venerdì 1 settembre 2023

WARNUNG VOR EINER HEILIGEN NUTTE [Rubrica di cinema] JAFAR PANAHI (2000)

WARNUNG VOR EINER HEILIGEN NUTTE

ATTENZIONE ALLA PUTTANA SANTA

Rubrica di cinema [da un film del 1970 sulla visione del cinema di Rainer Werner Fassbinder, 1945-1982] con qualche precisazione:

Nessuna narrazione della trama dei film consigliati, salvo qualche dettaglio utile per le considerazioni in merito.

Nessun film che non ci sia piaciuto, lasciamo le critiche ai critici di professione.

Niente spazio alla macchina hollywoodiana anche se di manifattura europea o africana o quant'altro.

Nessuna censura di natura moralistica.



Il Cerchio di Jafar Panahi

Vietato fumare


"Se me sposo mi moglie me deve coce un chilo de patate in umido tutti i giorni cor sugo! 

Ammazza quanto so bbone le patate!!"

Bernardo Bertolucci/La Commare secca/1962


"Cu è u' primu?"

Aurelio Grimaldi/Le Buttane/1997


"Voi altre donne, che siete figlie della polvere delle ceneri del rampantismo femminilista, che nella confusione epocale avete sempre l'alibi per fare un po' come vi viene, come vi sentite, come vi pare, sempre pronte ad alzare la voce per ciò che non significa niente, che non avete nulla da proporre o da contrapporre, esponenti di un post freakettonismo sciattone, oppure tecnologiche sciantose al passo coi tempi alla ricerca di uomini protagonisti che non riuscite a comprendere fino in fondo perché pensare è troppo faticoso.

Non mi sento parte, non desidero farne parte, di questo banchetto succulento di pezzi smembrati di pelli disossate, dove voi donne e solo donne, finalmente vincitrici dopo secoli di ingiustizie perpetrate da uomini brutali, voi semplici sanguisughe di ideali e lotte compiute da altre, avete si...il sopravvento sulla genie maschile, ma solo adesso che non c'è nessun regno da governare, nessuno scettro a custodire."

Fosca De Profundis/Il banchetto delle lussuriose-Soggettiva misogina/1998



Nero.

L'inquadratura lenta della cinecamera, si prolunga attraverso profondi spiragli chiusi dalle feritoie ospedaliere, dai finestrini degli autobus, dalle porte socchiuse delle case, dagli sguardi di pece attraverso i quali si scorge la fame di libertà sopita e censurata dell'universo femminile. L'oblò rigido della macchina da presa coincide perfettamente con la forzata visione del mondo iraniano in chador. Goffe e scure figure appesantite da vesti nere e ingombranti sulle strade vietate dell'islamismo conservatore che impedisce perfino di fumare per strada a chi non possiede un organo di riproduzione visibile: quel pene penis che docet da sempre.

La spirale di vita e di morte si ripete da sempre uguale, la sfortuna di nascere donna è solo l'inizio di un lungo cammino inesorabile dove le ormai consuete scelte occidentali [mamma in provetta, donna in carriera, single incallita] qui non sono proprio concepite e neanche abortite, semplicemente non sono, non sono state, non saranno. 

Se il cattolicesimo puritano vuole punire lo sporco frequentatore di puttane di colore attorno ai falò brucianti delle nostre metropoli, lì si punisce chi nascostamente cerca di guadagnare qualche denaro dalla vendita del proprio corpo inviolabile. Violentato da sempre solo dal padre/sposo/fratello/cliente/medico autorizzato a decidere la sorte dell'altra metà del cielo. 

Il cerchio si chiude con l'ultimo stupratore/aguzzino/sbirro che da una feritoia d'acciaio chiama invano il nome incomprensibile di una delle tante donne sedute sui freddi lastroni di una cella carceraria.

Nero.

ventiquattroottobreduemila


Anna Bolena 2000

 words © ANTONELLA PINTUS 

Rubrica di Cinema per la newsletter di SpazioKamino Ostia 2000-2002




giovedì 31 agosto 2023

WARNUNG VOR EINER HEILIGEN NUTTE [Rubrica di cinema] JULIAN SCHNABEL (2000)

 WARNUNG VOR EINER HEILIGEN NUTTE

ATTENZIONE ALLA PUTTANA SANTA

Rubrica di cinema [da un film del 1970 sulla visione del cinema di Rainer Werner Fassbinder, 1945-1982] con qualche precisazione:

Nessuna narrazione della trama dei film consigliati, salvo qualche dettaglio utile per le considerazioni in merito.

Nessun film che non ci sia piaciuto, lasciamo le critiche ai critici di professione.

Niente spazio alla macchina hollywoodiana anche se di manifattura europea o africana o quant'altro.

Nessuna censura di natura moralistica.





Prima che sia notte di Julian Schnabel

Dopo la rivoluzione

Elegia poetica sulla scrittura di un artista omosessuale nella Cuba castrista degli anni settanta dove anche una camicia un po' troppo attillata sembrava controrivoluzionaria.

Al canto del cigno delle fulgide promesse di una coraggiosa utopia infranta dalle paranoie di controllo e boicottaggio imperialista, si contrappone una ingenua e pura spontaneità di desideri sabbiosi sul lussureggiante mare atlantico. Mare e mareggiate propizie, stacco umido e spumeggiante, nuovo orizzonte e nuovo continente che per lo meno consentì a Raymondo Arenas di far pubblicare i suoi libri proibiti.

Un delicato viaggio mai morboso o verboso di un outsider incompreso e perseguitato solo perché al posto della figa preferiva il culo, un po' troppo poco per una rivoluzione di costumi che predicava e continua a predicare il noto motto "DENTRO LA RIVOLUZIONE TUTTO, FUORI DALLA RIVOLUZIONE NIENTE". Le riprese sporche e fangose dentro il carcere, i festini decadenti dentro le chiese sconsacrate, il continuo movimento in soggettiva del pensiero e del sentimento dello scrittore svelano quindi il gioco perverso dell'immaginazione al potere. Ecco la nudità cruda dell'autoritarismo ambiguo delle divise, dei militari e dei mercenari, il fascino lucido delle mostrine e delle pistole. Un ricordo sfuocato del "Il bacio della donna ragno di Hector Babenco", un omaggio a tutti gli omosessuali non schierati, una sgranata prospettiva contro le attuali ridicole richieste di normalizzazione del desiderio e della diversità, un ampio abbraccio sudato ai bambini poveri del terzo e del quarto mondo. E sul finire un viaggio infranto contro la livida e nevosa New York dove si è liberi di essere qualcuno oppure nessuno, fa lo stesso. I calci in culo fanno sempre male, ovunque ti trovi.


Anna Bolena 2000

 words © ANTONELLA PINTUS 

Rubrica di Cinema per la newsletter di SpazioKamino Ostia

mercoledì 30 agosto 2023

WARNUNG VOR EINER HEILIGEN NUTTE [Rubrica di cinema] AMOS GITAI (2000)

 WARNUNG VOR EINER HEILIGEN NUTTE

ATTENZIONE ALLA PUTTANA SANTA

Inauguriamo la rubrica cinema [da un film del 1970 sulla visione del cinema di Rainer Werner Fassbinder, 1945-1982] con qualche precisazione:

Nessuna narrazione della trama dei film consigliati, salvo qualche dettaglio utile per le considerazioni in merito.

Nessun film che non ci sia piaciuto, lasciamo le critiche ai critici di professione.

Niente spazio alla macchina hollywoodiana anche se di manifattura europea o africana o quant'altro.

Nessuna censura di natura moralistica.



Kippur di Amos Gitai

La festa è finita


"Alle 15,30 di sabato 6 ottobre 1973, giorno di kippur, i siriani contemporaneamente agli egiziani sul fronte sud, attaccarono di sorpresa, con una seria di interventi aerei a bassa quota e con una preparazione d'artiglieria della durata di 50 minuti, da parte di circa 900 cannoni, che fecero piovere sulle posizioni israeliane oltre 1500 tonnellate di granate."

"Le Cinque Proibizioni del YOM KIPPUR

1. Mangiare e Bere

2. Cospargersi di profumo o lozione

3. Relazioni sessuali

4. Lavarsi

5. Indossare scarpe di pelle"

The Jewish Holiday of Yom Kippur


Trasgredire nel giorno del digiuno e dell'espiazione sacra del culto yiddish diviene inevitabile se c'è la guerra: quella vera e autentica, combattuta dentro i carri armati a ridosso delle trincee sudate di cadaveri maciullati dall'artiglieria pesante delle contraeree nemiche, ostacolata dal fango melmoso delle alture del Golan e delle montagne sassose del Sinai, osteggiata dalla labile psiche di giovani guerrieri accomunati dall'unico desiderio di sopravvivere all'inferno della battaglia. La bandiera patriottica con la stella a sei punte non caratterizza nessuna singolarità particolare potrebbe essere la rappresentazione di un altra guerra di un altro popolo di un altra religione. Le guerre sono tutte uguali.

I soccorsi per i soccorritori creano un pleonasmo retorico ma efficace nel contrapporre alle riprese dall'alto [lunghe e splendide] sui tracciati dei cingolati, le scene violente e sanguinolente dei feriti da evacuare sul campo.

Niente a che vedere con le fantasie visionarie di Apocalypse Now [Francis Ford Coppola 19], o con la crudezza di Platoon [Oliver Stone, 19] o con l'antimilitarismo di Full Metal Jacket [Stanley Kubrick, 19]. Qui il kubrickiano motto di Spartacus: -"C'è un tempo per combattere e uno per cantare"-, viene stravolto dalla routine di giornate infinitamente uguali, dove i protagonisti interpretano i ricordi autobiografici del regista Gitai che in maniera semplice e scarna supera le costrizioni religiose per disegnare a tinte forti il dolore del combattimento. Lontane sono le desert storm e le simulazioni dei video giochi, qui è tutto tremendamente duro e spietato, resta un senso di inquietudine e di imbarazzo se pensiamo al calduccio borghese delle nostre rassicuranti esistenze.

Bellissimo e struggente l'iniziale e finale amplesso dolce/amaro con i corpi dipinti dei colori della guerra.

Anna Bolena 2000

 words © ANTONELLA PINTUS 

Rubrica di Cinema per la newsletter di SpazioKamino Ostia

martedì 29 agosto 2023

WARNUNG VOR EINER HEILIGEN NUTTE [Rubrica di cinema] LARS VON TRIER (2000)

 WARNUNG VOR EINER HEILIGEN NUTTE

ATTENZIONE ALLA PUTTANA SANTA

Rubrica di cinema [da un film del 1970 sulla visione del cinema di Rainer Werner Fassbinder, 1945-1982] con qualche precisazione:

Nessuna narrazione della trama dei film consigliati, salvo qualche dettaglio utile per le considerazioni in merito.

Nessun film che non ci sia piaciuto, lasciamo le critiche ai critici di professione

Niente spazio alla macchina hollywoodiana anche se di manifattura europea o africana o quant'altro

Nessuna censura di natura moralistica



CONSIDERAZIONE PRIMA


Dancer in the Dark di Lars Von Trier

I 107 passi prima del patibolo

“DOGME vuole depurare il cinema, ridurlo all’essenziale, per lasciare così che sia “la vita interiore dei personaggi a giustificare la trama.”

DOGME 95/Voto di Castità/Lars Von Trier e Thomas Vinterberg/Copenhagen 13/03/1995

“Strade auto>strade a sei>sette>otto>nove>dieci corsie, con i bordi segnalati da file di lucette bianche, sistemate in perfetto allineamento e alla medesima distanza l’una dall’altra, giusto per intensificare quel senso ipocrita della sicurezza, che ti porta dritto in jail, se sorpassi il limite massimo o minimo di velocità. 35 miglia utili per percorrere intrecci di asfalti bollenti/nodi di cemento e per venire superati da lamiere roventi/prezzolate con 5000<6000< 30000 cavalli sciolti, come quelli dei ranch hollywoodiani che preferisco immaginarli al di là delle staccionate dipinte da Tom Sawyer Huckleberry Finn lungo la 610 NORTH verso AUSTIN, piuttosto che visitarli e trovare delusa che sono verosimili a quelli dei movies alla <Via col Vento>."

MASSIVE HOUSTON/A.B./2000

“AL GORE RISORPASSA BUSH JR. I due candidati alla presidenza USA sono in disaccordo su tutto tranne che sulla pena di morte.”

A.G.I. 19/10/00



L'autore danese [Il Regno 1 (1994) e 2 (1997)/Le Onde del Destino (1996)/Gli Idioti (1998)] realizza attraverso una scenografia/coreografia essenziale e scarna il suo cammino verso l'espiazione dalla Colpa privata/pubblica ed intima/esterna, dall'impossibilità di controllo del Destino/Fato inesorabile e disintegrante. Destino cieco come cieca in progress è la protagonista principale [Selma interpretata dalla cantante islandese Bjork approdata al cinema dai suoi striduli cantici degli iniziali Sugarcubes ai rantoli diamantini techno industrial di questi ultimi anni da solista] che dalla ex Cecoslovacchia emigra in America per lavorare in fabbrica e cercare di mettere da parte qualche soldo per l'operazione agli occhi del figlio.

La mistica visionaria del musical detournato si scaglia miracolosa e salvifica contro il degrado impietoso della routine quotidiana, contro la viscida ragionevolezza del buon senso comune. contro le lacerazioni inconsapevoli degli ingranaggi dell'industria capitale e contro l'inesorabile ipocrisia degli assassinii istituzionali.

Non un fronzolo di troppo nella sceneggiatura lenta e spietata alleggerita appunto dagli intarsi cantati e sussurrati dalla abilissima Bjork provetta ballerina.

Nessuna possibilità di scelta come vuole la recente conversione cattolica del regista, mai dirompente, mai ammiccante, mai eticamente scorretto.

Uno sguardo sul filo del rasoio in piena inondazione decadente, dove la cinepresa diventa cine-pressa dei sentimenti, delle lacerazioni interiori, dei lamenti inascoltati dei condannati a morte sul patibolo.

Patibolo/purga per il Potere.

Per Von Triar Patibolo/liberatorio dal cinema spettacolare americano, dove tutto è meravigliosamente fittizio, dove gli effetti speciali coprono il male del mondo, dove intelaiature addomesticate celano il Dolore/Sofferenza dei disadattati, dei disagiati, degli indifesi e degli outsiders del mondo 

Anche le indulgenze melodrammatiche concorrono a rafforzare la Nuova Estetica/Etica dell'Abbandono. Un pugno nello stomaco dell'Estetica del Superfluo.

Anna Bolena

diciannoveottobreduemila


 words © ANTONELLA PINTUS 


Rubrica di Cinema per la newsletter di SpazioKamino Ostia

lunedì 28 agosto 2023

DEMOCRATS? NEVER! Stories of repression and depression @ Peti Nudi888 (1999)

 EDITORIAL @ Peti Nudi888 1999

DEMOCRATS? NEVER!

Stories of repression and depression



“O just, refined, powerful opium! You who infuse your sweet balm into the poor as well as the rich, for wounds that will never heal and woes that lead our souls to revolt, speaking opium!"

(CHARLES BAUDELAIRE, 1861)

“No struggle, as far as we are concerned, for the triumph of merchandise. But a very hard one against all those who want drugs to be and keep on being luxury goods, with all the damage we know. If real freedom means the exile from the world of merchandise, it is also true that real slavery means not calling things with their own name.”

(RICCARDO D’ESTE, 1993)

“Drugs have established themselves as a market truth. The democrats are trying to disguise them as a State truth.”

(DROGA, CHE FARSI? op. ed. 415, 1996)


They’ve been debating for years, with heated discussions, delirious reasoning and imposing law proposals, on the supposed and unavoidable necessity to abolish the so-called prohibition of soft drugs, i.e. all those substances whose active constituent is composed of the notorious THC, aka tetrahydrocannabinol, which changes according to what kind of cannabis is derived from and whether it is marijuana, hashish or oil.

And as usual, when a situation needs to be changed, a lot of people come out in the streets screaming for their sacrosanct right/need of fun and freedom of behavior and expression. If it happens, then, that an innocent joint is used by the demonstrators as a pretext/scapegoat for demonstrating, and by the government for repressing, it wouldn’t be bad to try and break this vicious circle by making some considerations outside the chorus of the left democrats, including now also some voices from the right, which makes no difference to us.


a) First consideration

ALL IS ALWAYS RELATIVE

About one century ago, in the USA, some federal states started to control the recreational use of cannabis, which was usually smoked or eaten, first by means of some alarming campaigns on its harmful effects and unpredictable social consequences, and then, with the help of the World Health Organization, by establishing with international laws and decrees that it’s illegal to possess, grow, use or incite the use of cannabinoids, which are classified as “soft”, unlike other drugs like heroine and cocaine, which are definitely “hard”. Soft?…. Have you ever tried to smoke a couple of pipes, just to spend a nice afternoon together with your friends, talking of this and that? Sorry but we can’t see anything soft in this: by virtue of the right of use and therefore of abuse everyone can take all the THC he wants, comfortably sitting, standing, or in the lotus position, either where this right is tolerated and claimed or at home, as he likes better, and decide, if he manages, to work, do nothing, take a walk or lie still for hours, days and months, maybe considering how convenient and reasonable it would be to legalize and tolerate such a soft and lovable substance, which is so innocuous, not like cigarettes which give you cancer and are in the hands of multinationals, nor like alcohol, which is a state monopoly and the cause of so many social problems and of terrible hepatic diseases… and so on with an avalanche of ultra commonplaces.

We don’t care whether it is the state, or the anti-prohibitionist and progressive part of the state, rather than the international mafia, to possess, distribute, cure with THC or make laws on the matter, while looking for a social welfare and trying to solve old and complex questions with a handful of marijuana seeds, icon of the people who are subdued and frustrated, not by taxes or unemployment, but because they’re prevented from expressing their own passions and desires by dreary contexts of family, work, religion, politics …. and so on.


b) Second consideration

EVERYTHING COMES TO HARM.

Those who said that psychotropic substances can be classified as soft and hard, those who decided that physical and psychological addiction can be controlled and cured by specifically intended organizations, hospitals, drug rehabilitation centres, alternative therapies, wild experimentations, those who decided that the use of drugs can be quantified and formulated in an average daily dose, so as not to be considered a criminal, but only a sick, those who make laws and pass sentences on pushers, users, addicts, mobsters and anyone who experiment, those who, in the name of the constitution, of the social contract, of democracy, of common sense choose and vote for a bit of freedom…. are those who choose the lesser of two evils, those who think that the stick is worst than the carrot, that the state is better than the mob, that the left is better than the right, that being good is preferable to being bad, that being rich, handsome and healthy is preferable to being poor, ugly and unhealthy, that the sun is better than the rain, that we would live better if there wasn’t so much pollution, that life is a precious thing, that death should come as late as possible, because we content ourselves with a hot meal a day, a safe job with paid holidays, a comfortable couch for the night, a good fuck every now and then, with mum who is always mum and then… why not, with a big good joint smoked in peace in the park, with no cops, no pushers selling you shit, no horrified old men, no one pissing you off, and so on…

Against such a disgusting and dull vision, we ask for more, we want the free circulation of all substances, we want to be allowed to grow all the plants we like next to the flowers in our gardens, we want to be allowed to sell, buy, possess, export, import, use, snort, eat, smoke, alone or in company every known substance, the good and the bad ones, the harmless and the harmful ones, and those which are dangerous for the environment and for what will remain for our children…. If we will survive!


IT WILL BE A LAUGHTER THAT WILL BURY YOU

LA LOGGIA


pics & words © ANTONELLA PINTUS 

sabato 26 agosto 2023

HI-FIDEL (in missione a La Habana) (2001)

 HI-FIDEL (in missione a La Habana)



Con Pacheco_





Gimmi Faoro produttore di Espera, espera....prod.








Anna Assenza con Anlly Sardiñas












Gimmi, Anna, Lau, Anlly








pics & words © ANTONELLA PINTUS 

giovedì 24 agosto 2023

Terapia con uso di ketamina per smettere la nicotino dipendenza @ Letteratura chimica italiana (2005)

 Terapia con uso di ketamina per smettere la nicotino dipendenza

 @ L.C.I. Letteratura chimica italiana (storie sotto) 

VV.AA./Torazine/Venerea Edizioni/Roma 2005





Anna Bolena 2005

pic Alice
words © ANTONELLA PINTUS 

Flyer AUTOGESTIONE E SITUAZIONISMO (1997)

 Flyer 

AUTOGESTIONE E  SITUAZIONISMO (1997)


contributo individuale di Meridiana 0.7


pics & words © ANTONELLA PINTUS 

ROMA RIOT @ Datacide Magazine (1998)




ROMA RIOT @ Datacide Magazine 

"People asked me questions about tomatoes robbing the vine and rotting on the vine and I had no idea what I was thinking about and abided in blank ecstasy. The only cure for morphine poisoning is more morphine”. [Jack Kerouac – Mexico City Blues 1959]


The Roman context doesn’t breathe quite well. It’s blocked up by the habit of a routine which offers almost the same, approximate, superficial stuff.
In spite of the indefatigable activity of a small part, we have to notice that Rome lived other periods, even short, distinguished by a deep, rebel, stirred up spirit. In those periods all the people involved did the best to lead their attitudes and behaviors, honestly inclined to the transformation and the global mutation of everything around our existence and “resistance”.
The social control in its most marked issues (see the fortunately faulted attempts of police to stop the raves) has been able to refrain the intentions of many, but at the same time made harsher the intentions of the few, as us, which never gave up the fight to claim actions, facts and events filled with emancipation and freedom.

Politics not always has been the cause of this claim. Sometimes the will of believe in something to escape from the tainted vicious circle of a usual, insipid life (which grinds the consciences inside the authoritarian mechanism), used to make the difference. The production of creativity and eccentricity is certainly recognized by the ones who run slices of the market and absolutely valid fields of production planned to gain, but those works are often insignificant for what concerned aim and contents.
It is “honeyed” reassured that someone of us decided to express disregard against all this system in different ways: by the conscious use of psychotropic substances (see the flyers of “underground information” about “use and abuse” divulged during our enterprises between 1995 and 1996; the fight against nuclear bombs in Mururoa; the campaign for the abstention to vote); by the intention to exceed the bonds forced by too restrictive musical kinds (see many attempts to contaminate the sound from the desk at the last two years parties); by the divulgation of discographic stuff outside the business of music shops (see musical self-production and records resell struggle against SIAE and the rest of Establishment).

These “attempted attempts” clearly haven’t been working yet, because of the uncontrollable increase of synthetic rubbish (pills and powders) that most of us go on with, just for boredom or habit, forgetting that the control and the output of this business definitely isn’t our matter, but remind to someone else’s dirty hands inclined to manipulate other most dangerous (even if different in effects and implications) substances (cocaine and heroine); and also forgetting that anything has been really done to stop the trade of the big narco-dealers. Lots of people is still thinking that buying some pastiglia or a gramme of Ketamine by our friendly pusher means to have precious goods of high quality. Bullshits.

By the way, without any moralistic parable (let’s say it sincerely: we like drugs and we are for the free Statal tax circulation), we have to notice the obvious lack of good raw materials to prepare what we generically call DRUG. Let’s meditate on it, guys, let’s meditate on all the creep available in this period!!

Driving the attention on the music, the “daily bread” for many of us, the chance to improve the quality of the production had an half success. Even bounding around the remark of the intentions to change sounds and rhythmic, we have to say that those intentions haven’t always been appreciated or appreciable.
Not appreciated because, except for the essential production at the beginning of the decade [we hold in high regard Leo Anibaldi, Lory D, D’Arcangelo, Passarani, Benedetti, Micheli, Rizzo, Renghi, Galli and little few], the rest of the production hasn’t been taken into the same consideration. First because, as suitable, the enjoyment of the musicians changes towards most mature sounds, and then because the flat taste of “the people of the night” has been submitted to the absolute tyranny of a spiral sound made in raves parties of various tribes (among other things I heard a rumor that in the clubs progressive is selling well: this is a reality that we don’t know and we don’t want to know!).

Not appreciable because, in spite of the excellent ADC’s industrial, Amptek-Entropia’s experimentations (Eclectic rec.), Syncretic's brave beginning (not always convincing), Mat 101’s ironic electro and many others, self production seems to be, in our context, still a sort of mirage. Something too much announced but never really carried out, maybe because we are Italian, and we’ve got lots of problems with money, and moreover we still pay the addiction from the across the Channel’s foreigners, not always positive and interesting (let’s specify: they aren’t better than us, but surely faster and most prepared in make up their music).

Without any provincial attitude, it’s always right to promote the cross contamination of sounds, complex but need full. A pale try has been “The Celebrat.Action in SpazioKamino” (a squat in Ostia) on 10/11/12 December 1999, for the 10th anniversary of occupation. Many roman record labels get involved in (Nature, Plasmek, Eclectic, Syncretic), and also many new levers of urban self production (Roma Sud Tracker, Mechanic Willow alias Thomas & Emilio [see their good track on Evil Rec.], San Pedro, Fire Workers, FUB), John Healey of Somatic Responses, Dan/Mwarf of HEKATE, Ostia Rioters, Dj Shakti and the undersigned Anna Bolena, which accompanied the PANZARASA’s performance (Ostia’s contemporary dance group), all joined with VHS by CARTA ZERO[Roma] and TITUS from France/Marseille, also HI-TEC installations by BRADIPO MORPH.

The appointment saw the presence of 3.000 people (considering that for 3 years till now the number of rave’s founds decreased, maybe because the work of the newspapers on the police clear of Fintek), but we have to say that we can do more. We have to find better ways to promote this contamination, better strategies to modify the way to involve all the people.
Too many times I disagree with the mental attitude of some of us, the ones who think that the work of a few near us is most important and interesting than the others work. Sometime when our effort finds low gratification we use to blame on external causes, rather then make a right internal analysis of the feedback. Often we play other’s work down, just because they have the “fault” to deal mainly with a “so unimportant” activity as MUSIC.
It’s rare to find attitudes inclined to develop everyone’s diligence.

For what concerned us PETI NUDI, after few numbers of our magazine we decided to do something different. Now we are contributing to TELECANDIDA (a local broadcasting’s TV program) for music and editing. Besides, we’re working on a project for a self managed record label, called IDROSCALO DISCHI: a place to give voice to everyone interested in experimental and industrial music, our old passion; and also an tribute to Pasolini, Ostia, and the subterranean culture.

Coming to an end, we specify that other realities are operating in Rome, as FORTE PRENESTINO’s ones (a squat occupied for 14 years): 00Nowhere, and Kernel Panik. Even if we don’t always like every musical choice of them, we admit the coherence and the perseverance in their plans. Moreover we remind to Retinal Fremen, the happenings called BLUE CHEESE at the ex Mattatoio of Testaccio, Lab 0028 at Spinaceto suburbia and Brancaleone’s (an ex-squat) Fridays called Agatha.

Anna Bolena (PETI NUDI HYPERMEDIA)

translated by iefaiebio

pics & words © ANTONELLA PINTUS 

mercoledì 23 agosto 2023

VIVERE L’ESTREMO E RITORNO @PetiNudi666 (1995-1998)

 VIVERE L’ESTREMO E RITORNO

Lo spettacolo della vita quotidiana




“O ci si organizza a lavorare un giorno la settimana e vivere e giocare e creare durante gli altri sei giorno oppure l’umanità è destinata ad estinguersi.”

(Silvano Agosti - L’uomo proiettile - 1995)


Oltre gli orari, gli spostamenti, i pensieri che ogni individuo gestisce lungo la giornata, non si può negare l’esistenza di un assetto organizzativo imprescindibile della realtà quotidiana; della forma precostituita e prestabilita delle ore, dei minuti, dei secondi che separano il giorno dalla notte: divisione volutamente precisa e costruita della vita, che da sempre caratterizza i nostri movimenti spazio-temporali; dell’impossibilità, spesso, di riuscire ad impedire che il trascorrere del tempo condizioni l’occupazione stessa di un preciso spazio ormai abituale e rassicurante; della difficoltà, talvolta, di compiere operazioni mentali ed esercizi corporei lontani dalla consuetudine, dalla noia, dalla ripetizione di gesti ormai rodati ed approfonditi.i Inevitabile è sottolineare l’importanza della divisione del lavoro nella società attuale, quanto poi la sua organizzazione, funzionale al profitto e all’accumulo di ricchezze concentrate, impedisca ai più di potersi sottrarre a tali imposizioni e di progettare la propria esistenza in forme e modi più congeniali e rispettosi delle esigenze e dei bisogni individuali. Il lavoro salariato espropria continuamente la persona dalla possibilità ed opportunità di ricercare dimensioni e condizioni libere, creative, giocose, gestite secondo modalità squisitamente soggettive e diversificate.

Il contesto culturale e sociale dell’uomo telematico odierno impedisce, sia ai ricchi, sia ai meno abbienti, sia ai diseredati, di concepire la cultura del non-lavoro.

La riflessione e l’intenzione è quella di suggerire altre soluzioni alle lotte sociali per le 35 ore settimanali (in genere rivendicazioni di piccoli partiti e sindacati autonomi, ed ora anche di CGIL, CISL e UIL) o al moto trentennale del “lavorare tutti, lavorare meno”. 

Il non-lavoro è una filosofia e pratica di vita ( crf. “L’abolizione del lavoro”di BOB BLACK ) e non appartiene sicuramente all’universo dei politicanti istituzionali o antagonisti, coloro i quali spingono in forza di grandi masse e di popoli oppressi dal capitale pseudo-cambiamenti all’interno del mondo del lavoro, supportati da ideologie paleo-ortodosse.

Nel prossimo futuro il sistema del capitale, del libero scambio, della proprietà pubblica e privata, del lavoro precariato e flessibile, sarà sempre più distante dal riuscire ad offrire impieghi duraturi, a versare contributi fiscali ad uno Stato che già ora garantisce misere pensioni, a rispondere alla domanda di milioni di immigrati che premono alle frontiere del nostro dorato occidente: flussi migratori che si pretende di controllare e prevedere con leggi “adeguate e avanzate”, espressione del consueto autoritarismo istituzionale. Tali complessi fenomeni, di natura politica, sociale ed economica, non possono trovare semplice spiegazione nella questione delle differenze di classe, di ceto e di religione, come vecchie teorie marxiste-leniniste e sovrastrutturali ancora cercano di avallare.

Il significato di questi  macro problemi  potrebbe collocarsi all’interno di una visione della vita come meccanismo di un processo esistenziale volto all’adeguamento e spostamento del sentimento di rischio e di imprevedibilità, fonte d’ansia, d’angoscia e timori profondi. E’ il presentimento di affondare nel caos, nell’incertezza che determina l’organizzazione limitata e razionale della vita quotidiana.

L’alienazione grigia, sbiadita, la ripetitività ricercata nella strutturazione estremamente rigida dell’esistere, o meglio del sopravvivere, trova apparentemente una possibilità di riscatto e di cambiamento nel gusto compiaciuto del divertimento fittizio, comprato a caro prezzo, allestito secondo i dettami delle mode e delle nuove tendenze.

Il culto materiale dell’immagine giusta al posto giusto, del look arricchito ed ingigantito dall’ultimo oggetto optional che va tanto in voga, ben si concilia all’interno dell’organizzazione quotidiana dell’uomo-donna che lavora, produce e consuma.

Il sistema con i suoi potenti mezzi, con le sue ramificazioni, è capace di recuperare ed alterare, secondo gli obiettivi e le esigenze del mercato, ogni elemento o particolare che abbia caratteristiche potenzialmente alternative, innovative e moderne.

I rapporti economici, ancora una volta, riescono con efficacia ad imbrigliare ed imbavagliare anche le menti e gli spiriti non asserviti, non sottomessi. Creativi, pubblicitari, esperti di marketing, artisti ed altri si trovano spesso costretti ad immolare le loro idee geniali, le loro trasgressioni libertarie, le loro proposte innovative ai soldi facili, annichilendo quindi ogni possibile contenuto di liberazione e trasformazione della realtà.

La pubblicità, la tv, l’iformazione manipolata contribuiscono a propagandare l’importanza e la necessità delle merci feticci da idolatrare. L’accumulo di oggetti “usa e getta” crea nel mercato un over-produzione di beni inutili, fittizie entità rese appetibili da una curiosa miscellanea di immagini sempre più sofisticate, colonne sonore indimenticabili, slogan appiccicosi e ruffiani.

Le leggi dello spettacolo hanno permesso un allargamento a fasce di popolazione meno abbienti l’entrata libera ad un mondo che fino a poco tempo fa gli era precluso; dove falsi riti, miti del protagonismo patinato, culto esagerato del finto non possono migliorare una vita vuota ed insignificante.


Oltre lo spazio e il tempo


“Non c’è che il presente che possa essere totale, un punto di  incredibile densità. 

Bisogna imparare a rallentare il tempo, a vivere la passione permanente dell’esperienza immediata.”

(Raoul Vaneigem - Trattato di saper vivere ad uso delle giovani generazioni-1969)


1. LA PRATICA DELLA TRASGRESSIONE

Il quotidiano, inteso sterilmente come un recipiente da riempire per far trascorrere il tempo, offre la possibilità esclusiva di vivere uno pseudo divertimeno, uno svago fine a se stesso, slegato da una visione ampia ed articolata della propria esistenza.

Il divertimento, collocato all’interno di una logica mercantile di business, viene caratterizzato da elementi e aspetti insulsi apparentemente soddisfacenti; la realtà dentro i locali trend, le discoteche alla moda, i templi più gettonati non è liberata, personalizzata o creativa: i gestori con il loro staff pensano per te, risolvendo ogni tuo desiderio od esigenza impellente, cioè si delega ad altri ciò di cui si ha bisogno.

L’autogestione diretta di spazio e tempi è una pratica certamente contraria al lucro personale o di pochi, per questo viene bandita ed allontanata come azione inadeguata ed impossibile da attuarsi. D’altra parte la gestione orizzontale e non autoritaria dello spazio ludico è da sempre uno degli obiettivi di tattiche e strategie volte all’occupazione diretta di tutto ciò che il sistema sociale vieta ai gruppi giovanili: spazi fisici ed utopie mentali.

La voglia di abbattere le imposizioni culturali del mondo degli adulti spinge spesso i giovani a trasgredire le leggi, a ribaltare i significati e le modalità d’uso dello spazio e del tempo. Mantenendo la distanza da possibili mistificazioni e ritualità fini a se stesse, è ormai la pratica dell’illegalità, dell’azione diretta e della conseguente autogestione del proprio divertimento che caratterizza e accompagna la nostra sopravvivenza, le nostre frustrazioni irrisolte, la continua ricerca individuale dell’equilibrio spezzato, le diverse motivazioni di distruggere con modelli alternativi le consuete abitudini.

Tutto ciò, e non solo, dentro il rave, il party non autorizzato, espressioni complesse, contenitori multipli per inviare e suggerire esistenze e mondi diversificati.


2. LA RICERCA DELLA COMPLESSITA’

Il rave, evento multimediale sempre diverso, assume un profondo significato nella continua ricerca di valori e contenuti realmente dirompenti e destabilizzanti della cultura circondante. E’ espressione spontanea e fervida di probabili utopie, di viaggi fantasiosi non necessariamente veicolati o vincolanti, ma più propriamente imprevedibili ed inaspettati.

L’articolazione del proprio corpo arricchito e movimentato da spostamenti ed occupazioni fisiche sconosciute, si congiunge a fertili e vivide immagini mentali mai provate; la costruzione di sensazioni ed emozioni forti è chiaramente amplificata dai decibel della strumentazione allestita, ampliata da scenografie che mutano e si trasformano segnatamente alle diverse e suggestive architetture di volta in volta scovate all’interno della metropoli.

E’ una continua crescita di menti in esercizio che cambiano con l’occupazione tempestiva della città;  tappe diversificate di un tracciato non ancora chiuso, scavato in profondità: stazioni metro abbandonate, capannoni di lamiera in disuso, aree industriali periferiche, piccole e grosse fabbriche dismesse rappresentano lo scenario possibile dove allestire e dare vita al mostro. Clandestino, dove non soltanto le mura, il luogo, la struttura edificata assumono importanza, indispensabili restano anche gli scambi interpersonali, i legami tra gli individui.

L’intento è quello di permettere la nascita di atmosfere, climi impalpabili, altro dai modelli tipici commerciali.

Il rave è e deve essere illegale non come dogma, ma perchè la storia e la controcultura così lo ha costruito, ricercato ma non definito; riempire un vuoto virtuale e renderlo realtà soggettivamente interpretabile ed entità continuamente sperimentabile un possibile obiettivo.

L’approcio diversificato e l’impatto sovversivo nei confronti della metropoli, offre una sorta di passagio veloce ed inafferrabile, dove trascorrere una microscopica particella di vita. Atomi sparsi e distanti raccolti in un ampio spazio fisico e mentale, inesauribile, non cadenzato dal tempo se non quello della musica e del ritmo elettronico quasi perfetto ricostruito dai suoni domestici, più familiari.

La musica elemento pregnante e determinante, è strumento, veicolo capace di improvvisazioni imprevedibili, di performance fuori dagli schemi e dalle etichette riconosciute. Techno significa riciclare suoni, rumori, percezioni ambientali, creando e assemblando sensazioni innovative e ricercate mai udite. La techno è linfa vitale, fluido denso e lubrificante per i nostri neurotrasmettitori, i nostri bisogni concreti, le nostre motivazioni forti.

Il techno rave può semplicemente delinearsi come diretto strumento di cambiamenti esistenziali, senza ansie di certezze o verità assolute, mezzo trasgressivo di recupero di linguaggi e gesti primordiali, di codici complessi da scoprire.

Rave come situazione elastica, di raccordo tra visioni soggettive ed espressioni tribali da piccolo gruppo, come cellule irrazionali e nuclei sperimentali; come esperienza materiale e concreta di vita collettiva, come continuo distacco psichico dal corpo; come essenza estrema per provare dimensioni piacevoli, dolorose, in perfetta sintonia ed armonia di un modus vivendi fatto di ritmi e rumori costruiti secondo esigenze mutevoli, energie mobili ed influssi benefici, contrari alle depressioni metropolitane e allo stress quotidiano; come terapia verso un’esistenza diversamente articolata, irrazionale, incerta, sicura, contradditoria, relativa e scettica.

Dall’ironia sarcastica, dalla profondità di pensiero, dal nomadismo spazio-temporale, dalla costruzione di geografie mentali, la possibilità di provocare viaggi in luoghi che non esistono, l’opportunitàdi abbattere muri e limiti invalicabili.


3.CONTRADDIZIONI E PARADOSSI

Recuperando il discorso precedente sulla cultura del non-lavoro e sul rave come possibile orizzonte di mutamento reale, contro la spettacolarizzazione mass-medianiaca, la conclusione ovvia è che tali dimensioni vadano incastrate secondo vie parallele, che prima o poi si incontrano.

E’ come affermare che il rave può, secondo i sui presuposti, trovare massima espressione in un mondo senza doveri e senza diritti, in un mondo anarchicamente allestito.

Invece paradosso è che il non-lavoro è impraticabile, o meglio, ha bisogno per essere attuato di tutta una serie di trasformazioni concrete all’interno dell’assetto sociale, mentre il rave come supporto o continuum all’utopia del non-lavoro è una realtà ormai diffusa e praticata, espressione diretta ed esplicita del disagio giovanile.

Il rischio principale è che tale evento-situazione, ormai consueto e diffuso, avendo raggiunto un traguardo conosciuto e prevedibile, perda definitavamente l’immediatismo spazio-temporale, l’elemento della velocità, l’occupazione di luoghi sempre diversi, la scarsa visibilità o semi-clandestinità, la gestione orizzontale del posto conquistato.

Il limite del rave, così come viene concepito e immaginato, è quello appunto di essere diventato scontato, superficiale, vuoto, inutile. Non più strumento, mezzo virtualmente costruito e articolato, non fine ultimo di una pratica sociale che etichette e difinizioni non ha mai ricercato.

Il rave, come obiettivo, offre una monosoluzione semplice ad esigenze e desideri che cambiano, si trasformano e si arricchiscono.

L’evento multimediale è quindi ormai sterile e prevedibile, ha perso tutto il suo potenziale di trasgressività e di alternatività.

Episodio sradicato dalla vita quotidiana dove emozioni fittizie non sono riuscite a contagiare l’intera esistenza; è l’unica risposta a mille bisogni e sogni, mentre inizialmente ha concesso la possibilità apparente di risolvere, e in parte soddisfare in maniera creativa e dirompente le esigenze personali e collettive.

La formula magica del rave come pratica ha quindi esaurito il suo mandato.

Con disincanto ci accorgiamo della necessità di inventare qualcos’altro che abbia la stessa efficacia ed incisività.

Di rimando scaturisce che, senza leggi e abitudini consuete, è possibile risolvere l’annoso problema rappresentato dai tutori riconosciuti dell’ordine pubblico, i paladini instancabili della giustizia sempre presenti e all’erta in ogni momento.

Organizzazioni legalizzate, poliziesche, gerarchiche, armate non sono alla nostra portata, inutile ricordare che le azioni, i movimenti, gli spostamenti andrebbere responsabilmente garantiti e considerati adeguati, senza pericoli ingestibili.

Il controllo sociale penetra quando si presentano delle falle, dei buchi, quando la determinazione non è convincente, quando lo spontaneismo diventa banale e vuoto di contenuti concrti e tangibili. In poche parole, quando a monte non esiste una visione complessa, ampia ed esperta, dell’universo umano.


Il superamento dell’occupazione totale


“L’avvenir noi siamo, pensiero e dinamite.”

(L’insurrezione - Londra - 1905)


1.DALL’ISTITUZIONE AL GIOCO

La formula organizzativa del rave-evento può ormai trovarsi di fronte ad un empasse, ad una condizione statica e stabile, troppo sicura, tale da poter essere definita come una sorta di istituzione, con le sue leggi e le sue scontate abitudini.

Tutto questo è chiaramente paradossale, viste le sue enormi potenzialità e capacità di trasformazione sociale ed individuale.

Trasgredire le regole imposte non può essere svuotato del suo contenuto dirompente e destabilizzante, non può essere ridotto ad una semplice “parola d’ordine”, tipica di organizzazionio gruppi politici che adottano strategie sempre uguali e compiono azioni con pretasa di armare caos e disturbo nelle metropoli, ma che, in fondo, sono semplici la loro prevedibilità poco originale aumenta la repressione immediata.

Superare l’occupazione di luoghi fisici dove svolgere molteplici attività, a mio avviso, può in certi momenti, anche di breve durata, essere pratica politica efficace e produttiva; fermare l’azione per crearne di nuove, più incisive e rumorose, è necessario in alcuni frangenti; le opportunità e le possibilità devono crescere, svilupparsi e diventare necessarie se si vuole conquistare obittivi difficili e inconsueti.

Senza dogmi, senza velate certezze, ritengo che abbattere i muri, quando questi tendono a diventere ghetti dorati o situazioni estremamente sicure e pacifiche, può essere indispensabile per non fermarsi mai.

Adagiarsi all’interno di condizioni ovattate e protette blocca drasticamente le energie, la volontà, le aspirazioni creative di cervelli sempre in movimento; almeno si cerca di attivare le menti, il pensiero per muoversi concretamente e per non ripetere all’infinito le stesse ambientazioni, gli stessi giochi.


2.SENZA VERITA’

Ripartire da zero, talvolta, può essere utile ripercorrendo a ritroso percorsi già seguiti è indispensabile per agire meglio e per rioccupare lo spazio e il tempo.

La difficoltà è riuscire a cogliere l’attimo, il breve momento per la stasi, per l’analisi delle esperienze passete e trarre così benefici per l’azione futura. Spontaneamente.

La conoscenza profonda dei fenomeni sociali e psichici è sicuramente proficua; invece spesso ci si trova impreparati ad affrontarte e a comprendere l’ambiente che ci circonda; non faccio riferimento a statistiche psicometriche o ad ipotesi da dimostrare, gli approcci scientificamente esatti e il sapere accademico non possono fornire parametri di riferimento per le azioni che provano a rivoluzionare la vita. E’ proprio contro tutto ciò che tende a una definizione precisa e misurabile delle situazioni che bisognerebbe opporre il libero pensiero e la pratica del gioco spontaneo e creativo.

Alimentare e fornire imputs alla fantasia non è sinonimo di regressione infantile, ma è l’obiettivo di inventare un mondo adulto diverso, fondato su leggi e norme non ancora scritte e per questo sconosciute e nascoste.

La ricerca dell’equilibrio spesso non è consapevole, talvolta lo si ragguinge e non si riesce scorgerlo; importante e romperlo per poi riscrearne un altro. E’ un continuo passaggio anche doloroso tra pensiero-stasi e movimento-azione, dove il dinamismo è immobile e l’arrovellamento cerebrale provoca spostamenti.

Sperimentare la complessità, costruire la propria realtà, inventare cellule o piccoli gruppi creativi di non-lavoro, per poi confondersi di nuovo nella massa, approfondire le comunicazioni interpersonali è la vera dinamite che scoppia dove necessario.

Vivere l’estremo per ritornare a viverlo meglio, questa la scommessa!


N.B. Questo contributo scritto nel dicembre 1995 e aggiornato nell’aprile del 1998, va letto, riciclato o bruciato!

Fatene l’uso che preferite.


MERIDIANA 0.7


pics & words © ANTONELLA PINTUS 

martedì 22 agosto 2023

ROMA @ RAVE IN ITALY (2018)

contributo @ RAVE IN ITALY 

gli anni novanta raccontati dai protagonisti 

curato da Pablito el Drito 

pubblicato da Agenzia X 2018

pubblicato su Not Nero Edizioni 2018





ROMA

di Anna Bolena


Sono sempre stata appassionata di musica. Mia madre suonava il pianoforte e insegnava musica nelle scuole primarie, sono cresciuta in una casa in cui c’erano dischi sia di cassica che di altri generi. Alla fine degli anni ottanta, venendo dalla scena post punk, avevo una idiosincrasia nei confronti della musica elettronica da ballo, che consideravo di cattivo gusto e superficiale. Era un mio pregiudizio, una chiusura mentale che negli anni ho poi superato. Anche perché poi un genere musicale va studiato, approfondito, vissuto e compreso. Quando mi sono ritrovata a Roma nella scena di movimento, la musica principale che girava era il punk e il rap. Era musica di protesta, la colonna sonora di parole d’ordine e contenuti politici che caratterizzavano quel periodo storico. Io ho militato nel movimento studentesco de LA PANTERA all’Università della Sapienza, poi sono entrata in contatto sia coi centri sociali, con le radio di movimento, l` Autonomia Operaia, i comitati di quartiere, le sedi politiche, per poi militare nel circuito anarchico e entrare a far parte del collettivo CONTROCULTURA al Pigneto.  In quel periodo i fascisti avevano iniziato a riaprire luoghi di aggregazione in diversi quartieri, non solo quelli storici di appartenenza. Era una situazione anche pericolosa, ci sono stati scontri anche fisici durante gli attacchinaggi notturni.

La musica elettronica era considerata dai compagni musica commerciale, anche perché era ballata principalmente nel circuito delle discoteche.

Quando noi abbiamo cominciato a suonare e organizzare rave, la musica che mettevamo era quella che compravamo da Remix, un negozio romano che è stato fondamentale per diffondere techno/electro e musica sperimentale come l` IDM.

Il movimento dei rave illegali e` iniziato nel 1993/1994 grazie a un gruppo di musicisti e compagni stanchi della solita musica dentro i consueti luoghi di aggregazione sociale della sinistra extraparlamentare. Alcuni di noi componevano gia` musica da ballo e non solo con apparecchiature elettroniche. Musica acida più in sintonia con il mood di queste prime feste, che si svolgevano in periferia. 

La musica, al tempo, rappresentava solo uno degli aspetti del movimento anche se per me è diventata sempre più preponderante. Al’inizio l’occupazione deglli spazi periferici aveva un aspetto prettamente politico. Si andavano a prendere gli spazi delle città lontani dalle solite organizzazioni, sia da quelle commerciali, sia dagli spazi sociali. Anche perché nei centri sociali c’erano delle restrizioni di tipo estetico, culturale, musicale. E anche dei pregiudizi. 

Io sono sempre stata una persona molto curiosa e aperta, che ama trasgredire. Mi ero resa conto che la musica elettronica aveva una valenza culturale. Basta pensare alla tradizione inglese o a quella americana. Poi, ascoltando la scuola romana, mi sono definitivamente innamorata di quel suono. Continuo a ritenere che la scuola romana sia quella che mi ha formata, tanto che il suono di Roma sia quello che si continua a sentire anche nelle mie produzioni attuali. L’utilizzo della musica techno aveva una sua funzione: riportare un po’ di novita` e creativita` (come momento di rottura dal consueto suono "sociale") dentro il discorso dell` autogestione e del controllo del territorio all’interno delle situazioni politiche. La nostra aspirazione era quella di strappare al “muretto fascista” il ragazzo di periferia, indottrinato alla cultura dell`intolleranza e della violenza, che era attratto da questo  tipo di musica. Mi ricordo che all’inizio del movimento dei rave illegali arrivava gente coi bomber e scudetti, che apparteneva a questo tipo di comunità di periferia, cresciuti a techno e saluti romani. La nostra sfida è stata quela di presentare a questi ragazzi un’alternativa alla discoteca commerciale mostrando direttamente su campo come si organizza dal basso un party di musica elettronica da ballo.

Io ero in contatto con alcuni musicisti / dj che stavano dentro il Forte Prenestino e al centro sociale Pirateria. Mi sono ritrovata a fare con loro un paio di feste nei centri sociali e qualcuna in periferia. 

Nella periferia est di Roma ho cominciato a ballare la techno. Lì ho cominciato a studiare generi e sottogeneri: electro, trance, hardcore, e ovviamente techno. La scena romana produceva techno sperimentale. Penso a Lory D, Leo Anibaldi. Poi c’era la scena “detroitiana”, legata al nome di Andrea Benedetti e Marco Passarani. Leo Anibaldi, giovanissimo,  già lavorava a livello internazionale e produceva dischi. C’erano anche i gemelli d’Arcangelo, che hanno influenzato il mio suono industriale. Tuttavia io amavo anche molto la scuola inglese IDM: Aphex Twin, Squarepusher, etc… La trance, nonostante il grosso della produzione fosse stata nel 1992-93, andava ancora forte in città. Alcuni suonavano goa, di cui non sono mai stata una grande appassionata. La presenza variegata e variopinta della musica è un aspetto molto bello degli anni novanta, un aspetto che secondo me negli anni si è andato perdendo. Si è sempre più asciugato in categorie tipo techno e house. Addirittura c’è gente che ancora pensa che l‘electro non faccia parte dela techno! Negli anni novanta ci interessava poco definire il genere, ci intrigava di più la dimensione alternativa della riappropriazione degi spazi e della produzione musicale. Che poi è un movimento  parallelo di integrazione a quello che era l’eredità culturale e politica dei centri sociali. Era un’esigenza di portare freschezza, quindi anche il fatto di usare la techno come veicolo per aggregare persone è stato un aspetto fondamentale. Questo avviene dopo quella fase di rave commerciali fatti in discoteca nei primi anni novanta. Io in discoteca ci sono andata a sentire la musica dark, a Roma frequentavo il Uonna. 

Quando ho incominciato a comprare dischi di elettronica mi sono appassionata a due generi: industrial e idm. Ho comprato anche robe più dancefloor, trance a 150-160 bpm e anche acid techno. L’acid techno è una cosa che ogni tanto ritorna di moda: il bassline usato in maniera esagerata esiste da sempre e non morirà mai. La musica acid dal mio punto di vista è musica più facile. L’acid di Leo Anibaldi rimane anche un prototipo del genere. Che però, a differenza di altri prototipi di quel genere, mantiene sempre quell’eleganza e ricercatezza che solo Leo ha saputo esprimere. 

Un cosa positiva della scena romana è stata che dopo i primi due anni di rave illegali, che possiamo collocare nel biennio 1995-1996, è nata l’esperienza della Fintek. Questa ha coinvolto tante persone. La Fintek è stato un rave illegale continuato, che durava 3-4 giorni a settimana. L‘occupazione è durata un paio d’anni. Alla Fintek per la prima volta si sono riusciti a portare artisti importanti come Panacea, che noi adoravamo all’epoca. La drum’n bass che faceva, che poi è stata definita darkstep, è una cosa di cui ci siamo appassionati subito. Quando è venuto a suonare in una delle salette per la prima volta eravamo solo una ventina di persone. Anzi, forse diciannove! Quando tornò al Forte Prenestino in compenso lo attesero le folle. Vero è che lì era già diventato famoso. Position Chrome è una delle etichette fondamentali del genere. Altre persone che hanno cambiato la mia conoscenza della musica sono stati Christoph Fringeli della Praxis,  Rachael Kozak della Zhark e Dan Hekate. Hanno portato una grande freschezza nella scena. La Praxis la conoscevo già, o meglio, conoscevo già le produzioni. Avere incontrato Christoph e soci della Praxis è stata una cosa fondamentale, perché poi abbiamo fatto anche cose insieme. 

Per me Praxis è tuttora una delle etichette più importanti. Il suono è molto radicale, va dalla breakcore passando per il noise fino all’hardcore, però con venature molto sperimentali, molto ricercate. Sono dischi che vanno calibrati. All’epoca li suonavamo parecchio perché eravamo rimasti in fissa! Li prediligevamo perché avendo come base la cassa spezzata lo usavamo per contrastare la noia del 4/4 alla Spiral Tribe. Lo dico con tutto rispetto per loro, abbiamo pure organizzato cose insieme, ma il loro suono mi ha sempre appassionato poco. 

Mi attraeva tutto ciò che si contrapponeva alla ripetizione noiosa e lo suonavo.

Si creò una contrapposizione tra chi suonava la cassa dritta e chi quella spezzata. Cosa che a me irritava pure, perché a me piaceva suonare sia una cosa che l’altra. Certo, tra un suono che abbraccia un consenso maggioritario e uno che abbraccia un consenso minoritario, io mi schiero con quest’ultimo. 

Il periodo della Fintek è stato molto interessante e vivace. Anche molto sociale. Il fatto di avere un posto fisso dove poter fare party è stato estremamente importante. Un po’ ha dettato delle regole e poi ha rappresentato quello che poi succede in tutti i movimenti. Non dico che si sia trattato di “imborghesimento”, ma sicuramente un rendere la cosa forse un po’ più noisa e meno ricca di sorprese. Le persone che arrivavano alla Fintek erano le stesse persone che venivano nei rave “mordi e fuggi” dei due anni precedenti, cui si sono poi aggiunte altre persone. Noi siamo arrivati ad organizzare rave fino a seimila persone, e la Fintek aveva più o meno gli stessi numeri. Però mentre negli illegali classici si organizzava il sabato e poi la domenica si andava via, con la Fintek si iniziava il venerdì, a volte anche il giovedì. E c’è stato un afflusso di gente da tutto il mondo. La gente che veniva era di tutti i tipi, non era gente necessariamente politicizzata. Dentro la fabbrica ci vivevano, con grosse difficoltà molte perone. Il posto fu preso in origine da un gruppo di amici di Sasha, un dj inglese, che era morto in India. Per ricordare Sasha gli amici fecero una prima festa nella fabbrica dismessa della Fintek. Doveva essere un evento singolo, divenne poi un’occupazione stabile. Quest’occupazione ha portato al mescolamento di persone di vario genere, tra cui alcuni traveller legati alla scena degli Spiral Tribe, dei Kamikaze e degli OQP, insieme ad una seri di musicisti sia della scuola romana, che dela scuola internazionale. 

Io frequantavo la Fintek ogni fine settimana, avevo lì una sorta di residenza. Ci suonavo spesso. 

Appartenevo a un gruppo, quello della rivista “Peti nudi”. Stiamo parlando del 1997-1998. La rivista è nata quando ci fu questo grosso evento per Sasha, e di conseguenza uscì il primo foglio, che mi comparve come un’apparizione notturna. In questo foglio c’erano dei riferimenti sia a Sasha che alla scena romana. Erano interventi provocatori, incorniciati in maniera irrivente dal grafico Matteo Swaitz. Noi di “Peti nudi” abbiamo portato il dark nella scena. Per noi nelle feste c’era un approccio troppo colorato e fricchettone, che a noi non piaceva. Quindi abbiamo tematizzato i contenuti musicali e estetici, in modalita` esoterica, in chiave loggia massonica. Ma era un modo per divertirci, per prendersi in giro. Da lì “Peti nudi” è uscito in varie edizioni, non tantissime. Non era facile farlo, perché la maggior parte della fanzine la scrivevo io. C’era qualche altro sparuto intervento, ma principalmente i testi erano farina del mio sacco, combinati con le foto di Stefania e la grafica di Matteo. La nostra presenza alla Fintek ha portato ricchezza culturale. All’interno della Fintek si era creata una socialità anche drammatica a volte. Alcuni sviluppavano atteggiamenti psicotici, perché si faceva una vita durissima. Qualcuno ha iniziato ad avere dei problemi sociali e comunitari, che sono sfociati in litigi anche molto pesanti. Qualcuno è anche morto là dentro. Però penso che con la partecipazione di 5-6000 persone, anche le morti siano cose normali. In tutti i fenomeni giovanili qualche morto c’è sempre scappato…  Non è facile mettere tutto in sicurezza. Ci siamo improvvisati su molte cose, non solo in consolle.

Discorso stati alterati di coscenza e incoscenza: le droghe giravano. C’era di tutto e di più, con il tabù della cocaina e dell’eroina, che comunque c’erano. Il tabù era un detto, ma non un fatto. Non stupisce che molta gente sia finita nell’abuso, ma questo sarebbe superfluo raccontarlo. La Fintek ad un certo punto è diventata un grosso luogo di spaccio, creando grossi problemi. Sia a livello di salute di chi ci abitava, sia a livello di controllo sociale. Le droghe arrivavano principalmente da fuori, anche se qualche laboratorio nella zona tra Roma e Napoli avrà dato certamente il suo contributo. Però le droghe di fattura superiore venivano dall’ Olanda, dall’India via Londra, qualcosa arrivava pure dalla Francia. In questo eravamo molto internazionali non c’è che dire. 

Se un posto è fermo gli apparati della sicurezza e del controllo sociale sanno che sei lì e quindi forse non ti rompono le scatole. Però per chi sta lì fermo tutto questo comporta un adagiamento. Qualcuno un po’ meno sveglio, che stava in un periodo di fragiità ha subito questa cosa… Le polemiche e le critiche sula Fintek sono state tante, ma prima di arrivare alla scritta “Fintek rave di stato” nei pressi dell’entrata, io avevo scritto un pamphlet sul fatto che il rave illegale era morto. Per me era finito nel 1996. Quando abbiamo iniziato ad avere un pubblico di seimila persone non c’era più niente dell’illegale originario. Si raccoglievano tante persone che facevano già un utilizzo smodatissimo di sostanze, dove anche l’elemento musicale iniziava a perdere d’efficacia. C’è stata come una liberalizzazione di tante cose, ma che poi liberate non erano!

Ad esempio una cosa che non si è mai discussa è la questione del gender, l’aspetto della relazione tra uomini e donne. Io per molto tempo sono stata l’unica dj donna all’interno del nostro gruppo. Adesso le cose stanno cambiando e sono cambiate. Alla Fintek la “manovalanza” organizzativa e di consolle era quasi tutta maschile. Le donne, quando c’erano, davano una mano al bar o in altre funzioni. Io però ero quella che organizzava le consolle. Ho sempre avuto molto rispetto forse anche perché ero l’organizzatrice. Poi alcune altre ragazze hanno iniziato a suonare, ma dopo di me. Però c’è stato un lungo periodo in cui ero l’unica donna a maneggiare dischi.  

Il rave ad una certo punto l’abbiamo pure portato al centro sociale. E quindi siamo ritornati da dove eravamo partiti! All’inizio l‘”intellighentia” del centro sociale era contraria, i compagni più grandi erano molto scettici. Soprattutto quelli che venivano dagli anni settanta/ottanta. Non capivano questa cultura, oppure intravedevano una china pericolosa. Secondo me erano dei conservatori che non avevano voglia di affrontare una generazione meno politicizzata della loro. Cosa che avrebbe richiesto comunque un grosso sforzo. Questa cosa è stata portata avanti dalla mia generazione, quella di mezzo. Noi avevamo voglia di confrontarci col nuovo.  

C’è anche un’altra questione che lega centri sociali e rave: le stesse droghe che giravano ai rave giravano nei centri sociali. È normale che ci fosse un collegamento tra le due scene. Perchè se all’inizio c’erano tensioni con la vecchia generazione, la nuova generazione invece voleva fare parte del movimento rave. Alcuni dei dj venivano dai centri sociali. Anche se io non ho mai fatto parte di nessun collettivo dei centri sociali, c’è stato un tentativo di portare dentro gente come me. Perchè noi eravamo il nuovo che avanzava. Loro avevano bisogno di gente come noi da strumentalizzare. Ma per me il centro sociale era un ghetto. 

Anche a Radio Onda Rossa, la radio del movimento romano, c’era chi era contro la cultura rave.Però c’è da dire che il primissimo movimento rave romano è stato caratterizzato dalla presenza anche radiofonica di “Hard raptus”, che era una trasmissione techno. Altre radio erano pronte a seguire. Ma Radio Onda Rossa era la radio che stava nel territorio sociale e politico, con un collettivo che controllava la tematiche. All’inizio degi anni novanta su una radio commerciale c’era pure il Virus di Freddy K, che è stato fondamentale per sdoganare la techno. Però stiamo parlando di un circuito che era quelo bottegaio delle discoteche. 

Nel 1999, quasi al volgere del nuovo millennio, ho fondato Idroscalo Dischi.  È stata la mia risposta alla fine del rave. Ho voluto spingere le mie energie organizzative verso la produzione musicale. Ho pensato che la musica dovesse essere la risposta a questo riflusso, al controllo sociale, alla caduta nell’abuso di sostanze. Una controffensiva all’approccio consumistico in chiave antiborghese. La musica è quella che mi ha salvato da sempre: sono nata con la musica e continuo a farla.

Anna Bolena è nata in Sardegna, trapiantata a Roma, vive per intero la scena rave della capitale, di cui è una delle organizzatrici e una delle poche dj donne. Nel 1999 fonda Idroscalo Dischi, etichetta indipendente dedicata al suono elettronico di matrice industriale. Vive a Berlino dove prosegue la sua carriera di dj e produttrice.


words © ANTONELLA PINTUS pic Paola Verde

lunedì 21 agosto 2023

IL NOSTRO PASSATO E' IL NOSTRO PRESENTE _IL FUTURO NON ESISTE contributo @ Detonazione! (2019)


contributo x il libro  DETONAZIONE! 

Percorsi, connessioni e spazi altri nella controcultura romana degli anni novanta

Stati di alterazione

Gender no gender

Autoproduzioni

Art & anti art

Movimenti

Profezie 

Riviste

Visioni

Ritmi



IL NOSTRO PASSATO E' IL NOSTRO PRESENTE

IL FUTURO NON ESISTE


di Anna Bolena 


PETI NUDI//QUARTINI AVARIATI DI MAL®UMORI VISCERALI (1997­-1999) 

"6angue 6udore 6perma 

fischi contraddizioni dubbi insulti perplessità verità intolleranza peti nudi, peli nudi, peri rudi, peni nudi, feti nudi, feti ruvidi, peni ruvidi, rutti nudi, rutti puri, reni puri, reni fuori, rane rade, rovi rudi, rovi fieri, rave neri, rave nani, rave puri, piedi nudi, piedi rari, peri lieti, fori lieti, fori rotti, bava rara, bove rado, rutti fuori, riti neri, culi rotti: La vicina di casa alla domanda: "Cosa ha pensato la prima volta che ha visto Peti Nudi?" Editoriale PN 999 

"Siamo qui per confrontarci con tutti, e se è il caso anche ignorarsi perché incompatibili. Nessuna pietà' per i servi e le donnette!!!! Stima e rispetto per pochi! Amore e passione per qualcuno. Stronzi ma buoni." LA LOGGIA Editoriale PN 666 


Gli anni novanta del Novecento non sono stati affatto confortevoli, a tratti forse piacevoli, mai risolti; sono stati e resteranno l'ultimo decennio contraddittorio di un secolo violento e complesso, uno spaccato ricco di spunti ancora da approfondire e di avvenimenti che hanno mutato inesorabilmente la geografia psicofisica di chi li ha vissuti. All'interno di queste trasformazioni non sempre richieste abbiamo solleticato i batteri a  intraprendere nuovi viaggi narrativi, a battere strade innovative verso mete ignote, a sperimentare progettualità' spontanee, nella vita di tutti i giorni compreso il dopolavoro. [È il presentimento di affondare nel caos, nell'incertezza che determina l'organizzazione limitata e razionale della vita quotidiana. L'alienazione grigia, sbiadita, la ripetitività ricercata nella strutturazione estremamente rigida dell'esistere, o meglio del sopravvivere, trova apparentemente una possibilità di riscatto e di cambiamento nel gusto compiaciuto del divertimento fittizio, comprato a caro prezzo, allestito secondo i dettami delle mode e delle nuove tendenze. Il culto materiale dell'immagine giusta al posto giusto, del look arricchito e ingigantito dall'ultimo oggetto optional che va tanto in voga, ben si concilia all'interno dell'organizzazione quotidiana dell'uomo-donna che lavora, produce e consuma... da VIVERE L'ESTREMO E RITORNO di Meridiana 0.7 ­ PN 666] Prima della inesorabile fine della ideologia degli ultimi perdenti, della storia dei presunti vincitori, della filosofia del narcisismo compulsivo e dell'onanismo logorante davanti a Pornhub, delle differenze di gender e anche no, della politica degli sfigati al potere, ci stavano spazi creativi dove comunicare le proprie opinioni e scambiare i propri bisogni e desideri, dove amare e odiare erano vissute in modalità analogica, a volte dolorosa, ma affrontabile, a stretto contatto fisico e mentale, con esiti inaspettati ma comunque stimolanti. [Sabato 20 settembre gioiosa inaugurazione del Tempio della Pezza, alias Spazio Kamino, rioccupato con una grande festa d'inizio stagione. Numerosi i DJs che si sono alternati alla consolle, alcuni (nuove leve della techno cittadina) hanno ripercorso tutta la vecchia tradizione romana e non solo, con simpatico carisma; altri, invece, hanno provato con convinzione ad accontentare il pischellame tipico del quartiere (semplice e sincero), con dell'ottima hard techno industriale. Il tutto condito da un'atmosfera calorosa e afosa, sicuramente un po’ fastidiosa; ma comunque ne è valsa la pena. Forse per qualcuno l'iniziativa ha rappresentato poco più che niente di nuovo sotto il sole. C'è invece da constatare che rispetto al grigiore triste di questi ultimi mesi nella periferia marina della città si respira un dolce venticello fresco e invitante. D'altronde i progetti dei giovani occupanti sono interessanti e indispensabili per non fermarsi: ristrutturare il posto per renderlo più vivibile, organizzare una saletta prove, promuovere e finanziare un vinile autoprodotto su etichetta indipendente, allestire altri parties in futuro, etc. Quanto basta per incoraggiare e sostenere il loro entusiasmo. In culo alla balena! Dalla rubrica Consenso Popolare SPORCHIAMOCI LE MANI Riapertura e ristrutturazione dello Spazio Kamino a Ostia di Meridiana.07 ­ PN 1]




Non abbiamo vinto alla lotteria, ma neanche perso il treno della storia. Abbiamo tentato a volte con difficoltà, molto spesso con ardore e passione di gettare le fondamenta durature del passaggio dalla nostra giovinezza alla dimensione dell' essere responsabilmente adulti, che poi altro non è stato se non appropinquarsi alla fine dell' impaziente secondo millennio fingendo di essere pronti al salto verso l' ignoto, e prima di venire divorati e consumati dal turbocapitalismo, segmentati dal social network, psichiatrizzati dal lavoro precario, disintegrati nel s.uperamento delle in/differenze di genere e dopo il "produci consuma crepa" degli anni ottanta, comprendere in ritardo che Nostradamus col cazzo ci aveva azzeccato.

Immagine di copertina dell'ultimo PN nr. 888 tradotto anche in inglese, che raffigura due giovani sulla spiaggia di Ostia: uno rasato in tuta mimetica militare con un boa di piume sintetiche di struzzo e ai fianchi un kit di sopravvivenza (pentolino in acciaio, piatto in plastica e bottiglietta di ketamina); l'altro con dreadlocks, occhiali e turbante arabo indossa una tunica, entrambi a braccia conserte a chiosare la scritta pleonastica: READY 4 THE NEW MILLENIUM/fatti non parole 


Passaggio involontario dall' aspirato vacuo nulla "copy and paste" dal "no future" degli anni settanta, fino all'incubo della quotidianità forzata da nuove esigenze societarie che non servono a farti stare bene ma neanche a farti stare male, certo è che non ti servono. Dopo una brillante stagione ricordata come la fase degli illegali romani (quando i rave parties si organizzavano un po' dappertutto sia in periferia che in centro a Roma), iniziò un leggero decadimento spirituale e fisico, percepito per lo più come già definitivamente decaduto, non senza un pizzico di drammaticità' che non guastava almeno l' estetica del periodo. [Ultimamente all'interno dei rave parties si sta diffondendo uno strano morbo, una pericolosa epidemia che sta progressivamente distruggendo quanto di concreto e creativo è stato costruito nel corso del tempo. Purtroppo tale malessere ha già inevitabilmente contagiato una serie di persone.....Accecati dal protagonismo sterile e dal desiderio di apparire come leader, questi soggetti non fanno altro che occupare per ore la consolle proponendo musica insulsa e appiattendo totalmente anche quanto di più sperimentale e innovativo esiste nel panorama musicale underground, producendo in questo modo un tipo di atteggiamento che inibisce l'espressività' di coloro che nella ricerca e nella comunicazione investono gran parte del loro tempo....Nuovi suoni e altre energie si scaglieranno contro questo stato di cose. La prossima realtà' musicale coprirà sotto un cumulo di polvere la banalità e le sue stupide marcettine. Da MINIMAL SHIT di BIG HEAD ­ PN 999]



Proiettati verso la fine del secondo millennio o l'inizio del terzo dipende dalla prospettiva, un gruppo consistente pianificò e occupò nel settembre del 1997 lo spazio in disuso dentro e attorno la fabbrica della Fintek a Castel Romano, periferia sud della capitale. L'occasione per altro funesta fu la morte prematura per overdose in India di un nostro caro amico inglese, il dj eclettico e musicista bizzarro, Sasha Sansbury. In principio avrebbe dovuto essere un rave volante di un paio di giorni, prima che la Fintek divenne un punto di riferimento nazionale e internazionale della scena elettronica romana. [Una delle ultime volte che ho visto suonare Sacha, indossava una parrucca coi ricci neri lunghi, calzoncini bianchi da gelataio e camicia a quadri tipo yankee; inutile dire che ho riso tutta la sera. Quello che ricordo con piacere è che improvvisò in circa un'ora di consolle una selezione di techno ­ jungle – drum n bass, miscelata con enorme abilità a una serie di pezzi storici di dance funky anni ‘70. Notevole, convincente, dissacrante come sempre, con in più un pizzico di eleganza. Sacha è con noi in tutti quei momenti di vita vera, di gioia estrema, d'irresistibile sarcasmo. È stato con tutti noi che non lo dimentichiamo anche il 27 settembre (giorno del suo compleanno) per una due giorni nei pressi di Pratica di mare, vicino a Roma. L'ex industria di prefabbricati, fallita ormai da dieci anni, è stata occupata da circa 1500 persone, che da anni si ritrovano per creare situazioni ed emozioni diverse e diversificate sempre più rassomiglianti ai nostri sogni e bisogni. Stravolgere l'uso consueto e routinario del tempo e dello spazio è l'obiettivo prospettabile, senza tralasciare i molteplici modi d'attuazione delle nostre esigenze e i numerosi altri metodi e strumenti che ancora dobbiamo scoprire e sperimentare. Affinità e non gerarchie, chiarezza d'intenti e non percorsi forzati....Da questa due giorni è scattata la presa e l'occupazione del posto, non solo per uso abitativo ma anche per provare ad attuare forme di convivenza stimolanti e lungimiranti. È cominciata la lenta creazione di uno spazio più vivibile e confortevole; lo sforzo di ripristinare una struttura abbandonata e in parte disintegrata dagli anni. Lo spirito del gruppo di persone che si sta sbattendo in questi giorni è espresso in queste righe stralciate da un volantino comunicato alla radio: Esausti dall'incastro di una metropoli a scomparti come Roma, dove sembra impossibile creare una realtà diversa perché comunque soggetti al tempo­denaro. È l'energia dell'unione che muove le nostre azioni e senza di essa per noi sarebbe pressoché impossibile realizzare i nostri sogni. Quest'area ci da ossigeno e a nostro avviso merita la vita. Da Fintek: il Clan. We will survive dalla rubrica Consenso Popolare NON SOLO UNA CELEBRAZIONE di Meridiana.07 ­ PN 999]


Peti Nudi, technozine in semplice formato A4 ripiegato, nacque esattamente in quel fine settimana di settembre, è stata occasione per me e per gli altri che mi accompagnarono in questa discontinua esperienza editoriale di sapore D.I.Y., di raccontare in maniera sostanzialmente provocatoria e scanzonata la scena non commerciale della musica elettronica che ci piaceva allora; [...il promettente DAN, che come sempre con la sua grinta cerebrale, ha solcato le nostre budella attraverso incastrose distorsioni grattugiando gli ultimi lembi della mono­cellula gigante del nostro abusato cervello.... Dalla rubrica Consenso Popolare IL TUMULTO VIENE DA LONTANO... E DA VICINO recensione di Anna Bolena su Hekate Crew presso Fintek Agosto 1998 da PN­888], o ancora [Il nostro amico crucco non ci ha deluso! Bombe bordeaux con scritta Planet Core Production in gotico sulla schiena e cassoni inauditi che sprizzano da tutti i pori. L'incontro con lui è stato sacro. Heil The Mover.... Da Consenso Popolare TAPPETTINI ROSSI E NERI. Recensione di DJ Swaitz sul set di Marc Arcadipane presso Fintek Novembre 1997 PN 333], oppure [Seriosa attitudine di un professionista professore evidenziata da un gusto musicale elegante e dirompente....Come un duca al comando... Da Consenso Popolare ONLY JUNGLE CORE considerazioni sul set di Fabrizio D'Arcangelo presso Brancaleone Roma Febbraio 1998 PN 666] Partorii l' idea di una rivista cotta e mangiata in una notte agitata e insonne, con l'intenzione di pungolare e far riflettere l'entourage che mi circondava, divenuto un tantino noioso e conformista. Ormai poco stimolata e ancora desiderosa di dare un contributo, processai a grandi linee il progetto che condivisi il giorno dopo con gli altri e che realizzammo immediatamente in formato volantino da distribuire alla festa d'occupazione della Fintek. Le reazioni furono controverse, qualcuno non apprezzò l'impaginazione satanista e massone della copertina, altri trovarono di funesto gusto la foto di Sasha con in mano una boccetta di ketamina, altri contrariamente trovarono il tutto molto divertente ed edificante.


Immagine dall'editoriale del primo numero di Peti Nudi raffigura Sacha con una t­shirt S.P.Q.R. in mano una boccetta di Ketalar utile CONTRO IL RODIMENTO DI CULO, L'APATIA ROSICONA, L'INVIDIA INTESTINALE

L'ardita operazione stucco e ristucco dei bassifondi musicali metropolitani ormai moribondi era iniziata. Impresa titanica con destinazione ignota. Grandi aspirazioni, stimoli positivi, nessuna certezza. Peti nudi, come l'aria fritta che non racconta niente d'interessante ma che dice la verità, quella scomoda che nessuno vuole sentire, che come un farmaco scaduto squassa le budella con dolorosi trip lisergici, che come la passione bassa evacua le tossine ammalate da stupide menzogne. Antidemocratici di professione, provocatori per sfizio, edonisti prima dello sdoganamento del vanity fair su instagram, anticipammo confusamente il pornoterrorismo antisessista e la politica del fancazzismo, attraverso l'uso fastidioso di parole d'ordine fasciste e comuniste mescolate dentro un calderone di tradizione individualista e anticonformista di rimembranza nietzschiana. [Alla fine del secondo millennio, quando gruppi ecologisti fanno campagne di salvaguardia delle ormai numerose specie animali in via d' estinzione, o qualche regista hollywoodiano allestisce set miliardari sulla vita passata di quelli estinti definitivamente, talvolta abbiamo la nostalgia di quelle assemblee comizio dove i prossimi leader e aspiranti capi della futura classe politica si esercitavano in logorroiche dissertazioni da manuale; davvero commoventi e indimenticabili. Invece gli odierni dirimpettai e strillatori da palco non sono degni di reggergli nemmeno il tempera lapis....avendo scarse possibilità … di comandare secondo modelli gerarchici i propri posti tanto faticosamente sottratti alle infami leggi del mercato capitalista, strumentalizzano qualsiasi situazione ambigua...per richiamare all' ordine e alla disciplina marxista leninista, con convocazioni urgenti simil Comintern, la manovalanza che non vuol più' sottostare nei ranghi assegnati. Da A VOLTE RITORNANO Vetero politicanti o nuovi bielorussi di LA Loggia ­ PN 333]



Immagine da PN 888 (in chiusura dell' editoriale sul proibizionismo delle sostanze psicotrope: Democratici. Mai. Storie di repressioni e depressioni) che raffigura lo striscione ERBA ROBBA DA CONIGLI con l' A cerchiata, da noi appeso sulle grate del Forte Prenestino Roma durante la Festa della Semina primavera 1997


Vision: rompere i coglioni a tutti i costi, sfracellare le ovaie sempre e comunque. 

Mission: distruggere lo status quo di una scena sotterranea che già faticava a combattere improbabili starsystemati e beceri protagonisti da consolle senza arte ne parte. 

Strumenti: estetiche prese in prestito dal punk, dalla techno europea, dalla tradizione e iconografia cattolica, dalla massoneria e dal satanismo, dalla bibbia, dalla cultura pop, dalle riviste porno e dai fumetti erotici, dall'immaginario dark degli anni ottanta, il tutto condito e rivisitato con sarcasmo e irriverenza. Volontariamente maleducati, consapevolmente cafoni, tendenzialmente stilosi, entertainers nati. Divertimento assicurato.



Immagine di copertina del numero 333 di PN che raffigura ANNA BOLENA smorfia di disgusto con scritto sulle tette OUI JE SUIS a fianco l' ANATEMA I che recita: "Paladini dell'immondizia fatta spettacolo, lontananze estreme di pressapochismo e indifferenza ci separano. Testimoni apocrifi dell'inconsistenza sguazzeremo nell'unica sostanza autentica che ci circonda, la merda che espelliamo ogni giorno. Chi consuma, crepa."


La fanzine realizzata in sole sei edizioni e in pochi esemplari rigorosamente fotocopiati in bianco e nero nero, con numerazione casuale tipo 333 o 666 si articolava, a eccezione di alcuni interventi esterni di amici ed esperti, su uno schema a metà strada tra il quotidiano locale e la rivista patinata di gossip. Copertina Editoriale Consenso Popolare (impressioni su eventi e feste, concerti e dj set) L'angolo della scienza (considerazioni sulle droghe) Ricette (recensioni musicali), charts e inserzioni di etichette discografiche o artisti Flyers e statements Poesie licenziose e racconti pornografici Articolo principale su musica e cultura rave Interviste e inchieste Poster da appendere Retrocopertina




pics & words © ANTONELLA PINTUS 

La questione palestinese in Germania (13)

  Domenica 24 novembre Nella puntata di oggi ospite speciale: Anna Bolena. Artista multimediale a 360*, DJane, Producer e attivista politica...