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mercoledì 23 agosto 2023

VIVERE L’ESTREMO E RITORNO @PetiNudi666 (1995-1998)

 VIVERE L’ESTREMO E RITORNO

Lo spettacolo della vita quotidiana




“O ci si organizza a lavorare un giorno la settimana e vivere e giocare e creare durante gli altri sei giorno oppure l’umanità è destinata ad estinguersi.”

(Silvano Agosti - L’uomo proiettile - 1995)


Oltre gli orari, gli spostamenti, i pensieri che ogni individuo gestisce lungo la giornata, non si può negare l’esistenza di un assetto organizzativo imprescindibile della realtà quotidiana; della forma precostituita e prestabilita delle ore, dei minuti, dei secondi che separano il giorno dalla notte: divisione volutamente precisa e costruita della vita, che da sempre caratterizza i nostri movimenti spazio-temporali; dell’impossibilità, spesso, di riuscire ad impedire che il trascorrere del tempo condizioni l’occupazione stessa di un preciso spazio ormai abituale e rassicurante; della difficoltà, talvolta, di compiere operazioni mentali ed esercizi corporei lontani dalla consuetudine, dalla noia, dalla ripetizione di gesti ormai rodati ed approfonditi.i Inevitabile è sottolineare l’importanza della divisione del lavoro nella società attuale, quanto poi la sua organizzazione, funzionale al profitto e all’accumulo di ricchezze concentrate, impedisca ai più di potersi sottrarre a tali imposizioni e di progettare la propria esistenza in forme e modi più congeniali e rispettosi delle esigenze e dei bisogni individuali. Il lavoro salariato espropria continuamente la persona dalla possibilità ed opportunità di ricercare dimensioni e condizioni libere, creative, giocose, gestite secondo modalità squisitamente soggettive e diversificate.

Il contesto culturale e sociale dell’uomo telematico odierno impedisce, sia ai ricchi, sia ai meno abbienti, sia ai diseredati, di concepire la cultura del non-lavoro.

La riflessione e l’intenzione è quella di suggerire altre soluzioni alle lotte sociali per le 35 ore settimanali (in genere rivendicazioni di piccoli partiti e sindacati autonomi, ed ora anche di CGIL, CISL e UIL) o al moto trentennale del “lavorare tutti, lavorare meno”. 

Il non-lavoro è una filosofia e pratica di vita ( crf. “L’abolizione del lavoro”di BOB BLACK ) e non appartiene sicuramente all’universo dei politicanti istituzionali o antagonisti, coloro i quali spingono in forza di grandi masse e di popoli oppressi dal capitale pseudo-cambiamenti all’interno del mondo del lavoro, supportati da ideologie paleo-ortodosse.

Nel prossimo futuro il sistema del capitale, del libero scambio, della proprietà pubblica e privata, del lavoro precariato e flessibile, sarà sempre più distante dal riuscire ad offrire impieghi duraturi, a versare contributi fiscali ad uno Stato che già ora garantisce misere pensioni, a rispondere alla domanda di milioni di immigrati che premono alle frontiere del nostro dorato occidente: flussi migratori che si pretende di controllare e prevedere con leggi “adeguate e avanzate”, espressione del consueto autoritarismo istituzionale. Tali complessi fenomeni, di natura politica, sociale ed economica, non possono trovare semplice spiegazione nella questione delle differenze di classe, di ceto e di religione, come vecchie teorie marxiste-leniniste e sovrastrutturali ancora cercano di avallare.

Il significato di questi  macro problemi  potrebbe collocarsi all’interno di una visione della vita come meccanismo di un processo esistenziale volto all’adeguamento e spostamento del sentimento di rischio e di imprevedibilità, fonte d’ansia, d’angoscia e timori profondi. E’ il presentimento di affondare nel caos, nell’incertezza che determina l’organizzazione limitata e razionale della vita quotidiana.

L’alienazione grigia, sbiadita, la ripetitività ricercata nella strutturazione estremamente rigida dell’esistere, o meglio del sopravvivere, trova apparentemente una possibilità di riscatto e di cambiamento nel gusto compiaciuto del divertimento fittizio, comprato a caro prezzo, allestito secondo i dettami delle mode e delle nuove tendenze.

Il culto materiale dell’immagine giusta al posto giusto, del look arricchito ed ingigantito dall’ultimo oggetto optional che va tanto in voga, ben si concilia all’interno dell’organizzazione quotidiana dell’uomo-donna che lavora, produce e consuma.

Il sistema con i suoi potenti mezzi, con le sue ramificazioni, è capace di recuperare ed alterare, secondo gli obiettivi e le esigenze del mercato, ogni elemento o particolare che abbia caratteristiche potenzialmente alternative, innovative e moderne.

I rapporti economici, ancora una volta, riescono con efficacia ad imbrigliare ed imbavagliare anche le menti e gli spiriti non asserviti, non sottomessi. Creativi, pubblicitari, esperti di marketing, artisti ed altri si trovano spesso costretti ad immolare le loro idee geniali, le loro trasgressioni libertarie, le loro proposte innovative ai soldi facili, annichilendo quindi ogni possibile contenuto di liberazione e trasformazione della realtà.

La pubblicità, la tv, l’iformazione manipolata contribuiscono a propagandare l’importanza e la necessità delle merci feticci da idolatrare. L’accumulo di oggetti “usa e getta” crea nel mercato un over-produzione di beni inutili, fittizie entità rese appetibili da una curiosa miscellanea di immagini sempre più sofisticate, colonne sonore indimenticabili, slogan appiccicosi e ruffiani.

Le leggi dello spettacolo hanno permesso un allargamento a fasce di popolazione meno abbienti l’entrata libera ad un mondo che fino a poco tempo fa gli era precluso; dove falsi riti, miti del protagonismo patinato, culto esagerato del finto non possono migliorare una vita vuota ed insignificante.


Oltre lo spazio e il tempo


“Non c’è che il presente che possa essere totale, un punto di  incredibile densità. 

Bisogna imparare a rallentare il tempo, a vivere la passione permanente dell’esperienza immediata.”

(Raoul Vaneigem - Trattato di saper vivere ad uso delle giovani generazioni-1969)


1. LA PRATICA DELLA TRASGRESSIONE

Il quotidiano, inteso sterilmente come un recipiente da riempire per far trascorrere il tempo, offre la possibilità esclusiva di vivere uno pseudo divertimeno, uno svago fine a se stesso, slegato da una visione ampia ed articolata della propria esistenza.

Il divertimento, collocato all’interno di una logica mercantile di business, viene caratterizzato da elementi e aspetti insulsi apparentemente soddisfacenti; la realtà dentro i locali trend, le discoteche alla moda, i templi più gettonati non è liberata, personalizzata o creativa: i gestori con il loro staff pensano per te, risolvendo ogni tuo desiderio od esigenza impellente, cioè si delega ad altri ciò di cui si ha bisogno.

L’autogestione diretta di spazio e tempi è una pratica certamente contraria al lucro personale o di pochi, per questo viene bandita ed allontanata come azione inadeguata ed impossibile da attuarsi. D’altra parte la gestione orizzontale e non autoritaria dello spazio ludico è da sempre uno degli obiettivi di tattiche e strategie volte all’occupazione diretta di tutto ciò che il sistema sociale vieta ai gruppi giovanili: spazi fisici ed utopie mentali.

La voglia di abbattere le imposizioni culturali del mondo degli adulti spinge spesso i giovani a trasgredire le leggi, a ribaltare i significati e le modalità d’uso dello spazio e del tempo. Mantenendo la distanza da possibili mistificazioni e ritualità fini a se stesse, è ormai la pratica dell’illegalità, dell’azione diretta e della conseguente autogestione del proprio divertimento che caratterizza e accompagna la nostra sopravvivenza, le nostre frustrazioni irrisolte, la continua ricerca individuale dell’equilibrio spezzato, le diverse motivazioni di distruggere con modelli alternativi le consuete abitudini.

Tutto ciò, e non solo, dentro il rave, il party non autorizzato, espressioni complesse, contenitori multipli per inviare e suggerire esistenze e mondi diversificati.


2. LA RICERCA DELLA COMPLESSITA’

Il rave, evento multimediale sempre diverso, assume un profondo significato nella continua ricerca di valori e contenuti realmente dirompenti e destabilizzanti della cultura circondante. E’ espressione spontanea e fervida di probabili utopie, di viaggi fantasiosi non necessariamente veicolati o vincolanti, ma più propriamente imprevedibili ed inaspettati.

L’articolazione del proprio corpo arricchito e movimentato da spostamenti ed occupazioni fisiche sconosciute, si congiunge a fertili e vivide immagini mentali mai provate; la costruzione di sensazioni ed emozioni forti è chiaramente amplificata dai decibel della strumentazione allestita, ampliata da scenografie che mutano e si trasformano segnatamente alle diverse e suggestive architetture di volta in volta scovate all’interno della metropoli.

E’ una continua crescita di menti in esercizio che cambiano con l’occupazione tempestiva della città;  tappe diversificate di un tracciato non ancora chiuso, scavato in profondità: stazioni metro abbandonate, capannoni di lamiera in disuso, aree industriali periferiche, piccole e grosse fabbriche dismesse rappresentano lo scenario possibile dove allestire e dare vita al mostro. Clandestino, dove non soltanto le mura, il luogo, la struttura edificata assumono importanza, indispensabili restano anche gli scambi interpersonali, i legami tra gli individui.

L’intento è quello di permettere la nascita di atmosfere, climi impalpabili, altro dai modelli tipici commerciali.

Il rave è e deve essere illegale non come dogma, ma perchè la storia e la controcultura così lo ha costruito, ricercato ma non definito; riempire un vuoto virtuale e renderlo realtà soggettivamente interpretabile ed entità continuamente sperimentabile un possibile obiettivo.

L’approcio diversificato e l’impatto sovversivo nei confronti della metropoli, offre una sorta di passagio veloce ed inafferrabile, dove trascorrere una microscopica particella di vita. Atomi sparsi e distanti raccolti in un ampio spazio fisico e mentale, inesauribile, non cadenzato dal tempo se non quello della musica e del ritmo elettronico quasi perfetto ricostruito dai suoni domestici, più familiari.

La musica elemento pregnante e determinante, è strumento, veicolo capace di improvvisazioni imprevedibili, di performance fuori dagli schemi e dalle etichette riconosciute. Techno significa riciclare suoni, rumori, percezioni ambientali, creando e assemblando sensazioni innovative e ricercate mai udite. La techno è linfa vitale, fluido denso e lubrificante per i nostri neurotrasmettitori, i nostri bisogni concreti, le nostre motivazioni forti.

Il techno rave può semplicemente delinearsi come diretto strumento di cambiamenti esistenziali, senza ansie di certezze o verità assolute, mezzo trasgressivo di recupero di linguaggi e gesti primordiali, di codici complessi da scoprire.

Rave come situazione elastica, di raccordo tra visioni soggettive ed espressioni tribali da piccolo gruppo, come cellule irrazionali e nuclei sperimentali; come esperienza materiale e concreta di vita collettiva, come continuo distacco psichico dal corpo; come essenza estrema per provare dimensioni piacevoli, dolorose, in perfetta sintonia ed armonia di un modus vivendi fatto di ritmi e rumori costruiti secondo esigenze mutevoli, energie mobili ed influssi benefici, contrari alle depressioni metropolitane e allo stress quotidiano; come terapia verso un’esistenza diversamente articolata, irrazionale, incerta, sicura, contradditoria, relativa e scettica.

Dall’ironia sarcastica, dalla profondità di pensiero, dal nomadismo spazio-temporale, dalla costruzione di geografie mentali, la possibilità di provocare viaggi in luoghi che non esistono, l’opportunitàdi abbattere muri e limiti invalicabili.


3.CONTRADDIZIONI E PARADOSSI

Recuperando il discorso precedente sulla cultura del non-lavoro e sul rave come possibile orizzonte di mutamento reale, contro la spettacolarizzazione mass-medianiaca, la conclusione ovvia è che tali dimensioni vadano incastrate secondo vie parallele, che prima o poi si incontrano.

E’ come affermare che il rave può, secondo i sui presuposti, trovare massima espressione in un mondo senza doveri e senza diritti, in un mondo anarchicamente allestito.

Invece paradosso è che il non-lavoro è impraticabile, o meglio, ha bisogno per essere attuato di tutta una serie di trasformazioni concrete all’interno dell’assetto sociale, mentre il rave come supporto o continuum all’utopia del non-lavoro è una realtà ormai diffusa e praticata, espressione diretta ed esplicita del disagio giovanile.

Il rischio principale è che tale evento-situazione, ormai consueto e diffuso, avendo raggiunto un traguardo conosciuto e prevedibile, perda definitavamente l’immediatismo spazio-temporale, l’elemento della velocità, l’occupazione di luoghi sempre diversi, la scarsa visibilità o semi-clandestinità, la gestione orizzontale del posto conquistato.

Il limite del rave, così come viene concepito e immaginato, è quello appunto di essere diventato scontato, superficiale, vuoto, inutile. Non più strumento, mezzo virtualmente costruito e articolato, non fine ultimo di una pratica sociale che etichette e difinizioni non ha mai ricercato.

Il rave, come obiettivo, offre una monosoluzione semplice ad esigenze e desideri che cambiano, si trasformano e si arricchiscono.

L’evento multimediale è quindi ormai sterile e prevedibile, ha perso tutto il suo potenziale di trasgressività e di alternatività.

Episodio sradicato dalla vita quotidiana dove emozioni fittizie non sono riuscite a contagiare l’intera esistenza; è l’unica risposta a mille bisogni e sogni, mentre inizialmente ha concesso la possibilità apparente di risolvere, e in parte soddisfare in maniera creativa e dirompente le esigenze personali e collettive.

La formula magica del rave come pratica ha quindi esaurito il suo mandato.

Con disincanto ci accorgiamo della necessità di inventare qualcos’altro che abbia la stessa efficacia ed incisività.

Di rimando scaturisce che, senza leggi e abitudini consuete, è possibile risolvere l’annoso problema rappresentato dai tutori riconosciuti dell’ordine pubblico, i paladini instancabili della giustizia sempre presenti e all’erta in ogni momento.

Organizzazioni legalizzate, poliziesche, gerarchiche, armate non sono alla nostra portata, inutile ricordare che le azioni, i movimenti, gli spostamenti andrebbere responsabilmente garantiti e considerati adeguati, senza pericoli ingestibili.

Il controllo sociale penetra quando si presentano delle falle, dei buchi, quando la determinazione non è convincente, quando lo spontaneismo diventa banale e vuoto di contenuti concrti e tangibili. In poche parole, quando a monte non esiste una visione complessa, ampia ed esperta, dell’universo umano.


Il superamento dell’occupazione totale


“L’avvenir noi siamo, pensiero e dinamite.”

(L’insurrezione - Londra - 1905)


1.DALL’ISTITUZIONE AL GIOCO

La formula organizzativa del rave-evento può ormai trovarsi di fronte ad un empasse, ad una condizione statica e stabile, troppo sicura, tale da poter essere definita come una sorta di istituzione, con le sue leggi e le sue scontate abitudini.

Tutto questo è chiaramente paradossale, viste le sue enormi potenzialità e capacità di trasformazione sociale ed individuale.

Trasgredire le regole imposte non può essere svuotato del suo contenuto dirompente e destabilizzante, non può essere ridotto ad una semplice “parola d’ordine”, tipica di organizzazionio gruppi politici che adottano strategie sempre uguali e compiono azioni con pretasa di armare caos e disturbo nelle metropoli, ma che, in fondo, sono semplici la loro prevedibilità poco originale aumenta la repressione immediata.

Superare l’occupazione di luoghi fisici dove svolgere molteplici attività, a mio avviso, può in certi momenti, anche di breve durata, essere pratica politica efficace e produttiva; fermare l’azione per crearne di nuove, più incisive e rumorose, è necessario in alcuni frangenti; le opportunità e le possibilità devono crescere, svilupparsi e diventare necessarie se si vuole conquistare obittivi difficili e inconsueti.

Senza dogmi, senza velate certezze, ritengo che abbattere i muri, quando questi tendono a diventere ghetti dorati o situazioni estremamente sicure e pacifiche, può essere indispensabile per non fermarsi mai.

Adagiarsi all’interno di condizioni ovattate e protette blocca drasticamente le energie, la volontà, le aspirazioni creative di cervelli sempre in movimento; almeno si cerca di attivare le menti, il pensiero per muoversi concretamente e per non ripetere all’infinito le stesse ambientazioni, gli stessi giochi.


2.SENZA VERITA’

Ripartire da zero, talvolta, può essere utile ripercorrendo a ritroso percorsi già seguiti è indispensabile per agire meglio e per rioccupare lo spazio e il tempo.

La difficoltà è riuscire a cogliere l’attimo, il breve momento per la stasi, per l’analisi delle esperienze passete e trarre così benefici per l’azione futura. Spontaneamente.

La conoscenza profonda dei fenomeni sociali e psichici è sicuramente proficua; invece spesso ci si trova impreparati ad affrontarte e a comprendere l’ambiente che ci circonda; non faccio riferimento a statistiche psicometriche o ad ipotesi da dimostrare, gli approcci scientificamente esatti e il sapere accademico non possono fornire parametri di riferimento per le azioni che provano a rivoluzionare la vita. E’ proprio contro tutto ciò che tende a una definizione precisa e misurabile delle situazioni che bisognerebbe opporre il libero pensiero e la pratica del gioco spontaneo e creativo.

Alimentare e fornire imputs alla fantasia non è sinonimo di regressione infantile, ma è l’obiettivo di inventare un mondo adulto diverso, fondato su leggi e norme non ancora scritte e per questo sconosciute e nascoste.

La ricerca dell’equilibrio spesso non è consapevole, talvolta lo si ragguinge e non si riesce scorgerlo; importante e romperlo per poi riscrearne un altro. E’ un continuo passaggio anche doloroso tra pensiero-stasi e movimento-azione, dove il dinamismo è immobile e l’arrovellamento cerebrale provoca spostamenti.

Sperimentare la complessità, costruire la propria realtà, inventare cellule o piccoli gruppi creativi di non-lavoro, per poi confondersi di nuovo nella massa, approfondire le comunicazioni interpersonali è la vera dinamite che scoppia dove necessario.

Vivere l’estremo per ritornare a viverlo meglio, questa la scommessa!


N.B. Questo contributo scritto nel dicembre 1995 e aggiornato nell’aprile del 1998, va letto, riciclato o bruciato!

Fatene l’uso che preferite.


MERIDIANA 0.7


pics & words © ANTONELLA PINTUS 

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