetamina. Per le pasticche è più probabile, ma è tutto da dimostrare, che siano le impurità derivate dai processi di sintesi, attuati presso laboratori volanti che chiaramente vengono spostati di continuo, abbassando i livelli di pulizia e di sicurezza. 

Chi ha buona memoria, ricorderà che gli effetti dell’ectasy qualche hanno fa erano chiaramente riconoscibile e autentici, ultimamente,[a scanso di equivoci tolgo ogni possibile complicazione legata all’assuefazione 10], i sintomi sono diversi e assai confusi nell’essere descritti, ad ogni modo non potendo assaggiare e testare tutto quello che gira, molto spesso ho declinato l’invito al viaggio, proprio nella difficoltà di capire che fosse, e anche nella sfiducia del mercato clandestino ormai troppo inquinato da presenze a dir poco rassicuranti.

Va bene che le droghe ci piacciono, va bene che per tanti anni abbiamo fatto le cavie, ma guardiamoci attorno, qualcuno con la scusa della nostra ricerca dell’empatia e della nostra voglia di crescita interiore si è arricchito alle nostre spalle.

Considerando i risultati concreti che sono stati registrati a seguito delle spettacolari e mirabolanti azioni propagandistiche che i servi delle varie agenzie preposte al controllo del mercato clandestino delle sostanze stupefacenti garantiscono. Di certo è necessario stabilire che l’enorme quantitativo di roba sequestrata non solo costringe ad una produzione raddoppiate della stessa, ma è chiaro che il primo aspetto che colpisce è la qualità dubbia di quello che viene prodotto e confezionato. Aumentando le operazioni di polizia, aumenta il costo sociale relativo, mettendo a repentaglio la bontà delle stesse, che per varcare confini, dogane e mari spinge i fabbricanti a cambiare la composizione delle sostanze, oltre che ad incrementare l’utilizzo di sostanze di taglio anche letali. 

Il business 11 se ne fotte della salute dei suoi acquirenti, al punto che i casi di overdose sono imputabili più al fatto che la roba sia troppo pura, in concentrazione di principio attivo, abituati come siamo ad assumere sostanze che di media oscillano tra il 30/40% di componenti reali. Il resto è composto dei vari tagli dei passaggi di mano dei vari pusher. Interventi dannosi, non controllabili.



PARTE TERZA

I danni della riduzione del danno
Riflessioni

“Billy voleva essere cattivo. Egli appunto non lo aveva mai fatto. Sicuramente, egli sarebbe stato ore a mettersi in mostra nel gruppo sbagliato. Egli avrebbe sbuffato così come sbuffavano loro, si sarebbe iniettato ciò che loro si sarebbero iniettati, fumato ciò che loro fumavano. Ma mentre i suoi amici avevano trovato la beatitudine e l’oblio, Billy rimase a guardare da lontano, senza essere toccato dalle droghe.
I parenti di Billy non potevano essere stati più felici dei risultati. Anni fa, avevano preso la decisione di vaccinare i loro figli contro le sostanze chimiche. Grazie a poche iniezioni, il sangue di Billy veniva riempito di anticorpi che ostacolavano queste sostanze e gli impedivano di raggiungere il suo cervello, come una linea rossa di difesa contro i vizi della vita.
Billy poteva essere fittizio, ma la prospettiva del vaccino anti-droga non è soltanto un incubo della ribellione giovanile. Ma i laboratori accademici e alla fine cinque compagnie stanno portando avanti con successo test animali sugli anticorpi contro cocaina, PCP, metamfetamina e anche nicotina. Il vaccino contro la cocaina è già stato testato per la salvezza di coloro che abusano di droga. Alla fine dell’anno, si potrebbero vedere i risultati delle prime prove.
I trattamenti dei comportamenti d’abuso possono essere solo all’inizio.”
Philip Cohen from New Scientist magazine, 10 giugno 2000

Indispensabile, a questo punto analizzare gli aspetti inerenti a quegli approcci democratici e riformisti portati avanti da alcuni responsabili di centri di accoglienza e di recupero delle tossicodipendenze, dove in evidente contrasto con tutti gli interventi di tipo drug free 12, tutelano il drogato riconoscendogli diritti, bisogni e dignità, secondo una visione votata al to care e al to cure 13.
Il principio ispiratore di tale filosofia è chiamato riduzione del danno 14, che da principio pionieristico, in seguito normativa vigente 15, stabilisce che se esiste il problema della tossicodipendenza, bisogna almeno evitare il contagio di infezioni, quali epatiti e siero positività, distribuendo e rendendo facilmente reperibili siringhe sterili e profilattici. 
Quali gli strumenti per ridurre la mortalità a causa di overdose, di malattie o di incidenti indiretti a seguito di uso non controllato di stimolanti, di infezioni, di carcerazione dei reati piccoli connessi allo smercio di sostanze illegali, di riduzione della emarginazione e di isolamento? Innanzitutto l’incremento della disponibilità e della risposta da parte dei presidi sanitari diffondendo una cultura consapevole del proprio stato di salute, l’utilizzo di farmaci,16 con l’aumento degli interventi assistenziali,17 la legalizzazione delle droghe leggere.
Fin qui tutto bene, pare, da una parte il manganello conservatore dei politici e degli opinion leader incompetenti che ritengono opportuno reprimere sul nascere qualsiasi vocazione al “farsi male”, dall’altra il volto esperto di operatori, medici, psichiatri, psicologi, che dopo anni di inutili tentativi e fallimenti di fronte a una comunità di giovani sempre più drogata, hanno pensato bene di consentirgli altre possibilità, altri programmi riabilitativi, aiutandoli nel difficile percorso della disintossicazione con farmaci sostitutivi, vedi il portentoso metadone18 per gli eroinomani, e psicoterapie dove vengono esplorate le risorse personali e valutate le potenzialità umane. Obiettivo rendere il tossicodipendente ex-vizioso, ex disadattato, ex emarginato, ex reietto della società, ex galeotto, magari conferendogli ruoli di responsabilità all’interno di strutture di recupero e di normalizzazione, come la gestione delle Unità di Strada che da qualche anno operano nelle zone metropolitane con più elevata presenza di tossici, [vedi le stazioni ferroviarie di tutte le città], dove vengono effettuati scambi di siringhe, regalati preservativi e dove grazie a un collegamento con la croce rossa e i tutori delle forze dell’ordine evitano in exstremis la morte di qualche sfortunato che ha un po’ esagerato rischiando l’overdose.19
Il recupero è in tal modo completo. Il tossico redento, grazie a chi come lui o prima di lui è passato per l’inferno del tunnel della droga, ha la possibilità di “rifarsi” una vita grazie al servizio pubblico privato, statale, parastatale, convenzionato o quant’altro, ricevendo il dono, mai sperato quando si stava in preda ai terribili momenti della schiavitù della droga, di andare a salvare quei poveri disgraziati che a differenza di lui, ancora non riescono a smettere.
O probabilmente non vogliono smettere. Come non essere grati e riconoscenti a chi ti ha levato dalla merda dell’eroina dipendenza, trasformandomi in eroe del servizio sociale e assistenziale dello stato pubblico o privato, fa lo stesso, consentendoti di aiutare anche i soggetti più difficili da raggiungere.
Con questo spirito e con tali obiettivi, il fondamento della riduzione del danno e del contenimento dei rischi, è arrivato fino a noi: infatti, in piedi ormai da circa un ’anno, le famose Unità di Strada, che presenti fuori dalle discoteche e dai luoghi prezzolati del divertimento istituzionalizzato e regolamentato 20, [dove grazie a zelanti operatori sociali vengono distribuiti opuscoli e brochure informativi sulle sostanze dannose alla salute], si sono affacciate anche dalle nostre parti durante le feste e i raves periferici, che da anni ormai si svolgono senza incidenti o vistosi problemi di ordine pubblico. Come se noi non avessimo mai provato a praticare la controinformazione di queste problematiche, come se noi completamente inebetiti dall’abuso fossimo incapaci di trovare o provare a cambiare le nostre coscienze i nostri comportamenti i nostri desideri. Noi diseredati, emarginati, incompresi, incapaci di arginare fenomeni di distruzione interiore e fisica, avessimo bisogno della mano santa dello stato quello buono e rassicurante del camice bianco.21 Fortunatamente, non credo che la solerte visibilità di questi individui sortisca un particolare effetto, riuscendo a far smettere i ragazzi dall’usare sostanze altamente intossicanti e dannose per la salute.
Visto che già al nostro interno circolano da tempo volantini e brochure, temo che l’intervento tempestivo dei paladini del sano vivere, trovi ostacoli e sospetto. Anche perché senza niente togliere alla loro professionalità, quali sono le garanzie che propongono, quali le possibilità di miglioramenti individuali e sociali, quali opportunità di risoluzioni salvifiche dall’antico tarlo della disobbedienza civile unica arma, contro l’oppressione dell’omologazione globalizzata dei desideri?
A niente valgono i tentati tentativi referendari elettorali di rendere più pratica e pragmatica la legislazione sulle sostanze stupefacenti nel nostro paese, il cattolicesimo conservatore e perbenista, impregnato nella nostra cultura, impedisce di fatto la comprensione al suo interno di istanze tolleranti verso le droghe, cosi dette leggere, quali il THC in tutte le sue versioni, anticamera di usi e consumi ben più preoccupanti rappresentati dalle sostanze pesanti, appunto.
La fandonia della legalizzazione “leggera”, viene offerta in pasto agli incauti scettici, numerosi nell’opinione pubblica e tra i politicanti restii a qualsiasi trasformazione radicale, come panacea risolutiva dei mali della diffusione della droga, del narco mercato malavitoso degli stupefacenti letali, quali cocaina e eroina, ma soprattutto capace di propugnare definitivamente la liberazione dalla droga.
Di quale droga parlano, visto che sono tante e visto che i costi sociali passano per le tasche del contribuente, considerare le droghe in categorie di riferimento seconda dannosità e non dannosità, legalità e illegalità, non trova risposte concrete in chi stimola, promuove e persevera nella vendita, nella istigazione, nello spaccio e nella diffusione delle sostanze stimolanti, considerandole merci preziose, beni di lusso, più care dell’oro, più prezzolate delle pietre regali, e poi dove si potrebbero comprare? Magari al tabacchi sotto casa o presso la vicina Azienda Sanitaria Locale o Centrale, oppure verrà eletto un supervisore che effettuerà i controlli di qualità del fumo, dell’olio o dell’erba. L’unica cosa certa è che forse, dico forse, 22 diminuirebbe lo spaccio in mano ai piccoli pusher di cioccolato nei quartieri, ma certo non quello di sostanze “pesanti” appannaggio dei grossisti della malavita organizzata. 
A che pro la legalizzazione solo di alcune sostanze; Misteri della fede laica. Chi baccaglia tanto, ma sempre per proposte che di fatto non mutano gran che la situazione presente attua e promuove scelte e prospettive pseudo radicali progressiste, che hanno l’aria di rappresentare ulteriori possibilità di incanalare voti alle prossime elezioni.
Il rischio di una dittatura destroide padronale, va ostacolate in tutti i modi, perché è risaputo che le lobby rosse, con i loro programmi di cooperazione sociale e le loro promesse di riscatto dall’emarginazione, ben rappresentano le esigenze e i bisogni dei cittadini.

Tanto vale nella società dei consumi, stabilire che le droghe siano merce di consumo, come le altre e per favore, nessuna tassa, ce ne sono già abbastanza!!

Piuttosto, sarebbe auspicabile al posto di un’illusoria e improbabile liberazione dalla droga, la liberazione da tutti quei personaggi che vogliono veicolare le tue scelte, i tuoi gusti, le tue aspirazioni, che sempre con la verità in tasca hanno la presunzione di conoscere profondamente le ricette risolutive dei mali del mondo.
Tali personaggi senza malati, diseredati, outsider starebbero a spasso.



APPENDICE I

E’ l’ecstasy mischiata all’eroina?

L’effetto dell’eroina assunta per via orale da parte di un soggetto, che si avvicina ad essa per la prima volta o che comunque non è abituato ad usarla, consiste in una serie di sintomi quali: sonnolenza, benessere, nausea, prurito, pupille spillate e costipazione. Ad ogni modo, gli effetti potrebbero essere deboli rispetto alla quantità normale di E in una pasticca, e se la pasticca fosse composta per metà di MDMA e per metà di eroina, gli effetti dell’eroina verrebbero mascherati probabilmente dagli effetti molto più forti dell’ecstasy. Ho ricevuto numerose mail da parte di persone compresi venditori che sostenevano di aver trovato eroina nelle ecstasy. Ma nessuno di loro aveva spedito dei campioni per farli analizzare (uno sostenne che occorrevano 100 dollari) a la maggior parte riscontrò differenti effetti. Dunque da dove provengono queste chiacchiere?
Quello che segue è una versione curata di un articolo pubblicato dalla rivista ETERNITY nel dicembre 1994.
Voi probabilmente sapete di storie di E tagliata con additivi e sostanze velenose.
Vero, quando compri ecstasy non ci sono controlli di qualità e puoi incappare in un cocktail di droghe, in particolare quando il pusher resta senza MDMA. Puoi inoltre, capitare che prendi una fregatura. Ma non eroina e neanche veleno.

Ogni giorno la polizia sequestra sostanze sospette che vengono inviate in laboratori specializzati in analisi di sostanze psicotrope, e là non hanno mai riscontrato tracce di eroina nelle pasticche di ecstasy. Anche i campioni di sangue di quei soggetti ospedalizzati con problematiche inerenti l’uso di droghe furono spediti al National Poisons Unit, che è specializzato per rilevare le droghe: non venne rinvenuta eroina in quei soggetti che avevano assunto soltanto ecstasy. Quindi da dove sono partite le chiacchiere? Un anno fa la rivista TIME OUT diffondeva uno speciale intitolato “PILLOLE AMARE”, sottotitolo “L’ECSTASY E’ TORNATA A INSIDIARE CENTINAIA DI CONSUMATORI” perché gli spacciatori tagliano le pastiglie e le capsule con eroina, LSD, veleno per topi e pezzetti di vetro. La notizia venne riportata ovunque, persino in un giornale danese.
Io intervistai la fonte citata: Stephen Beard del Newman Drugs Advice Project. Costui fu assai vago, e quando alla fine ricevetti una sua telefonata dovette ammettere che la storia gli venne raccontata da un pusher che aveva fabbricato E “pacco” con lampadine frantumate. Non ci furono riscontri nei test e nelle analisi di laboratorio da parte di quei medici che avevano avuto in cura soggetti consumatori di E. Il NPU dichiarò che recentemente non si erano registrati casi di avvelenamento da vetro di bottiglia o veleno per topi. Ancora, nonostante le mie proteste, Newham e Time Out non fecero niente per correggere la storia. Nello stesso modo, la rivista MIXMAG in un recente articolo sull’ecstasy omise di menzionare i risultati dei tests di Glasgow, che dimostravano la non contaminazione della E con altre sostanze.
MIXMAG inoltre aggiunge: “300 mg di MDMA possono uccidere una ragazzina” (la dose letale più bassa registrata in esperimenti animali è di 20mg/1kg, o 300mg per un soggetto che pesi 15 kg: una ragazzina davvero piccola!); e anche “MDA è forte come l’ LSD mischiato con SPEED” (MDA non provoca effetti simili all’ LSD, è come l’MDMA ma dura di più, con meno calore). Tuttavia nessuno vuole scalzare i miti consolidati. Uno di questi viene raccontato in una canzone satirica degli anni ’50 intitolata “Il vecchio venditore di droghe”: Egli la offre ai ragazzi gratuitamente perché sa bene che i giovani volti innocenti di oggi saranno i clienti di domani.”
E’ un po’ come il “vinioli” che vuole metterti nei guai e di nascosto inietta eroina dentro le bottiglie, con la speranza che un giorno diventerai tossico aumentando così le sue vendite.
E’ vero, qualche pusher ti rifila polverina bianca al posto di ecstasy, ma i truffatori
è improbabile che vendano eroina in perdita o mandarti nei guai con lampadine tritate.
La maggior parte delle sostanze sostitutive trovate dentro le ecstasy non sono nocive, ma possono provocare effetti indesiderati. 
Ad ogni modo, prima di assumere una pasticca, si dovrebbe realizzare che, sia il contesto, sia le aspettative, sono molto importanti. Infatti, pochi capiscono e accettano il fatto che gli effetti delle droghe come l’ecstasy siano legati alla loro dimensione interiore, e alla loro condizione mentale contestualmente all’atto dell’assunzione. La mia esperienza migliore con ecstasy l’ ho provata con un tipo di pasticca che durante un party dentro un tunnel chiuso fece stare male un mio amico.
Ricorda che l’ecstasy non è una semplice e facile pasticca, ma è capace di abbassare le difese e ti consente di aprire la mente. Comunque, può essere auspicabile rimanere in uno stato di allerta e sulla difensiva, a meno che non ti trovi in una condizione particolarmente ottimale. E è capace di tirare fuori sensazioni che non sei abituato ad affrontare. 

NICHOLAS SAUNDERS 1994 
Traduzione AB 2000

APPENDICE II
Intervista con i fabbricanti


Hai mai pensato di farti da solo la tua Ecstasy? Ho parlato con un po’ di gente che l’ ha fatto per produrre Ecstasy di ottima qualità. 

Come hai incominciato?
Tre di noi hanno passato circa tre anni per la pianificazione dell’equipaggiamento; leggendo sui processi di sintesi; cercando e comprando i materiali. Nessuno di noi aveva alle spalle esperienze di laboratori a parte le mie lezioni di chimica a scuola, e non conoscevamo nessuno nell’ambiente. A noi ci piaceva l’Ecstasy e così decidemmo di farcele da soli.

Dove hai procurato tutto il necessario?
Procurare l’armamentario senza dare nell’occhio è stato assai difficile. I fornitori ci avrebbero venduto solo un termometro al banco di vendita e niente di più complesso, d’altra parte ci richiedevano di aprire un conto in banca, con le referenze. Quando provai ad aprire un conto, la banca mi chiese quali fossero le mie intenzioni e di che natura precisamente fosse il mio business! Così cercammo delle compagnie esistenti che avevano conti con fornitori, e provammo a prendere contatti di persona in modo da farci passare gli ordini direttamente a noi. L’approccio con queste persone ha rappresentato un rischio, poiché essi avrebbero potuto informare la polizia e anche ricattarci, e raddoppiare il prezzo. Comunque trovammo qualche pezzo dell’occorrente in vendita in un teatro, presso qualche negozio, e infine nel portabagagli di una macchina; quasi tutto è stato procurato in una vetreria, come avevamo esperienze di laboratorio cosi dei metodi di produzione. Ciò ha significato un sacco di danni, al punto che talvolta fermavano la produzione per secoli prima che fosse possibile trovare i pezzi di ricambio.

Che dici dei componenti base?
Alcuni componenti chiave abbiamo dovuto acquistarli al mercato nero a prezzi elevati. I solventi non erano disponibili senza domande, e per qualche ingrediente era necessario avere la licenza, sebbene trovammo una copia di fornitori indiani che presero i soldi senza chiedere niente. Ma non potevamo comprare tutto quello che ci serviva in Inghilterra e quindi avevamo timore a prendere merce importata. Questo voleva dire farsi i componenti principali da soli. Spendemmo in tutto 4.000 sterline.

Come vi siete organizzati esattamente?
Affittammo un appartamento come base per il progetto. Quindi sperimentammo per trovare il miglior metodo. Abbiamo studiato tutto quello che siamo riusciti a procurare inclusi i testi di chimica; “PIHKAL” di Alexander Shulgin; “I Segreti della produzione di Metamfetamina” e anche i brevetti dell’Ufficio Brevetti. E’ stato più duro di quello che ci aspettavamo; anche se seguivamo le istruzioni parola per parola, qualche reazione non funzionava, mentre altre furono così violente che procurarono la rottura degli apparecchi. Tutte le formule, inclusa quella di Shulgin, avevano dei punti importanti mancanti, perciò abbiamo dovuto mettere insieme la ricetta cercando altre definizioni in libri e brevetti. Furono necessarie settimane prima di trovare il metodo ottimale.

Quanto tempo c’è voluto?
Per la lavorazione di un chilo di MDMA ci sono volute tre persone per circa due settimane. Questo perché alcuni processi potevano essere fatti solo con 50 grammi di sostanza per volta.
Abbiamo utilizzato 75 litri di solvente che non poteva ricondensarsi, cosi da non produrre fumi nell’armadio, tutto venne portato ad ebollizione producendo enormi vapori più pesanti dell’aria, che avrebbero potuto riempire l’appartamento. Qualche fumo era tossico. Qualche altro anche velenoso. Talvolta a causa dell’inalazione dei fumi cadevamo malati con la tosse, con gli occhi che ci facevano male e con le vertigini.
Noi eravamo preoccupati per la possibile esplosione che poteva essere provocata dal motore che pompava a vuoto, così quando le cose si mettevano male dovevamo evacuare l’appartamento con il rischio che potevano essere visti i fumi sbucare dalla finestra . Una volta una bottiglietta di etere, esplose, e durante la reazione Ritter l’acido solforico caldo e il metil-cianuro schizzarono sul soffitto cadendoci addosso. Credevo di aver definitivamente danneggiato i miei polmoni.

Com’è stata la vendita?
Questa parte è stata sorprendentemente difficile. Provammo a trovare un unico compratore, ma temevamo che chiunque potesse comprare un chilo di MDMA fosse colluso con la malavita e quindi avrebbe potuto tornare da noi con le armi. Finimmo a vendere in piccole quantità, questo significava più persone che conoscevano il nostro segreto, e anche che non chiedere più del usuale prezzo in circolazione delle 40 sterline al grammo, nonostante la nostra fosse purissima. L’intera cosa si trasformò in un incubo, anche se uno dei miei compagni trovò la vicenda assai divertente.

Cosa faresti di diverso se cominciassi da capo?
Lo farei su larga scale. Penso che il rischio sarebbe stato più basso se avessimo pagato qualcun altro per ottenere l’equipaggiamento e i materiali; inoltre avremmo potuto permetterci locali più sicuri, miglior strumenti e maggiore sicurezza.

Nicholas Saunders 1995
Traduzione AB 2000




APPENDICE III

Confessioni di un pusher


Quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto a scegliere questa vita, piuttosto che un’altra?

All’inizio andavo ai raves e alle feste insieme ai compagni di borgata. Come saprai alle feste c’è sempre stato un largo uso di sostanze, e quindi con gli amici abbiamo pensato di prenderle per noi, ma anche di venderle. E così è cominciata la mia carriera. Loro da subito hanno lasciato perdere, mentre io ho continuato, trovandomi sempre di più coinvolto. Mi piace non solo fare uso delle sostanze, ma anche quello che c’è intorno, nei contesti delle feste.

Hai deciso di venderle solo per ammortizzare i costi, o perché ti piace questo tipo di vita?

No, la mia vita è questa, meglio che andare a lavorare svegliandosi la mattina alle otto. Magari neanche ti piace e ci devi andare lo stesso, perché funziona in questo modo.

Rispetto ai rischi del controllo sociale. Come ti comporti? Che precauzioni usi?

Questa è l’altra faccia della medaglia. Sono consapevole dei rischi che corro; le mie precauzioni sono “stare in campana” il più possibile. Anche se una volta mi è capitato di avere dei problemi con le forze dell’ordine e da quella volta le cose sono cambiate, mi limito di più, cercando di non dire niente a nessuno, di non parlare al telefono. Le solite cose, insomma.

Quindi sei recidivo, nonostante i guai, conseguenza della vendita di sostanze illegali, come mai hai continuato lo stesso?

Ho continuato, perché ci sono altri aspetti legati a questo stile di vita che mi interessano. Io sono contento di fare così, mi piace e spero di continuare a farlo il più a lungo possibile, poiché mi consente la massima libertà di fare quello che voglio, di stare nell’ambiente che voglio e con la gente che mi piace frequentare. Più di così …

Non prospetti quindi un possibile cambiamento nel tuo stile di vita? Se finiscono le feste, hai intenzione di continuare a fare la stessa vita?

Io ho altri interessi oltre alle droghe e al sound system, comunque, non ci sono solo queste cose nella mia vita.

Cosa pensi del fatto che la legislatura in materia di stupefacenti, sia in Italia che in Europa, speso sia causa di sovraffollamento nelle carceri andando a colpire piccoli pusher come te e non il grosso narco - traffico?

Sono consapevole di essere la pedina di un meccanismo più grande di me; sono contrario a qualsiasi legge che regolamenti le sostanze, soprattutto perché mette in galera giovani che usano le droghe, quelle sostanze a detta di qualcuno definite illegali. E’ incredibile accada questo, soprattutto quando esistono altre sostanze considerate legali che fanno più male.

Quali per esempio?

I farmaci, l’alcool e il tabacco.

Cosa pensi dell’eventualità di una legge antiproibizionista che alcuni politici stanno pro muovendo? Non pensi che se passa, il primo ad avere vita difficile sarai proprio tu e altri piccoli spacciatori, che come te saranno costretti a smettere, perché la droga potrebbe essere acquistata in farmacia o posti simili?

Innanzitutto, se dovesse passare una legge antiproibizionista, non credo che tutti comprerebbero solo nelle farmacie, penso che nelle feste continuerei a vendere lo stesso.
Sono favorevole ad approcci di liberalizzazione delle droghe. Infatti le droghe dovrebbero circolare liberamente senza controlli e senza posti specifici dove essere vendute e acquistate.
Si verrebbe a creare un meccanismo ulteriore di controllo, in quanto sei costretto a comprare quelle sostanze e solo quelle, che lo stato ti mette a disposizione.

Sei favorevole alla coltivazione diretta delle piante da oppio e cocaina, o alla produzione di pasticche per esempio? Hai mai pensato di farlo da te, senza rivolgerti al mercato nero?

Si, ci ho pensato, sarebbe l’ideale l’auto - produzione di quello che mi consente di vivere, ma ci sono problemi fisici, tecnici e pratici che mi impediscono di rendere operativa l’idea.

Perché è meglio produrre da se le sostanze?

Perché conosceresti esattamente quello che stai vendendo e quello che assumi. Siccome non sono solo un pusher, ma anche un consumatore garantirei la qualità delle sostanze per me, per gli amici e per gli acquirenti. Eviterei quindi di mettere nelle sostanze ingredienti dannosi che potrebbero intossicare le persone.

Il fatto che sia difficile reperire sul mercato l’equipaggiamento necessario per la produzione di droghe, non ti fa pensare che ci siano sempre fattori economici dietro?

Ci sono sempre problemi legati alla sfera economica, come l’utilizzo smodato di psicotropi in questo ultimo periodo. Senza morale, ma i frequentatori delle feste si spaccano di tutto senza controllo, mischiando tutto senza chiedersi che cosa assumono, sapere che c’è dentro, se è droga sporca. Io non sono, né per l’uso moderato, né per quello smodato. Anche se poi ognuno può fare quello che vuole, ritengo opportuna maggiore cautela.

Che pensi delle polemiche riguardo le “stragi del sabato sera”,  che i media ci propinano continuamente? Ritieni siano legate alla mancanza di consapevolezza, oppure fanno parte della strategia del controllo sociale?

Non credo nei media, quindi sicuramente è una questione legata al controllo, comunque bisogna constatare che la quantità delle sostanze è aumentata, prendi per esempio la chetamina, prima alle feste era introvabile, ora c’è sempre in abbondanza. Questo aggrava il problema consumo.

Rispetto al passato che cosa è cambiato riguardo alla consapevolezza, perché non vengono più distribuiti opuscoli informativi sui rischi delle droghe? Pensi che la controinformazione sia utile?

Siccome abbiamo registrato una caduta nella consapevolezza dei gesti di consumo, noi come tribe, come sound system distribuiamo materiale informativo durante le feste. Nei limite del possibile qualcosa facciamo, ma non so se è abbastanza, visto che l’abuso è continuato.
Ognuno di noi dovrebbe essere maggiormente consapevole di se stesso e dei suoi limiti, oltre che di quello che assume.


Le sostanze che tu spacci ritieni creino dipendenza o una qualche forma di assuefazione?

Dati scientifici dimostrano che l’Ecstasy non crea dipendenza fisica, ma il continuo uso della stessa crea problemi, so di gente che è andata in comunità, quindi credo sia una questione soggettiva, di come ti relazioni alle droghe.

Sei a conoscenza di come i servizi sociali trattano i consumatori di anfetaminici? Che cosa pensi delle unità mobili di strada fuori dalle discoteche che cercano di creare informazione per prevenire i comportamenti di abuso? Credi sia utile questo tipo di azione?

Credo sia utile ma fino a un certo punto. Questi operatori sociali vengono anche alle nostre feste, me penso che i ragazzi le vedano troppo distanti da loro perché l’opuscolo distribuito da loro sortisca un qualche effetto. Non si fidano di chi proviene dall’esterno, quindi la risposta è snobbarli. Meglio circolare informazione all’interno. Poiché si insatura un clima di fiducia reciproca, sicuramente più utile ad arginare comportamenti a rischio di abuso.

Da dove credi provengano le pasticche che vengono sequestrate? E le vostre droghe quale collegamento hanno con quegli ambienti?

È capitato che circolassero pasticche prodotte qui nei dintorni della città. Ultimamente vengono portate dall’estero, da ambienti di cui ci fidiamo. Manteniamo il beneficio del dubbio, comunque.

Non credi che poiché il fenomeno rave si trovi ad attraversare un momento di impasse e di stallo nella creatività, sia causa di un maggior uso e consumo di droga?

Più volte ci siamo chiesti come mai il fomento di una volta non si trova più, la risposta è stata che tutte le cose hanno un momento di magia iniziale che poi va via via scemando con il tempo. Si presenta ormai una costante mancanza di idee e di creatività ai parties, che inevitabilmente rende il rave routine.

Sarebbe dunque opportuna una disintossicazione da rave? Non pensi che le droghe vadano a colmare i buchi e le mancanze di novità nelle feste?

Le due cose sono indissolubilmente legate.

La droga aiuta a vivere meglio?

Aiuta anche a vivere peggio.


ANNA BOLENA 25 GIUGNO 2000


note


1 “Droga è qualunque sostanza estranea all’organismo capace di modificarlo quando viene 
assunta. Questa definizione così ampia comprende tutta una serie di prodotti che nell’accezione dell’opinione pubblica normalmente non sono considerati droghe: tutti i farmaci, l’alcool, il tabacco e, in generale, tutte le sostanze che sono in grado di modificare l’organismo.” Massimo Barra e Vittorio Lelli – Droghe e drogati - 1990 Ed. IANUA.
2 “E’ tipico dell’insaziabilità, ma anche delle veemenza degli anni giovanili, che un fenomeno, un’esperienza, un modello scacci da solo tutti gli altri. Siamo allora ardenti e pronti a espanderci, afferriamo questo e quello, lo rendiamo il nostro idolo, ci assoggettiamo a esso, aderendovi con una passione, che esclude tutti gli altri. E non appena uno ci delude lo facciamo precipitare dalla sua altezza e lo frantumiamo senza esitazioni; non vogliamo essere giusti: ha contato troppo per noi. Tra i frantumi del vecchio idolo insediamo l’idolo nuovo”. Elias Canetti – Potere e Sopravvivenza – 1972.
3 Il confronto tra sostanze capaci di provocare una qualche alterazione o cambiamento del sistema nervoso centrale, dovrebbe essere effettuato calcolando la concentrazione del principio attivo della sostanza stessa, ad esempio l’alcool nel caso del vino, la nicotina nel caso del tabacco, il THC nel caso dell’ hashish etc. Questa semplice operazione eviterebbe di dividere le sostanze in leggere e pesanti. Nessuna sostanza è più o meno pesante, perché lo stabiliamo a priori, nessuna sostanze è leggera perché stabilito dal Codice Penale, tutte le sostanze possono causare piacere, benessere, ma anche nausea e malessere a seconda della quantità di principio attico assunto. Questo non significa che le droghe siano tutte uguali, ma è necessario un criterio di comparazione per non creare disparità nei soggetti assuntori che anche questi si caratterizzano per la differenza individuale e per le variegate risposte ai sintomi e agli effetti che qualsiasi droga è capace di indurre. Ho conosciuto persone capaci di fumare trenta canne in una sola notte e restare lucidi e la stessa persona bere un goccio di vino ed in seguito vomitare.
Vale il detto: Tutto è relativo! 
4 “Con il termine tossicità si intende la proprietà di una sostanza, cosi chiamata perché capace di disturbare l’equilibrio di un organismo fino al punto di non considerare tale organismo in salute. In altre parole comincia a stare male (Koeman, 1996). L’ Environmental Protection Agency (EPA) degli Stati Uniti considera gli effetti delle sostanze come tossiche o in caso contrario quando c’è un deterioramento funzionale o danno patologico che attacca il funzionamento dell’intero organismo o che riduce la capacità dell’organismo a reagire a rischi supplementari. Per quanto concerne la tossicità dell’MDMA, ci sono due principali aree che richiedono la nostra attenzione: da una parte la tossicità sistemica acuta, dall’altra la neurotossicità. L’effetto della tossicità sistemica acuta sulla salute dell’organismo è ovvia. Mentre nel caso della neurotossicità l’effetto sulla salute non è cosi immediato sia negli uomini che negli animali sotto osservazione. Tuttavia, il deterioramento di alcune parti del sistema nervoso, come osservato in animali, deve essere considerato potenzialmente tossico, tanto quanto il deterioramento possa eventualmente attaccare la salute dell’animale o dell’uomo, o diminuire le sue capacità di far fronte a nuovi sforzi.” [cfr. Toxicity of Ecstasy by Leon van Aerts, Phd 1996] E interessante osservare come nel vocabolario dei sinonimi il termine tossico venga sostituito anche con velenoso, avvelenato, nocivo, dannoso, micidiale, mortale, venefico e letale, nessun riferimento agli stati alterati di coscienza.
5 Pare che i giovani spagnoli detengano il primato europeo di consumo pro capite di droga, cosi come recita l’articolo intitolato: “LE NOTTI DROGATE DELLA MOVIDA. Stupefacenti, allarme in Spagna.” di Jose Maffeo pubblicato su Il messaggero del 19 giugno. “I giovani spagnoli della post-movida e degli eccessi “almodovariani” sono tra i più grandi e i più precoci consumatori di droghe dell’Unione Europea. Oltre il 40% dei concittadini di Juan Carlos e di Aznar tra i 15 e i 29 anni ha provato la cocaina; tra i 15 e i 18 anni un 10% può essere considerato consumatore abituale.[…]Almeno tre milioni di giovani – il 10 per cento contro il 2,8 per cento del resto dei coetanei europei hanno provato l’ecstasy, mentre per 1 su 3 il fine settimana si conclude con una solenne sbornia.” Nessun commento vale la pena, l’articolo parla da solo.
6 “L’anno scorso andai con un monaco Zen di 70 anni ad un rave party. Egli nonostante gli dispiacesse la musica, fu assai singolare nel dichiarare a voce alta la sua illuminazione: Questa è meditazione!”. [ Nicholas Saunders alla Conferenza Annuale della British Psychological Society del 1997.]
7 “La ricerca spasmodica ed estrema dello “sballo a tutti i costi”, dell’alterazione fittizia, non assume nessun significato intimo e trasformativi dell’essere; possedere, “inglobare” quantità eccessive di empatogeni/psichedelici, non può alimentare stati e situazioni alternativi al grigiore quotidiano.” [Stati Alterati senza Coscienza. L’autodistruzione è fine a stessa. Su un flier distribuito nella primavera del 1995.]
8 Che l’informazione qualsiasi informazione che sia a favore o contro una sostanza rappresenta comunque una sorta di pubblicità indotta all’uso della sostanza stessa, pare che anche il Ministero della Sanità in Italia lo tenga in considerazione, infatti nella CIRCOLARE N. 84 DEL 20 OTTOBRE 1984: Indicazioni relative agli interventi di prevenzione delle farmaco-tossicodipendenze; cosi recita: “..La diffusione di [..] messaggi,[..] dovrà uniformarsi alle seguenti indicazioni: 1) Evitare messaggi puramente informativi sulle sostanze e sui danni. Tali messaggi sono inefficaci e controproducenti: a) possono stimolare curiosità ed incentivare alla sperimentazione; b) non modificano il comportamento tossicofilo e tossicomanico che non ha le sue radici nella sfera razionale; [..] Evitare messaggi scorretti, inesatti, allarmistici o terroristici che tolgono credibilità all’intervento. [..]”
9 “Contro il rodimento di culo. L’apatia rosicona, l’invidia intestinale”. Testimonial Sasha con una boccia di Ketalar in primo piano. Su PETI NUDI I Quartini avariati di malrumori viscerali. 1997.
“Da quanto non mangi. Pink Rocks”. Testimonial DJ SWAITZ scannerizzato che pippa con un rotolo di mille lire incastrato nel naso. Il riferimento è rivolto al mitico speed rosa, ormai introvabile. Su PETI NUDI 999 1997.
“Welcome to Paradise. Fatte con amore. Chi mangia sano trova la natura”. Testimonial Kola improbabile Gesù Cristo che si “solleva” con le mitiche farfalline blu, forse tra le pasticche più pure che siano mai circolate ai raves. Su PETI NUDI 333 1998.
“FATTI NON PAROLE Ready for the new millenium” Pera Sekka e Desert Kola in tenuta paramilitare sul litorale romano, con sullo sfondo atmosfere esotiche, mentre con il keta-kit si preparano al nuovo millennio. Su PETI NUDI 888 1999.
10 “Chi ha stabilito che le sostanze psicotrope debbano essere divise in leggere e pesanti, chi ha deciso che l’assuefazione fisica e psicologica può essere controllata, gestita e curata da apparati a ciò preposti, ospedali, comunità di recupero, terapie alternative, sperimentazioni selvagge, che ha deciso che l’uso di una qualsiasi droga possa essere quantificata, centellinata, formulata in una fantomatica dose media giornaliera, per non essere considerato criminale comune, ma semplice malato della Mutua Assistenza Sanitaria, che decreta leggi, articoli, commi, appelli, sentenze, anni di galera contro spacciatori, consumatori, tossici, mafiosi, sperimentatori, chi in nome della Costituzione, del Contratto Sociale, della Democrazia, del Buon Senso decide e vota per un di libertà….è colui che decide per il meno peggio, colui che ritiene che il bastone è peggio della carota, che lo Stato è meglio della Mafia…[..]
La Loggia – Democratici? Mai! Storie di repressioni e depressioni/PETI NUDI 888
11 “Come più volte ripetuto, con l’elevata frequenza nell’uso, gli effetti dell’MDMA si possono presentare come meno capaci di generare empatia e più simili all’amfetamina, sebbene i parametri di questo fenomeno sono ancora frammentari (Peroutka, 1990; Jansen, 1997). Alcuni consumatori che sono giunti a questa fase hanno perso interesse verso le droghe, altri potrebbero aumentare la dose, e di rado qualche caso presenta sintomatologia di dipendenza come l’amfetamina, cosi come è stato dimostrato. Le ragioni possono essere dovute al fatto che gli assuntori cercano di ritrovare gli stessi effetti delle prime volte, e che sono attratti dagli effetti stimolanti generalizzati, e inoltre i fattori sociali e psicologici che aumentano il rischio di dipendenza, con altre droghe, come l’auto risoluzione di disordini interiori, problematiche personali irrisolte, facile accesso alla droga e una famiglia alle spalle che è abituata all’uso di sostanze (incluso l’alcool). Per coloro che sono professionalmente coinvolti nella scena dei clubs e delle feste, come gli organizzatori e i DJ, l’eccessivo uso di psicostimolanti può rappresentare un rischio per l’attività lavorativa. [cfr. Ecstasy (MDMA) Dependance by Karl L.R. Jansen 1999]
12 “Certamente sono aumentati i sequestri e dunque l’azione di contrasto nei confronti del fenomeno, ma certamente la diffusione è ampia, basti pensare che durante tutto il 1999 sono state sequestrate 270.000 pastiglie e due giorni fa , nel corso di un’ unica operazione, ne sono state trovate 330.000” da un articolo su un quotidiano romano intitolato “ECSTASY, ITALIA CROCEVIA DEL TRAFFICO DI MORTE”.
13 Gli approcci drug free partono dal presupposto che il tossicodipendente che voglia intraprendere il difficile cammino di liberazione dalla droga, deve presentarsi nella struttura a questo preposta, completamente spurgato da qualsiasi sostanza intossicante il suo organismo, passando per una condizione chiamata del tacchino freddo o cold turkey, già vista nella premessa.
14 Se il drogato viene considerato un soggetto malato con comportamenti compulsivo verso le sostanze di cui è schiavo, il recupero e la ri socializzazione deve essere garantita secondo modalità di presa in cura e di cura con tutti i mezzi a lui congeniali e adatti, in base al principio delle differenze individuali e con l’obiettivo di disegnare la terapia in base alle esigenze del paziente e non viceversa, appiccicare forzatamente l’intervento senza apportare modifiche.
15 [..]Bisogna modificare radicalmente le priorità nelle strategie relative alla droga. L’assistenza ai tossicodipendenti non deve più essere minacciata dalla legge penale. Anzi, deve diventare un obiettivo ala pari delle strategie sulla droga, a fianco della prevenzione dell’educazione. Per quanto riguarda i problemi collegati con la droga è necessario porre l’accento sulla riduzione dei danni. E le forme di intervento repressivo devono essere ridotte al minimo assolutamente necessario. La repressione deve essere limitata a combattere il traffico illecito di droga. Chiunque voglia ridurre la criminalità, i danni, le sofferenze e la morte, deve liberare i tossicodipendenti dalla pressione delle incriminazioni legate al consumo di droga e non deve collegare l’aiuto al solo obiettivo di una totale astinenza. Di fronte alle morti, la terapia antidroga può essere un’offerta tardiva, e l’aiuto a sopravvivere può rappresentare il primo passo per uscire dalla dipendenza.[..] La risoluzione di Francoforte sulla droga del 22 novembre 1990.
16 In Italia, a seguito dell’esito elettorale del Referendum sulle droghe del 18 aprile del 1993, nella Legge n. 162, o meglio nota come Russo-Jervolino-Vassalli, venne autorizzata la sostituzione della strategia drug free con quella più umana degli approcci umanitari della riduzione dei danni, con servizi a bassa soglia volti principalmente alla informazione sui rischi per la salute, fino ad considerare ipotizzabile e praticabile interventi con l’eroina a scalare. Sino ad ora senza successo. Le carceri sono stracolme di piccoli pusher o semplici consumatori o dipendenti o sieropositivi o con AIDS conclamato. 
17 Oltre al metadone che resta il più gettonato, le terapie di recupero contemplano l’utilizzo di altri farmaci sostitutivi come il tamgesic o il subutex, in casi di allergia o non tollerabilità al metadone, il naloxone e l’antaxone che sono capaci di bloccare i recettori dell’eroina, non facendo assaporare il flash dell’endovenosa.
18 Alcuni di questi piani assistenziali prevedono l’allestimento, ormai diffuso, di shoot room o galleries, ossia dormitori, ostelli o stanza messe a disposizione per consentire al tossico di strada di smaltire la pezza senza incorrere nei temibili rappresentanti della repressione, senza trovarsi a delinquere o a commettere piccoli reati in preda all’astinenza. Dove la tolleranza infinita degli operatori consente la protezione sicura e risolutiva della mania e del vizio. Sempre sotto stretta sorveglianza, sotto tiro appunto. [ to shoot significa sparare].
19 “Il metadone è considerato farmaco per eccellenza nei trattamenti di disassuefazione. L’obiettivo è di estinguere il bisogno di eroina o di ridurlo drasticamente. Con il contributo di interventi psicosociale si tenta di indurre una normalizzazione dello stile di vita del tossicodipendente che viene reintegrato nei circuiti di risocializzazione. I costi dell’intervento consistono nell’insabbiamento in una dipendenza sostitutiva e nel rischio di accumulo di più sostanze. Tra gli effetti non desiderati: la crescita di un mercato grigio di metadone.” Leopoldo Grosso Psicologo responsabile Accoglienza Gruppo Abele.
20 Ad oggi, l’unico farmaco capace di bloccare i recettori endorfinici dell’eroina è il NARCAN, che in Italia è autorizzato ad essere iniettato dai medici e anche da quegli operatori, chiamati nelle situazioni di emergenza o ogni qualvolta loro lo ritengano opportuno.
21  E di questi giorni la collaborazione fra Ministero dell’Interno e rappresentanti delle discoteche quali DJ e gestori, che convinti che sia una questione di orario, la scelta dello sballo fine settimanali dei loro giovani avventori, hanno messo in atto un piano ipocrita di intervento di controllo e di prevenzione dei comportamenti di abuso, stabilendo alle tre o alle cinque del mattino [su questo ci sono evidenti problemi sollevati dai mafiosi manager dei divertimentifici e delle balere estive che vogliono tirare il più possibile l’orario per evidenti scopi di business] la chiusura dei locali da ballo, instaurando pattuglie mobili di guardie e di buttafuori nel vano tentativo di spingere i giovani a non consumare droga, giusto qualche birra consentita, e soprattutto a promuovere azioni delatorie, facendo arrestare chi vende ,spaccia le temute pasticche della morte e quant’altro. Viscidi e timidi tentativi di istigazione nascosta alla ribellione sociale. Paradossi.
22 A tal proposito, interessante questo intervento di Roberto Cestari sugli interventi dei neuro psichiatri in America: “[…] perché laggiù c’è un sistema di infiltrazione psichiatrica nelle scuole  e nelle famiglie molto più potente del nostro. Pensate addirittura che i genitori subiscono dei ricatti del tipo”tuo figlio è troppo attivo, allegro, troppo casinista. Se non lo mandi dallo psichiatra ti sottraiamo la paternità…perché vuol dire che non hai cura di lui”. Quindi i genitori sono ricattati e costretti a mandare il bambino in visita dallo psichiatra, il quale prescrive il Ritalin. Questo farmaco ha alcuni effettucci laterali, quali la comparsa della “sindrome di Toupet”. Che cosa vuol dire? Vuol dire che vengono dei “tic”…[…]. Il secondo effetto collaterale consiste nel fatto che alcuni bambini si sono ammazzati. [   ] il Ritalin è assai diffuso e ormai largamente usato, il 70% dei bambini con questa “terapia” diventano tossicodipendenti da adulti. Perché, capirete bene, il loro comportamento diventa semplicemente  farmacodipendenze. Noi creiamo in loro l’idea che “ti sei comportato bene perché il farmaco ha funzionato, sei stato bravo per ché la terapia era quella giusta.” Da Atti del Primo Convegno Nazionale di Ecologia Umana – Roma 20 aprile 1991 – PRATICA NON PSICHIATRICA ANTIPROIBIZIONISMO ANTISEGREGAZIONE ANTIRAZZISMO.
23 In Olanda dove da tempo i coffee shop regolamentati vendono erba e fumo di tutti i tipi, non hanno sostituito magicamente la vendita in strada, hanno solo consentito l’acquisto anche costoso di THC in tutte le sue forme. I poteri del capitalismo illuminato.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

pics & words © ANTONELLA PINTUS 

La questione palestinese in Germania (12)

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