TREGIUGNOMILLENOVECENTONOVANTACINQUE
APPIA ANTICA
Su una delle vie consolari della città, quasi a ridosso delle Mura Aureliane, abbiamo scoperto un grosso edificio a due piani, assai polveroso e dismesso; utile per passare qualche notte particolarmente fredda a chi come barboni o immigrati non ha fissa dimora. Infatti al piano superiore ci stavano una serie di piccole stanze con materassi puzzolenti, dove era visibile il passaggio di esseri umani: cartacce, cicche rozze coperte, scarpe usate....Utilissime le finestre sulla strada per cioccare l’arrivo degli sbirri, che puntuali si presentarono, intorno alle 3: 00 della mattina del quattro; con abile diplomazia riuscimmo a non farli entrare sino alla fine della festa.
Ma torniamo un po' indietro di circa un mese, quando dopo qualche riunione organizzativa, decidemmo che posto troppo diroccato e sozzo andava pulito. Ci premunimmo di scope, palette, buste....In genere cominciavamo di pomeriggio a spalare un po' di merda, quanto meno per evitare che la gente sollevasse più polvere del previsto.
La stanza più grande doveva servire per acchitare la dance-hall; i piatti con il monitor dovevano essere installati il più in alto possibile lontani da polvere ed eventuali avventori. La consolle è sacra. Così venne sistemata su un trespolo industriale raggiungibile da scomode scalette. Tutta la strumentazione venne collocata in modo tale da non venire danneggiata evitando così guai onerosi con il service.
Nella stanza affianco srotolammo del nastro rosso e bianco (il work-in-progress dei cantieri edili e della segnaletica stradale) nei punti più rischiosi per l’incolumità delle persone. Il pericolo era rappresentato dai vecchi ingranaggi e dai macchinari dell’ex cartiera, probabilmente ancora funzionanti; archeologia da fabbrica stupenda, che a suo tempo serviva per la produzione della carta per i giornali locali. Il fascino del sudore operaio a qualcuno di noi illuminava la fantasia. Il detournement del luogo è stato spesso stimolo indispensabile nell’allestimento dei raves. Non soltanto per il semplice piacere estetico architettura post-industriale, ma anche per stuzzicare il nostro gioioso cinismo volto a trasformare un antico simulacro, simbolo del lavoro salariato, in un luogo dove esprimere il nostro divertimento collettivo e personalizzato senza bavagli o limiti di sorta. Fino alle prime luci dell’alba o oltre.
Dopo aver fatto una sosta infinita in sottoscrizione e aver mediato con gli sbirri affinché non scassassero le palle per almeno altre 2 o 3 ore, mi avvicinai al bar intorno alle 5: 00 e piano piano a spintoni raggiunsi gli altri sotto la consolle.
Un attimo di distrazione e i fottuti tutori dell’ordine ,sino ad allora rimasti chiusi fuori, penetrarono furtivi attraverso il l’enorme cancello scorrevole. Dopo l’ennesima discussione presero gli estremi di un paio di documenti e finalmente i zelanti dipendenti comunali si allontanarono. In seguito non mi risulta che qualcuno di noi abbia subito conseguenze giudiziarie. Qualcuno comunque approfittò dell’uscita secondaria per allontanarsi indisturbato senza incappare in perquisizioni inutili. Bravo! Noi invece che dovevamo smontare tutto; amplificazione e relativi cavi, pannelli fluorescenti issati sui muri, piatti e mixer ed altri attrezzi, facemmo entrare il furgone dall’Appia, unico accesso ampio disponibile, praticamente davanti agli sbirri. Sti cazzi ...è andata.
Per finire ancora due parole sulla nottata : per me fu l’iniziativa più coinvolgente che fino ad allora avessi organizzato, da quando l’ ambiente dei raves era un po' cambiato, non saprei dire se in positivo o in negativo fatto sta' che la contaminazione sociale e in parte culturale già da tempo si respirava nelle storie. Quella sera arrivarono più di duemila persone; credo sia stato il massimo storico per una festa fatta al centro e per giunta non autorizzata. Prima di allora si svolgeva tutto in periferia. Ricordo che una certa presenza coatta e discotecara mi infastidì non poco ,in realtà stranamente già da tempo i DJ’s più seguiti della capitale avevano cominciato a prestare parecchia attenzione per il fenomeno e quindi un certo seguito bisognava tollerarlo. D’altra parte una certa stima e rispetto c’è sempre stata con chi anni prima provò a creare un contesto techno di un certo spessore. Ritengo che dal punto di vista squisitamente musicale il livello che le labels indipendenti romane raggiunsero nel periodo più creativo(dal novanta sino al novantaquattro) ha già fatto scuola, se non storia. Ma altre testimonianze raccontano di episodi poco edificanti, quali risse o accoltellamenti fra piccole bande fasciste e borgatare che costrinsero i gestori organizzatori a rinunciare ai loro lauti guadagni. Lo sfruttamento non ha limiti di sorta e certe contraddizioni iniziarono a creare problemi in chi professionista musicista era animato dalle migliori intenzioni. Certo per molti di noi che proveniva da un ambiente dichiaratamente contestatario antiautoritario questi contesti o situazioni erano parecchio distanti per intenzioni ed obiettivi ; ciò fece scaturire numerose discussioni sul significato di festa, spettacolo , rave.... e l’immancabile voglia di autogestione; condizione questa assai problematica da sempre e non ancora chiarita. AUTOGESTIONE parola magica di uso comune che vuole significare tutto ,troppo e niente. Sicuramente una parola diffusa ed abusata. Mah!................................................................
Pare che all’interno della cartiera un paio di settimane prima , durante un sopraluogo, venne trovato un pacco contenente un etto di eroina purissima. Forse leggende metropolitane. Prurito garantito di prima qualità.
duesettembremillenovecentonovantasette
Contributo individuale di Meridiana 0.7